Bestiari Erbari e Lapidari: l’uomo in eterno

Lorenza Sacco

Luglio 3, 2025

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L’uomo è davvero una creatura eterna?

È questa la domanda che Bestiari Erbari e Lapidari si pone, tracciando percorsi evocativi fatti di immagini, suoni e materia. Presentato Fuori Concorso all’81 edizione del Festival del Cinema di Venezia, il nuovo film documentario dei registi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti presenta un carattere enciclopedico e saggistico, capace di condurre lo spettatore ad una riflessione critica e, allo stesso tempo, poetica sulla natura umana.

Nonostante la finitudine che contraddistingue l’uomo, infatti, quest’ultimo riesce a permanere nel reale e ad acquisire connotati eterni.

Come è possibile tutto ciò?

A detta dei registi, l’eternità non è certamente un attributo ontologico dell’essere umano, bensì una possibilità che a quest’ultimo si manifesta in relazione a ciò che lo circonda.


E in effetti, l’immortalità e la capacità rigenerativa attraversano il film in tutte e tre le parti, con modalità e dispositivi diversi, raggiungendo un alto livello di spinta riflessiva e di percezione estetica.
Il motivo della suddivisione interna è stato così spiegato dai registi:

«Abbiamo diviso il documentario in tre parti per differenziare il sistema della narrazione.
Abbiamo scelto il film d’archivio per Bestiari dal momento che gli animali sono sempre stati oggetto del cinema fin dalle origini, già con gli studi sulle forme di proto-movimento.

Il documentario di osservazione per Erbari, dipende, invece, dalla volontà di rendere protagoniste le piante addomesticate che preesistono in natura aldilà della presenza umana.

Per quanto riguarda Lapidari, invece, avevamo pensato ad un film di viaggio in forte contrapposizione rispetto alla staticità delle pietre, poi però abbiamo cambiato idea e scelto la tipologia del film industriale per porre l’accento sul processo di creazione delle pietre d’inciampo, che tanto si lega al processo di salvaguardia della memoria umana»

(Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)

La struttura tripartita, ispirata ai compendi medievali, funge dunque da chiave di accesso ad una vera e propria indagine poetica e filosofica sulla condizione umana e sulle sue latenti potenzialità di sopravvivenza.

«In Bestiari Erbari e Lapidari volevamo seguire l’origine del cinema e non quella della vita. Ecco perché Bestiari è il primo. L’ordine scelto ci ha permesso, inoltre, di costruire un viaggio dalla creatura più vicina all’uomo, l’animale, fino all’elemento più lontano, le pietre, che soltanto apparentemente non intessono legami con l’umano».

(Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)

Bestiari Erbari e Lapidari: la cura della natura

Si può dire, quindi, che nel film l’antropocentrismo occupi una posizione marginale e che la presenza dell’uomo in quanto tale acquisisca valore nel momento in cui quest’ultimo entra in relazione con nature diverse.

Un rapporto ambivalente, grazie al quale l’attività umana si carica di significati ulteriori, di protezione e di cura, e proprio per questo tende ad una condizione di eternità.

Alla base di questa evidente struttura tripartita che connette mondi animali, vegetali e minerali, si pone la logica dell’accumulo: una quantità innumerevole di immagini differenti, filmate o già esistenti, che sottolineano la componente materica del reale alieno e le linee di forza che lo alimentano.

Bestiari Erbari e Lapidari: non l’unico tentativo di eternità

Interessante notare come la struttura suddivisa in più parti e la stessa tematica connessa all’eternità umana vengano affrontate già nel film documentario, realizzato da D’Anolfi e Parenti nel 2016, dal titolo emblematico Spira Mirabilis. La locuzione latina, evoca, infatti, la “meravigliosa spirale”, simbolo di rinascita vitale e di infinitudine.

In questo caso, il concetto di immortalità, inteso come capacità di vivere per sempre aldilà del tempo, viene ricercato in cinque elementi naturali diversi: l’acqua, l’aria, la terra il fuoco e l’etere. Ancora una volta, entrando in relazione con essi, l’uomo garantisce per la sua specie la sopravvivenza eterna, o almeno ci prova.

Spira Mirabilis (2016)

«In Spira Mirabilis, il tema dell’immortalità è legato in qualche modo al lavoro e, di conseguenza, a elementi molto concreti. In Bestiari, Erbari e Lapidari, invece, l’immortalità porta ad una riflessione più metaforica sulla relatività del tempo e del luogo».

(Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)

Se in entrambi i documentari il cinema agisce come strumento poetico e conoscitivo, in Bestiari Erbari e Lapidari, l’accumulo di materiali filmici, storici, letterari e industriali genera una riflessione più complessa sulla contraddittorietà della natura umana, proprio perché ne evidenzia il paradosso: una natura ai margini, ma indissolubile, destinata ad esaurirsi, eppure resa immortale da ciò che essa stessa tocca.

La musica come fonte di eternità

In entrambe le opere, risulta fondamentale anche l’apporto musicale. Per Massimo Mariani, collaboratore dei due registi, i suoni vengono sempre generati dalle immagini.

