“Padre. Madre. Voi due siete in lotta dentro di me. E lo sarete sempre.”
C’è sempre una Madre nel cinema di Terrence Malick, una Madre con la lettera maiuscola; così come c’è sempre un padre, che però non gode della stessa sacralità. Quando c’è conflitto tra i due, tra la Madre ed il padre, tutto ciò che è intorno a noi cambia inesorabilmente, generando un inarrestabile flusso di decadenza.
La decadenza… non è un caso arrivare a questo termine. Il decadentismo insito nella poetica di Terrence Malick è più profondo di quanto si possa pensare; ad una lettura superficiale dei contenuti dei suoi film, non ci si accorge che una malinconia costante attanaglia le anime di tutti i suoi personaggi.
C’è sempre un nucleo nel cinema di Terrence Malick, un nucleo che rappresenta la salvezza dell’umanità intera: la Famiglia. Prima del geniale regista texano, però, un altro personaggio aveva indicato il nucleo familiare come un porto sicuro in cui chiedere asilo, uno dei più influenti letterari del Novecento: Giovanni Pascoli, un poeta decadente. L’uso del termine “decadentismo” associato all’arte di Malick, quindi, non è del tutto involontario. Per Pascoli la rottura della famiglia, la disfatta del nucleo, consisteva nella “trasformazione” del mondo, che da un posto solare costellato dai suoni della natura assumeva le sembianze di un atomo opaco del male; ed è in modo molto simile a questo che Malick ci descrive il crollo di tutte le certezze quando si verifica questa “rottura”.
I termini padre e Madre, per Malick, non sono da intendere necessariamente nel loro senso letterario; il padre possiamo essere tutti noi, in quanto razza umana, e la Madre la natura, che ci ha generato e che, da adulti, dovremmo decidere di “sposare” per assicurarci la nostra sopravvivenza. Laddove questo matrimonio simbolico non si verifichi, può verificarsi anche la più estrema di tutte le conseguenze: la guerra.
“Eravamo una famiglia. Come ha potuto rompersi e dividersi e ora siamo uno contro l’altro, ognuno fa ombra all’altro? Come abbiamo fatto a perdere il bene che ci era stato dato, lasciarlo scivolare via, disperdersi, distruggersi. Cosa ci impedisce di uscire, toccare la gloria?” – Soldato Witt (Jim Caviezel) da La sottile linea rossa.
C’è qualcuno, qualcosa forse, che ci ha fatto dei doni. Probabilmente stiamo parlando di Dio, che non deve essere per forza accostato al Dio della tradizione cattolica; anche perché questo Dio non giudica affatto, e quindi non c’è alcun inferno che ci attende, né alcuna punizione per le nostre azioni… solamente un infinito amore che rinnova se stesso e che trascende il tempo.
Il Dio di Malick è un Dio che resta costantemente in bilico tra l’immanente ed il trascendente, invisibile ma tangibile allo stesso tempo, presente in tutta la sua assenza. C’è una visione panteistica del mondo, dove Dio risiede in ogni cosa, nella foglia più piccola dell’arbusto, ma anche nel secolare tronco più duro della quercia più imponente; e, naturalmente, per Malick, Dio è anche nella famiglia.
La meravigliosa sequenza della creazione in The Tree of Life è molto esplicativa da questo punto di vista: è un momento che mostra la creazione, inserita all’interno di un film, il cui tema è proprio la famiglia. Le emozioni che si intrecciano come in una danza infinita e bellissima; amore, odio, rabbia, perdono, comprensione scaturiscono da ogni famiglia, e si susseguono, ripetendosi talvolta, come un ciclo naturale inarrestabile, come una spirale il cui unico centro è l’umanità.
Partire da un contesto così piccolo, e così grande al medesimo tempo, come una normale famiglia di provincia, ed estendere il discorso ad un ambiente così immenso come l’Universo, caratterizzato da un’infinità poi forse non così infinita, è la summa della poetica malickiana della famiglia. In The Tree of Life non si è fatto altro che esplicitare questo concetto con un’immensa potenza visiva; esplicitare un concetto così semplice che, purtroppo, spesso dimentichiamo.
E, anche in questo caso, le analogie con il poeta del “fanciullino” non mancano. Anche Pascoli, nei suoi scritti, aveva espresso con la dolce malinconia che lo ha sempre contraddistinto, una visione panteistica delle cose;
“E la terra sentii nell’Universo. / Sentii, fremendo, ch’è del cielo anch’ella. / E mi vidi quaggiù piccolo e sperso / errare, tra le stelle, in una stella” – da Il bolide (Canti di Castelvecchio).
Lo spiritualismo che pervade questi versi è un chiaro esempio di un’altra, ennesima, analogia tra il decadente Pascoli ed il naturalista Malick. Sinceramente non so quanto il pensiero di Malick possa essere stato influenzato dalla poetica di Pascoli e, considerando il suo dichiarato amore verso la cultura italiana, questo dubbio non è poi così scontato; oppure, semplicemente, siamo dinanzi a delle tematiche simili, che trovano dei punti di contatto in modo puramente casuale.
Sta di fatto che il mondo, la realtà che ci circonda, talvolta può davvero essere visto come se fosse un atomo opaco del male, come succede ne La rabbia giovane, dove una famiglia disfunzionale, partorita dalla società, porta dentro di sé i semi della morte e della sofferenza. Il padre tirannico di Holly (la bellissima Sissy Spacek) è come se fosse il MacGuffin della vicenda, in quanto per colpa della sua oppressione, in lei germoglia l’innato desiderio della libertà, che troverà riscontro nel giovane serial killer Kit (Martin Sheen).
Ma anche ne I giorni del cielo, che forse è il film meno citato del maestro, Malick mostra di come una sofferenza “universale” abbia sempre origine da un contesto familiare. Bill (Richard Gere) nasconde la sua relazione con la bella Abby (Brooke Adams), simulando un legame fratello/sorella; in questo modo Abby potrà sfruttare l’interesse che Chuck, il proprietario delle terre in cui lavora Bill, ha nei suoi confronti. È la corruzione dell’amore causato dall’occultamento del sentimento, la scelta del corpo a discapito dello spirito… è l’inizio, per Malick, della fine del mondo; la terra brucerà in un’apocalittica notte d’estate, con le piaghe, che rimandano alle Piaghe d’Egitto, che invadono una terra sempre più arida.
Ma, ovviamente, non possiamo confondere la malinconia con il pessimismo. Terrence Malick è un regista tutt’altro che pessimista. E’ un autore che, con il suo stile particolare che lo contraddistingue, ci ha mostrato i limiti e le contraddizioni di tutti noi… contraddizioni da cui, però, non è umanamente possibile rifugiarsi. La sofferenza ed il conflitto sono indispensabili per generare amore.
Il legame padre/figlio in The Tree of Life è sempre più forte proprio grazie ai continui conflitti; i soldati de La sottile linea rossa capiscono l’importanza della vita proprio perché osservano la morte. Ma alla fine tutto risplende.
“Dove eravamo insieme, chi eri tu? Quello col quale ho vissuto, camminato, il fratello, l’amico. Buio dalla luce, conflitto dall’amore. Sono il frutto di una sola mente, i tratti di un solo volto. Oh anima mia, fa che io sia in te adesso, guarda attraverso i miei occhi, guarda le cose che hai creato. Tutto risplende.”