Con Spider-Man No Way Home, Peter Parker torna a fronteggiare villain storici, tra tutti il Dottor Octopus e Green Goblin.
Alfred Molina e Willem Dafoe riprendono i loro ruoli di antagonisti, che già vestirono nella trilogia di Sam Raimi.
Tuttavia, in quei film dei lontani 2002 e 2004, i due cattivi non rappresentavano solo degli opponenti, bensì celavano uno spessore e dei significati maggiori.
Innanzitutto non nascono villain, ma lo diventano; inoltre, hanno un rapporto speciale con Peter Parker, ancora prima di conoscere e conoscerlo come Spider-Man.
Come nella più iconica delle tradizioni mitologiche, si sviluppa un rapporto padre-figlio, con tutte le problematiche e la tenerezza che ne conseguono.
Come per i greci c’erano le dialettiche Urano/Crono e Crono/Zeus, allo stesso modo, possiamo guardare alle relazioni tra Spider-Man, Dottor Octopus e Green Goblin; o meglio, tra Peter e Norman Osborn e, poi, con Otto Octavius.

Peter Parker – Norman Osborn e il bisogno di un erede
Harry Osborn: «Credo che ti voglia adottare»
Norman Osborn e Otto Octavius incarnano due distinte declinazioni della figura paterna: la prima è autoritaria e intransigente, seppur vulnerabile e bisognosa; la seconda, invece, è salvifica e redentrice.
Osborn è il più vicino alla dimensione archetipica di “padre”, riarticolata, però, secondo fragilità più terrene, umane. Norman è uno scienziato e capo d’azienda di successo che non concepisce il fallimento se legato al suo nome, per cui non esiste la mediocrità. Per questo quasi ignora suo figlio Harry, e viene rapito dall’intelligenza e la tenacia di Peter Parker, che vorrebbe decisamente come suo erede.
Tuttavia, come nella più classica delle tradizioni mitologiche, un figlio che possa garantire una linea di sangue sana e forte è, comunque, una minaccia per il trono del padre. Quando nasce Spider-Man, nasce Goblin: il montaggio alternato ci mostra una natura che trova il suo equilibrio e schiera le sue forze in campo.
Come Esiodo ci racconta nella sua Teogonia, Urano prima e Crono poi ricevono entrambi un monito: sarà un figlio a detronizzarli. Si tratta, tra le altre cose, di un mito archetipico sullo scontro generazionale, ma anche sul desiderio innato che spinge l’uomo a realizzare sé stesso e la propria individualità, a costo di lottare contro ciò che è stato tramandato pedissequamente dal patriarcato, come insieme di regole a cui obbedire, anche se ritenute ingiuste e soprattutto migliorabili.
Forza e leadership salda, umiliazione e annichilimento di qualunque avversario e ostacolo: questo è Norman Osborn. Tuttavia, questo non è il modus operandi per l’ascendere e il realizzarsi di Peter. Entrambi, padre e figlio, hanno grandi poteri, entrambi possono imporsi come ideali, come modelli da seguire.

I tempi archetipici riportati dal mito sono fissi e consequenziali, e simboleggiano il passaggio da una fase di strapotere e onnipotenza, in cui il padre si arroga il diritto di vita e di morte sul proprio figlio, alla fase di esilio ed espiazione, per concludere con quella di saggezza e autorevolezza (di cui, però, parleremo più avanti).
Nello Spider-Man del 2002 la dinamica di questo archetipo si rivede in Goblin, che dice a Osborn come distruggere Parker.
Goblin: «Il cuore Osborn! Prima di tutto lo attacchiamo al cuore!»
All’inizio del film, Norman non ha occhi che per Peter: eppure, già coltiva quell’ambigua dinamica di odio e amore. Osborn Sr. è un padre che ha bisogno di un figlio, così come lo vuole lui, per un mondo che si costituisca secondo il loro ordine di esseri eccezionali nella mente, prima, nel corpo, poi.
Tuttavia, Peter aveva già avuto un padre: si chiamava Ben Parker. Norman/Goblin non tenta davvero di uccidere Spider-Man se non alla fine del film, quando ha capito che suo figlio è quello della profezia, il ribelle che lo abbatterà. Prima dello scontro finale gli pone delle sfide, delle scelte, ma non cerca mai di ferirlo a morte (tranne, forse, nel palazzo in fiamme, dove però capisce di non poterlo sopraffare fisicamente).
Finché non capisce che sono due ideologie diverse a scontrarsi, due padri che si contendono l’anima del medesimo figlio. E trionfa, in una maniera semplice ma non semplicistica, la ferrea dolcezza di zio Ben. Quando Norman lo realizza, decide di arrogarsi quel diritto di vita e di morte sul suo non-figlio Peter, fallendo però, come fecero Urano e Crono ai tempi. Curioso che l’ultimo pensiero di Osborn vada a suo figlio, quello vero, quello di un’altra storia archetipica in cui il rapporto si perpetua. «Non dirlo a Harry»: forse Norman capisce, solo nel suo ultimo attimo, che non vorrebbe mai che suo figlio diventi come lui. Questa, tuttavia, è materia per un altro articolo.

