Certamente nella mente di Kripke e degli altri produttori, The Boys continuerà a restarci per un bel po’.
Perché per un’epoca folle, servono prodotti folli.
In questi due anni la serie Amazon ha conquistato tanti fan, la storia è interessante e la scrittura fluida; la caratterizzazione di alcuni personaggi è delineata, per altri sta prendendo forma di episodio in episodio, contestualmente con un periodo storico che di caratterizzante ha ben poco.
In queste pagine si riflette su The Boys perché è una serie cattiva, dissacrante e satirica che si presta a una riflessione sia intrinseca che estrinseca: la prima rivolge lo sguardo a quello che narra e a come lo narra, costruendo una parodia della società nella quale viviamo tanto estremizzata quanto accurata; la seconda, soffermandosi sul nostro modo attuale di visionare opere cinematografiche e televisive, ci porta a curiosare sulle ragioni che hanno spinto i direttori a rilasciare la serie sulla piattaforma Amazon Prime Video gradualmente, piuttosto che nella sua integrità.
The Boys – I veri eroi siete voi
Senza avere la pretesa di esaurire le tematiche affrontate dall’opera, dal punto di vista del contenuto quella che ci troviamo di fronte è una serie a tema, che trascende i suoi limiti nella misura in cui trasforma i Super in vere e proprie celebrità, modelli sociali oltre che culturali.
I protagonisti, infatti, sono i supereroi contrattualizzati dalla Vought, che almeno dal punto di vista manifesto si presenta come la compagnia che regola la vita sociale dei Super, vendendoli al pubblico secondo la regola della migliore offerta, come lavoratori dai talenti un po’ particolari.
Translucent, Black Noir, Abisso, A-Train, Maeve, Homelander e Starlight sono quindi personaggi che hanno valore assoluto e strumentale: assoluto, grazie al loro dono; strumentale, perché il loro valore è strettamente intrecciato con la presentazione commerciale dello stesso.
Sono oltreuomini, per citare Nietzsche, e non fanno nulla per fingere che lo scarto con la gente comune non esista.
A loro è stato insegnato che il dono che hanno è divino e tutti i Super sono venerati dagli statunitensi proprio perché sembrano dei profeti prescelti da una forza superiore, ciascuno con il proprio potere esclusivo. Di conseguenza, che si sviluppi un fanatismo di massa simile a quello che affligge noi nei confronti delle celebrità è abbastanza naturale. A essere meschina è la determinazione che la Vought impiega per far apparire i suoi prodotti nel modo più affascinante e seducente possibile, ai limiti del grottesco.
In una tale condizione, la verità sui Super sembra essere proprietà esclusiva di chi nella Vought ci lavora e di quei pochi combattenti consapevoli che qualcosa non va e che non riescono a tenere la testa bassa: i The Boys sono proprio questo, la resistenza che separa il Bene e il Male in maniera netta, anche sporcandosi, se sporcarsi significa dimostrare al mondo la vera natura della Vought e dei Super.
Se a questo principio, aggiungiamo la vendetta personale di Butcher, LM e Hughie, che a causa della Vought hanno perso i loro cari e sono stati costretti a insabbiare tutto, allora si capisce che la forza di questi combattenti è dirompente, impetuosa e non scende a compromessi.
Nonostante i loro difetti, simpatizziamo per i Boys proprio perché sono così disagiati, dannati e imperfetti: nella loro umanità, sono molto più vicini a una socratica virtù di quanto i Super possano mai esserlo, corrotti dalla superbia e dal lusso in cui vivono.
Questi antieroi umani, troppo umani, sono pericolosamente vicini al nichilismo, ma restano al confine del baratro perché ogni volta riescono sempre a trovare motivazioni per continuare la loro battaglia ideologica, intrinseche o estrinseche che siano.
Parodiando la società contemporanea con riferimenti studiati e mai banali, la storia di Kripke dà vita a un universo parallelo nel quale le cose materiali, che da bravi capitalisti ci rendono apparentemente felici, sono le contraddizioni più gravi della nostra esistenza quotidiana, la fonte dell’intimo malessere che facciamo difficoltà ad accettare.
The Boys tra marketing ed emergenza sanitaria

The Boys
Quello che è particolarmente interessante e rappresenta l’oggetto di un’analisi esterna ai contenuti della serie è il fatto che, a differenza della prima stagione, la seconda è stata rilasciata con episodi a cadenza settimanale.
Questa decisione stimola un ragionamento di ordine più ampio, sulla generale condizione di vita del pubblico a partire dall’inizio del 2020.
The Boys è composta da due stagioni e la terza è in programma: nata nel 2019, la serie è stata diffusa tramite Prime Video in un periodo cruciale per la crescita e il prestigio delle piattaforme di streaming; di fronte al dominio di Netflix e alla nascita di Disney+, Amazon vede in The Boys un prodotto di alta qualità in grado di competere con la concorrenza.
L’emergenza sanitaria per il COVID-19 ha costretto il pubblico a stare in casa per mesi e la televisione e le app di streaming sono diventate oggetto di attenzioni più amplificate rispetto al passato. Il binge-watching è stato sdoganato come fenomeno sempre più lecito, come strategia di coping collettiva per salvarsi dalla noia, dalla depressione, dall’ansia e dalla solitudine della vita in quarantena.
In uno scenario del genere, ‘drogarsi’ di prodotti cinematografici e televisivi è diventato comune e in un certo senso necessario; sorprende, dunque, la scelta di Amazon di rilasciare la seconda stagione di The Boys a cadenza settimanale e le speculazioni su questa decisione non sono irrilevanti.
Scegliendo questa strategia, nel periodo di pandemia globale che stiamo vivendo, la serie è riuscita a far parlare di sé per due mesi piuttosto che per due settimane, come sarebbe stato fisiologicamente normale in caso di diffusione degli episodi in un’unica giornata. Perché ciò che si verifica solitamente con prodotti come quelli di Netflix, infatti, è il tipico entusiasmo quasi fanatico che si sgonfia gradualmente nelle settimane seguenti all’uscita della serie.
Con The Boys, invece, l’attenzione e l’hype sono rimasti costanti proprio perché gli episodi sono stati visionati per otto settimane di fila.
Inoltre, per approfondire il discorso sul marketing che circonda la serie, è interessante anche porre l’attenzione sul modo in cui è gestito il profilo Facebook della pagina. Esattamente come nel caso di BoJack Horseman o Jessica Jones, anche The Boys costruisce una metanarrazione che rompe la quarta parete con i fan, entrando nella loro vita quotidiana attraverso gli schermi degli smartphone.
Filosoficamente, economicamente e in termini squisitamente culturali, The Boys non è una delle serie migliori di tutti i tempi, ma sicuramente ha personalità, lascia il segno e rappresenta un prodotto originale.
Vale la pena guardarla non solo perché stressa in maniera critica e sottile il dilemma etico relativo all’Eroe e all’Antieroe, ma anche e soprattutto perché attraverso questa critica disprezza giustamente le ipocrisie dello stile di vita occidentale, che di genuino e “buono” in senso assoluto non ha nulla, proprio come dimostrano i Super con le loro mostruose contraddizioni.