空手.
Kara-te. “Mano vuota”.
Questa è la traduzione letterale dell’arte marziale nata nelle isole Okinawa, per indicare che non richiede l’uso di armi bianche. È generalmente inteso come un sistema di disciplina interiore, una filosofia di lotta e di vita che predica la ricerca di un equilibrio interno, espresso nel combattimento.
Tuttavia, nell’Occidente, il concetto di “mano vuota” ha un significato ben diverso.
Non rappresenta la pace interiore, ma la povertà e il rimpianto. Il perdente torna a casa “a mani vuote”, ferito nel corpo e nell’orgoglio. Nel migliore dei casi, le prime guariscono in poco tempo. Nel peggiore, le seconde lasciano cicatrici durature, anche trentaquattro anni dopo.
È il 1984. Daniel LaRusso (Ralph Macchio) arriva a Los Angeles dal New Jersey e si mette quasi immediatamente nei guai. Quei guai fanno rima con Cobra Kai, il dojo di karate più duro della Valley, capitanato da Johnny Lawrence (William Zabka).
La rivalità tra i due si infiamma quasi immediatamente: Johnny è arrogante e impulsivo; Daniel è a sua volta una testa calda, anche se generalmente più mite.
I due si incontrano, quindi, nella finale del Torneo All Valley. I loro sensei, John Kreese e Mr. Miyagi, nei rispettivi angoli. Da un lato, nessuna pietà; dall’altro, l’equilibrio. Pur zoppicante, Daniel vince l’incontro con un fatidico calcio (teoricamente illegale?). Daniel prosegue quindi il suo percorso insieme a Mr. Miyagi, mentre Johnny viene abbandonato e assalito dal suo stesso maestro.
Trentaquattro anni dopo, Johnny non si è ancora ripreso da quell’incontro.
Squattrinato, fuori forma e umiliato, il ricordo della sua sconfitta brucia ancora, specie guardando il sorriso di LaRusso sui cartelloni. Daniel è ora uno stimato uomo d’affari, un padre modello e un importante membro della comunità, avendo coltivato la propria reputazione a partire dalla vittoria nel torneo, contro Johnny.
A causa di un incidente, le strade dei due si incrociano nuovamente e l’incontro risveglia qualcosa in Johnny. Daniel insulta il Cobra Kai, ma ciò che per Daniel era una minaccia, per Johnny era un’occasione. E può esserlo ancora, anche per altri ragazzi che hanno bisogno di diventare più forti.
Colpire per primi, colpire forte, senza pietà. Solo così ci si può risollevare da terra.
Da qui in poi, Cobra Kai si sviluppa organicamente, immaginando una Valley contesa, una rivalità aspra ma pregna di storia, nel segno del karate. Ralph Macchio e William Zabka riprendono i loro ruoli originali, rendendo la transizione dai film alla serie facile e comprensibile, fattore che vale anche per diversi comprimari. I due agiscono da colonne portanti per un ricco cast di nuovi studenti e combattenti, creando alleanze, fazioni e ostilità.
Come adattamento e proseguimento della trilogia originale, Cobra Kai prende a piene mani dalla sua sorprendentemente profonda mitologia, arricchendo i film degli anni ’80 con un nuovo contesto. I tanti richiami e flashback consolidano le basi della narrazione e si inseriscono naturalmente nelle vicende dei nuovi protagonisti. È una storia che si ripete inevitabilmente: maestri, pupilli, rivalli, vincitori e sconfitti, alla ricerca di quell’inafferrabile equilibrio.
In primis, è la storia di Johnny Lawrence. Il Cobra Kai gli permette di rimettersi in carreggiata, ma lo porta in rotta di collisione con il proprio passato, con il figlio Robby, con Daniel, con il patrigno e, infine, con lo stigma ereditato dal Cobra Kai. Per molti versi, Johnny è rimasto fermo agli anni ’80. Fattore positivo per la colonna sonora, ma che richiede un’evoluzione, e l’evoluzione del neo-sensei è uno degli aspetti più appaganti della serie.
Cobra Kai poteva tranquillamente puntare solo sul fattore nostalgia, ma l’interazione intratestuale pone gli eventi del passato sotto una nuova luce. Ciò che prima era moralmente bianco o nero si espande in diverse sfumature di grigio. Forse il bullo ha diritto a una seconda possibilità, forse l’ego erode l’integrità dell’illuminato. Forse le due figure hanno più cose in comune di quanto vogliano ammettere.
La serie spesso traccia linee nella sabbia per poi spazzarle via nel vento. Visivamente Daniel e Johnny sono diametralmente opposti: bianco e nero, ghiaccio e fuoco, ordine e caos. In altre parole, yin e yang. L’uno non può esistere senza l’altro, sono opposti ma interdipendenti.
La ricerca dell’equilibrio interno è costante e mutevole, e il cambiamento si svolge solo attraverso un’indagine tendente al giusto compromesso. L’unico fallimento è l’ostinazione a non voler cambiare. Chi non cerca l’equilibrio, chi vede il mondo in bianco e nero, sbilancia e avvelena l’ambiente che lo circonda.
Questo conflitto si estende anche sulle nuove reclute dei due dojo, impegnate in una rivalità dai toni sempre più agguerriti. La loro ricerca d’equilibrio, rispetto alle loro controparti adulte, è più caotica e disperata, e considerando le difficoltà di Daniel e Johnny, non è sorprendente.
«Non è colpa di cattivo allievo, ma solo di cattivo maestro» disse Miyagi nel primo film. Il suo karate viene dalla testa e dal cuore, non dalla pancia. Nonostante le loro buone intenzioni, i due sensei sono ancora lontani dall’equilibrio desiderato, ma sono vicini.
La terza stagione si conclude in un momento di calma prima della tempesta, sulle note di una potente cover di In the air tonight di Phil Collins. Due maestri, due fazioni, due ideologie unite nella lotta contro un nemico comune e nella ricerca del proprio equilibrio. Attraverso le tante battaglie orchestrate in Cobra Kai, dall’impressionante coreografia e fluidità, i combattenti avanzano e maturano, in piccoli ma importanti progressi personali.
È una serie basta sul potere delle seconde opportunità e, per ironia del fato, dona nuova linfa a una trilogia dimenticata degli anni ’80, guardandola con affetto, ma con rispettoso distacco. Cobra Kai permette a Karate Kid di crescere retroattivamente, di aggiungere dimensioni alla sua narrativa ignorate nella prima stesura della storia.
Così possiamo osservare l’altro lato dell’equilibrio: il caos, la delusione e il rimpianto, gli elementi necessari da accettare per ottenere la pace interiore e continuare a lottare. Il caso può colpire per primo, duramente e senza pietà, ma il Cobra Kai…
Cobra Kai non muore mai.