«Ho visto le menti migliori della mia generazione, distrutte da pazzia, morir di fame isteriche nude strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia».
Questo è l’incipit del poema Urlo di Allen Ginsberg uscito nel 1956. Nella manifestazione pacifica del 1968, a declamare “OM” pacifici accanto a Abbie Hoffman, Jerry Rubin e Rennie Davis, c’è anche il poeta capostipite della beat generation.

Una scena de Il processo dei Chicago 7, all’interno del quartier generale del Partito internazionale della Gioventù
«In caso d’isterismo, solitario o comunitario, la parola d’ordine magica è OM. Pronunciate OM dalla metà del corpo, dal diaframma o plesso solare. Dieci persone che mormorano OM possono calmarne cento».
Forse Ginsberg aveva chiaramente percepito il clima di tensione di quella marcia che aveva come obiettivo il pagamento della cauzione a Tom Hayden, leader dei manifestanti. Ginsberg descrive la sua partecipazione in Testimonianza a Chicago e dichiara il chiaro intento non violento dei manifestanti.
Allora perché Il processo ai Chicago 7 si è concluso con 5 condanne?
Agosto 1968. Il presidente statunitense Lyndon B. Johnson siede al Congresso dei Democratici, mentre in Vietnam infuria la guerra. Fuori, intanto, migliaia di manifestanti, proibitogli l’organizzazione di un evento pacifico al Lincoln Park, si riversano per strada. Lo scontro è violento e ha risonanza mondiale.
Marzo 1969, cinque mesi dopo. Sotto il governo di Nixon inizia Il processo ai Chicago Seven. Presiede l’aula il giudice Julius Hoffman. All’accusa lo Stato Americano, personificato dai procuratori federali Tom Foran e Richard Schultz. Alla difesa i sette leader della rivolta, rappresentati dagli avvocati William Kunstler e Leonard Weinglass, e il leader dell’organizzazione rivoluzionaria afroamericana delle Pantere Nere, Bobby Seal, presente a Chicago per sole quattro ore, ma accusato anche lui di istigazione alla sommossa.
Chi sono i Chicago Seven (+ 1)
La leva militare obbligatoria infuria e i giovani sono sempre più contrari alla guerra in Vietnam. In tutto il paese iniziano a crearsi movimenti di sinistra radicale, contro Johnson e la guerra. Questo il clima in cui si apre il Congresso dei Democratici a Chicago.

Abbie Hoffman, Jerry Rubin, Rennie Davis e David Dellinger
Dal Massachusetts i fondatori del Youth International Party, Abbie Hoffman e Jerry Rubin, proclamano la loro marcia su Chicago con intento pacifico. Dal Michigan, Tom Hayden e Rennie Davis, alla guida del gruppo di attivisti Students for a Democratic Society (SDS), dichiarano la loro intenzione di andare a Chicago pacificamente. Dai banchi di Yale arrivano John Froines e Lee Weiner, unici assolti dal processo, i capri espiatorio dell’accusa. Obiettore di coscienza e membro del movimento anti-violenza è invece David Dellinger.
Al banco degli imputati, ammanettato al tavolo, c’è anche Bobby Seal, fondatore delle Pantere Nere, recatosi a Chicago per tenere un discorso. L’avvocato di Seal non è in aula, poiché ricoverato in ospedale. L’imputato risulta quindi senza difesa e, nonostante il giudice insista affinché Bobby Kunstler lo rappresenti, non interviene per dissociare Seal da questo processo.
Il processo ai Chicago 7, una produzione travagliata
È il 2006 quando Steven Spielberg commissiona a Aaron Sorkin una sceneggiatura sulla vicenda dei Chicago Seven, con l’obiettivo di far uscire il film per le elezioni del 2008. Sacha Baron Cohen è entrato subito nel cast nel ruolo di Abbie Hoffman, mentre Spielberg era in trattative per avere Will Smith come Seal e Heath Ledger per Hayden. Lo sciopero della Screen Actors Guild però sospende le riprese.
La pellicola ha cambiato svariati registi nel tentativo di limitare un po’ il budget. Dopo le elezioni del 2016, Spielberg ha deciso di riesumare la sceneggiatura e di chiamare di nuovo Sorkin per la regia. Con un budget di 35 milioni di dollari la produzione inizia a riunire il cast. Il già citato Cohen accetta il ruolo di Abbie Hoffman mentre quello di Tom Hayden è affidato a Eddie Redmayne. A loro si uniscono velocemente Joseph-Gordon Levitt, per il ruolo del procuratore Schultz, Alex Sharp, per Rennie Davis, Frank Lagella, per il giudice Hoffman, e Mark Rylance, nel ruolo dell’avvocato Kunstler. Dopo un paio di mesi Yahya Abdul-Mateen II ottiene il ruolo di Bobby Seal e Michael Keaton quello di Ramsey Clark.
Il processo ai Chicago 7, un film politico?
È facile definire un film che tratta di un processo giudiziario come un film “politico”. È ancora più facile se il processo in questione è uno dei più controversi della storia americana.
Il 78% degli avvocati praticanti in quegli anni ha confermato che la condotta del giudice Hoffman è stata inqualificabile. Anche guardando i fatti con occhio apolitico, le azioni di Hoffman risultano vergognose a partire proprio dalle condanne degli imputati.
Abbie Hoffman, Jerry Rubin, Tom Hayden, Rennie Davis e David Dellinger sono stati condannati a cinque anni di reclusione per aver attraversato i confini dello Stato con finalità di rivolta. Le arringhe e i testimoni chiave, tra cui l’ex procuratore generale Ramsey Clark che ha ammesso che la polizia ha iniziato gli scontri, non sono serviti a far cambiare idea al giudice Hoffman che a mala pena prestava attenzione.

In un periodo storico come quello presente, l’America è spezzata dagli ideali politici di destra da un lato e dalle manifestazioni di integrazioni dall’altra. Rappresentare, e candidare all’Oscar, una pellicola che tratta di un gruppo di giovani combattenti per un ideale pacifico condannati ingiustamente è un messaggio forte che gli Stati Uniti vogliono far conoscere. Da questa nomination a dire che l’America ora è aperta e democratica c’è un abisso, specialmente visti gli ultimi eventi riguardanti la discriminazione e l’uso di armi leggere.