Peter Parker – Otto Octavius e le colpe dei padri
In Spider-Man (2002), Peter affronta il suo percorso di crescita grazie alla figura di zio Ben; anzi, addirittura rifiuta gli aiuti economici di Norman Osborn, un’agevolazione che gli avrebbe tolto proprio quegli ostacoli, soprattutto quelli quotidiani, che lo hanno reso non solo un grande eroe, ma un uomo giusto.
I soldi della Oscorp avrebbero privato Parker di quelle esperienze che gli hanno permesso di crescere; zio Ben, invece, gli ha “solo” mostrato la soglia della vita di ogni giorno, avvertendolo della forza d’animo che ci vuole per attraversarla.
Non è solo Spider-Man ad avere i grandi poteri; infatti, zio Ben, a pensarci, non poteva saperlo. Conosceva solo la bontà di Peter e la sua intelligenza, quelli sono i grandi poteri che vedeva in suo nipote, e che in Spider-Man 2 (2004) vengono quasi accantonati, in favore della vita da arrampicamuri.
La maschera inizia a mettere i bastoni tra le ruote all’uomo, che piano piano si impigrisce, mancando di equilibrio tra eroe e persona, tra eccezionale e quotidiano. Tuttavia, proprio nelle prime sequenze del film, sarà il villain di turno a dare il primo monito all’eroe.
Otto Octavius: «Parker, ora mi ricordo di te, sei un allievo di Connors. Dice che sei brillante, ma dice anche che sei pigro. […] Essere brillanti non basta, giovanotto, bisogna lavorare. L’intelligenza non è un privilegio, è un dono che va usato per il bene dell’umanità».
Per Otto Octavius, dunque, l’intelligenza è un grande potere da cui derivano grandi responsabilità.
Questo lo rende uno dei villain (o meglio, antagonisti) migliori di sempre: lui non cerca di demolire l’eroe, di farselo alleato o di corromperlo; lui, l’eroe, lo aiuta a crescere. Questo dovrebbe fare un padre: non cercare l’erede perfetto, la copia di sé stesso più giovane; bensì creare un uomo (inteso come essere umano) nuovo, capace di fare le sue scelte e di assumersi le sue responsabilità. Qualcuno che possa migliorare ancora, rispetto alla generazione precedente.

Tutto Spider-Man 2 si basa sul dualismo Uomo Ragno/Peter Parker, e tra le schiere di chi aiuta il ragazzo a risolvere questa dialettica c’è proprio quello che dovrebbe essere il cattivo, quello che dovrebbe lacerare l’eroe in due.
Otto Octavius non appartiene alla categoria di padri cui appartenevano Urano, Crono o Norman Osborn; Octavius non cerca mai di distruggere Peter, ma sempre di impedire che Spider-Man gli porti via il suo sogno, il lavoro di una vita (la famosa potenza del sole nel palmo della mano). Un’ambizione, invero, mitologica, se messa in questi termini, ma declinata da Sam Raimi in una maniera spietatamente umana.
Perché laddove si dice che le colpe dei padri ricadono sui figli, il dottor Octavius dimostra il contrario. Otto Octavius si apre al dialogo con il suo figlio metaforico, Peter, e gli lascia la possibilità di redimerlo.
Un po’ come Luke fece con Darth Vader, ma in una maniera assai più intensa: perché Peter convince Octavius con le sue stesse parole. Il rapporto che c’è tra i due non si basa su ideologie contrapposte, anzi, seguono lo stesso credo, basato su saggezza e autorevolezza.
Il senso di responsabilità redime il dottor Octavius, che non permette alle sue colpe di ricadere su Peter, perché un padre fa anche questo: protegge suo figlio. Infine, dunque, per espiare le sue colpe si sacrifica, per non morire da mostro. Perché solo un mostro divora i suoi figli, solo un mostro tenta di ucciderli, solo un mostro impone la sua visione delle cose al mondo. Un vero eroe, invece, si assume la responsabilità dei suoi sbagli e tenta di porvi rimedio, e mette i suoi doni al servizio dell’umanità. Un vero eroe cerca di fare la cosa più difficile, come dirà zia May in Spider-Man 3: perdonare sé stesso.
Quell’eroe è Otto Octavius, il “cattivo” che ha permesso a Peter Parker di compiersi come Spider-Man.