In effetti, in Bestiari Erbari e Lapidari, il rapporto tra le immagini e la musica varia costantemente ed è funzionale alla rigenerazione dello spettatore. La componente sonora riesce quindi ad amplificare la riflessione critica delle immagini e la loro rielaborazione soggettiva da parte di chi le osserva.


Ed è così che le atmosfere musicali cambiano: dai suoni orchestrali ed evocativi che rimandano ai versi di balene e di uccelli notturni in Bestiari, si passa al tappeto sonoro fatto di suoni allungati in Erbari, fino alla musica più elettronica e invasiva con evidenti distorsioni in Lapidari.

«In Bestiari Erbari e Lapidari abbiamo portato avanti con Massimo Mariani un lavoro di stratificazione di suoni e di musiche, partendo da modulazioni già esistenti, spesso conservate in archivi e scartate, a cui abbiamo applicato modifiche funzionali alle tre parti del nostro documentario».

(Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)

L’elemento musicale esaspera, insomma, la facoltà immaginativa dello spettatore che è chiamato ad interpretare le numerose immagini e a dare loro un nuovo senso.

Bestiari Erbari e Lapidari: un esempio di found footage

La risemantizzazione arbitraria delle immagini, a cui il film documentario aspira, affonda le sue radici nel processo di autenticazione delle stesse, fulcro della riflessione di Pietro Montani: grazie ad un montaggio intermediale, immagini di natura diversa subiscono processi di attualizzazione e di rielaborazione, messi in atto dello sguardo spettatoriale.

«L’autenticazione è un lavoro dichiaratamente lacunoso, provvisorio e rivedibile».

(Pietro Montani)

Inserendosi in questa traiettoria, D’Anolfi e Parenti ricorrono alla pratica del found footage, o tecnica del riuso di immagini ricombinate, per svelare una possibile “nuova verità” del reale.

In Bestiari, Erbari e Lapidari, l’accostamento filmico di immagini di archivio – dall’Istituto Luce, alla Cinémathèque Suisse, all’Eye Filmmuseum di Amsterdam – e di immagini riprese è ciò che consente allo spettatore di elaborare la propria verità.

E non solo, il ripristino e il riuso estetico-concettuale di immagini che sono destinate per loro natura a perire – proprio come l’uomo- fa sì che esse riescano, invece, a sopravvivere all’infinito: la risemantizzazione è infatti costante e multipla in base all’esperienza dell’osservatore.

E in effetti, il cinema, se lo si pensa come “giacimento archeologico” – così lo definisce Marco Bertozzi nel testo Recycled Cinema – recupera immagini dimenticate conferendo loro una nuova vitalità e preservandole nel tempo.

«Tutta la storia del cinema appare come un immenso parco archeologico in cui si trovano sorprendenti scoperte e in cui l’immagine può diventare eterna».

(Marco Bertozzi)

Ed è così che in Bestiari Erbari e Lapidari, la marginalità dell’uomo come “deposito” apparentemente trascurabile diventa indispensabile per la sua sopravvivenza eterna.

Bestiari Erbari e Lapidari: l’animale reso eterno dal cinema

Bestiari Erbari e Lapidari: l’eternità in tre concetti

Gli spunti che portano lo spettatore a riflettere sull’idea di eternità umana scaturiscono in modalità differenti.  Nello specifico, il rapporto tra l’immagine cinematografica e l’animale in Bestiari porta a pensare al modo in cui l’animale diventi immortale grazie ad un dispositivo che, seppur tecnico e macchinico, viene comunque diretto da uno sguardo umano.

Allo stesso modo, in Erbari, la finitudine umana, evidenziata dalla rigenerazione delle piante dell’Orto Botanico di Padova, viene ribaltata in infinitudine grazie all’idea di cura che lega l’essere umano alla natura, permettendo a quest’ultima la continua rinascita.

In Lapidari, infine, diventa centrale il concetto di fossile: i minerali con la loro immobile e pesante forma riescono a conservare e a proteggere la memoria umana, rendendo vivo ed eterno ciò che ormai risulta essere cenere.

Bestiari Erbari e Lapidari: i fossili come memoria umana

La stessa energia vitale che innerva il reale, lega anche le singole inquadrature del documentario, conferendogli  un ritmo naturale e dinamico.

Come direbbe il critico ungherese Béla Balázs «il cinema continua ad essere una tecnica volta, però, ad una produzione di tipo spirituale».

«Per noi Bestiari Erbari e Lapidari doveva essere bello, ma non estetizzante. Partendo dal titolo, che è stato per noi la guida, abbiamo cercato di unire il mondo scientifico a quello culturale e artistico e di fondere alcuni aspetti fantastici, con altri alchemici e letterari.

In fondo, l’intreccio di saperi risulta essere un ottimo motore di ricerca per capire le potenzialità eterne dell’uomo a cui un soggetto può credere oppure no».

(Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)

L’uomo è davvero eterno?

Il ribaltamento continuo di prospettiva e l’adozione di punti di vista molteplici che Bestiari Erbari e Lapidari mette in gioco, invitano lo spettatore a elaborare la risposta, rifacendosi ad un personale livello di immaginazione, poesia e memoria.

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