Dopo un viaggio di troppe poche settimane che racchiude una durata simbolica di parecchi mesi, The Last of Us è giunto al termine, e con esso la prima parte del viaggio di Ellie e Joel.
Sarò perdonato, spero, se all’interno del contenitore di capolavori che è HBO sono andato subito a pescare da Game of Thrones per il titolo di questo approfondimento. Indipendentemente dalle analogie e differenze tra l’universo di Joel ed Ellie e quello di Westeros, quello che conta e diventa spunto di riflessione, in questa sede, sono la profondità e lo spessore di alcune tematiche e il modo in cui esse vengono affrontate.
Con gli ultimi minuti della prima stagione, Druckmann e Mazin offrono un finale al tempo stesso frenetico e indimenticabile: condividendo con il resto della stagione l’impressione che il pathos non sia agli stessi livelli del gioco (ma sarebbe stato quasi impossibile riprodurlo fedelmente), tuttavia The Last of Us risulta essere un adattamento non solo fedele al videogioco, ma per certi versi anche capace di ampliare il materiale originale, come accade in questo finale di stagione.
The Last of us – Anna ed Ellie
Innanzitutto, c’è Anna. Offrendo l’ennesimo flashback della serie, The Last of Us porta alla luce una scena che nel gioco è solo accennata, quella della nascita di Ellie: in quella casa quasi poetica, vuota e abbandonata nella sua campagna, una giovane donna (Ashley Johnson, doppiatrice di Ellie nel videogioco) partorisce sua figlia proprio mentre un infetto la aggredisce.
La scena è devastante, come nel caso di Sam e Henry, inesorabile nella tragedia che rappresenta: qui una nuova vita si affaccia nel triste mondo post-apocalittico e una giovane e ancora vigorosa è costretta a spegnersi poiché ormai corrotta dal morso.
Sarà Marlene a farsi carico delle cure di Ellie, esaudendo l’ultimo desiderio di Anna prima di spararle.
E così, l’incipit del finale di stagione è servito: ci saranno traumi, il cerchio potrà essere chiuso solo dopo che le azioni di tutte e tutti saranno naturalmente giunte a conclusione.
Si torna nel presente, nello sguardo perso nel vuoto di Ellie palesemente riflessiva e traumatizzata dopo l’incontro con David nell’episodio precedente: non è dato sapere quanto tempo sia trascorso, ma fa certamente strano vedere come si siano invertiti i ruoli nelle conversazioni con Joel: l’uomo, notoriamente silenzioso, è costantemente alla ricerca della battuta, mentre la ragazza, sempre pronta a scherzare, è chiusa in sé stessa.
The Last of Us – L’ospedale di Salt Lake City
I momenti di intensità emotiva che Ellie e Joel condividono in questo episodio finale sono studiati nei minimi dettagli e cercano di trasferire fedelmente l’indissolubile verità che i due hanno tra loro all’interno del gioco, una dinamica di amore esclusivo che momento dopo momento diventa sempre più importante.
Estremamente cruciale, a tal proposito, è la scena della giraffa, e nello sguardo di un magistrale Pedro Pascal tutto l’amore che prova per Ellie è radicalmente espresso attraverso quelle scene.
Ellie, dal canto suo, non nega l’affetto che prova per l’uomo che l’ha protetta e accompagnata attraverso il Paese, ma ha chiaro che andare dalle Luci è l’obiettivo finale del suo viaggio: da un lato c’è un uomo che ha ritrovato il sorriso grazie alla ragazza, dall’altro c’è la ragazza che ha perso fin troppo e non vede altra conclusione del suo viaggio se non la realizzazione del proprio destino, qualunque esso sia.
In modo molto più frenetico rispetto al gioco, i due protagonisti superano gli alti e i bassi incontrati nel loro viaggio e vengono catturati mentre condividono uno dei loro momenti intimi, le freddure tratte dal libro di Ellie.
Una volta scortati dalle Luci all’interno dell’ospedale, torna in gioco il ruolo di Marlene: il palcoscenico è servito e nonostante i fan del videogioco siano consapevoli di quello che sta per succedere, il battito cardiaco accelera ugualmente.
The Last of Us – Un cammino di egoismo ed esclusività
Dopo aver attivato una furia che non credeva gli appartenesse, Joel si ribella alla decisione di Marlene e delle Luci che lo stanno scortando fuori dall’ospedale mentre la squadra medica prepara Ellie per l’intervento che dovrebbe servire a trovare la cura al Cordyceps, sacrificando la sua vita.
Per Joel non c’è margine di altruismo, non c’è alcuna possibilità di accettare il dato di realtà: Ellie deve sopravvivere ed è compito suo riprendersela: dopo aver perso Sarah e Tess, è il minimo che possa fare.
In questo momento ha inizio nel finale di stagione, il momento più brutale della Parte 1: Joel che annienta innumerevoli vite umane per recuperare la sua ragazza, impedendo al mondo di trovare l’antidoto al fungo.
Mentre nel gioco questa parte è particolarmente avvincente e brutale poiché vissuta in prima persona, appare curioso e degno di nota segnalare la scelta registica compiuta nella serie: qui, tutto appare lento e ovattato.
Sebbene i volti dei soldati uccisi vengano puntualmente inquadrati, la musica copre il suono degli spari, i rumori e le urla di Joel. Così, impotenti e passivi, attraversiamo stanza dopo stanza e arma dopo arma nel campo attentivo di questa tragedia in compimento, fino al reparto di chirurgia pediatrica, al sesto piano della struttura.
Le scene si susseguono inesorabili: un chirurgo muore, Ellie sopravvive. Joel la porta via, uccide anche Marlene, prende la macchina e riprende il suo viaggio per Jackson.
La cosa più naturale che viene da fare al risveglio di Ellie è mentirle, farle credere che la cura non ci fosse. Portarla a credere ai predoni malvagi che attaccano l’ospedale.
In questo modo, giurando che questa versione sia la verità, l’amore diventa la morte del dovere. Esattamente come scrisse Maurice Blanchot: «L’amore è una pietra d’inciampo per l’etica». Una pietra in cui Ellie sceglie di riporre la sua fiducia, almeno per il momento. Poi, altri conti saranno fatti.