Una battaglia dopo l’altra: tra gen z, One Piece e libertà

Francesco Botticelli

Ottobre 6, 2025

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Paul Thomas Anderson e il sogno infantile di essere un pirata libero o un cowboy senza nome

In un periodo storico in cui parlare di guerra, morte e genocidi è tornato all’ordine del giorno, in cui fare battute sui rifugi antiatomici non fa così ridere e i governi si dichiarano guerra con squadre di calcio sullo sfondo, può esistere ancora una forma di speranza o di consapevolezza?

Forse sì.

Forse stiamo riscoprendo che le nuove generazione non sono così inglobate dalla cultura pop e dai nuovi media da essere completamente lobotomizzate, anzi. Stiamo forse scoprendo che proprio da quei mondi inesplorati stanno nascendo degli ideali, dei modelli da seguire che seguono un solo richiamo: la libertà.

«I’ll tell what freedom is to me. No fear»

(Nina Simone, Freedom is a feeeling! Freedom is No Fear!)

One Battle After Another, Paul Thomas Anderson

Secondo Nina Simone, la più grande contrapposizione alla libertà è la paura. Ed è su questo concetto all’apparenza basilare che si basa la scrittura del film e dei personaggi di Paul Thomas Anderson. Personaggi fragili che mostrano un’anima labile e confusa, spesso in contrapposizione con l’interpretazione canonica di bene e male. L’abilità magistrale del regista è stata quella di non puntare mai il dito, di chiudere un cerchio cominciato con Boogie Nights in cui l’autore si fa guidare dai suoi personaggi nelle profondità archetipiche della loro anima, abbandonandosi ai loro bisogni.

«Se il confronto con l’ombra è l’opera dell’apprendista, il confronto con l’anima è l’opera del maestro»

(Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo)

La paura incessante di essere vivi

Il colonnello Stephen J. Lockjaw vive nella paura. È un cacciatore preda di sé stesso. Vittima di una società decisamente più grande di lui e dalla quale agogna solo ed esclusivamente il riconoscimento. Si muove meccanicamente nel deserto di strade roventi alla ricerca spasmodica del suo unico motivo di vita: il potere. Terrorizzato dalla possibilità di sentirselo scivolare via fra le dita, il suo bisogno è talmente forte da farci quasi dimenticare che anche lui ha un cuore pulsante, che vive e respira esattamente come noi. La sua brama di non avere paura è talmente radicata da farlo sopravvivere a morte certa, solo fra le dune di un deserto senza nome.

One Battle After Another, Paul Thomas Anderson

Anche Bob Ferguson vive nella paura. Nella paura di essere sincero con sua figlia e di guardare al proprio passato. Nella paura di alzarsi la mattina e tornare ad essere uno dei tanti individui mangiati dalla società. Bob Ferguson non è libero, e ci si può domandare se lo sia mai stato o se alla fine fosse semplicemente la presenza di Perfidia Beverly Hills a tenerlo ancorato lì, a renderlo un grande eroe per i “French 75”.

One Battle After Another, Paul Thomas Anderson

E allora perché Willa dovrebbe essere libera? Semplicemente perché Willa ancora ci crede.

Perché il fuoco dentro di lei è talmente forte da incutere timore ad alcuni e riaccendere la miccia e ispirare chi ha il bisogno di far sentire la propria voce. Willa è un simbolo di una generazione che si è stufata di vivere nell’ombra e che finalmente sta tornando a far sentire la propria voce.

Il killer Avanti, che decide di sacrificarsi per Willa, incarna la libertà stessa che prende vita, che ascolta il suono dei tamburi della liberazione e segue il richiamo di una rivoluzione che ha già superato le porte d’ingresso e si è accomodata nella sala principale. Una rivoluzione che esiste già e che ha preso come simbolo un altro personaggio capace di ispirare la libertà negli altri: Monkey D. Rufy.

I pirati della liberazione

Cappello di paglia è attraversato dal ritmo dei tamburi della liberazione. Ne è l’incarnazione stessa tanto da poter plasmare la realtà circostante grazie alla sua immaginazione. Non smette mai di credere nei suoi ideali, nemmeno quando la sconfitta sembra l’unica opzione e il dolore diventa insopportabile. Nemmeno quando gli amici sembrano voltargli le spalle o persone muoiono seguendo il suo stesso sogno.

Rufy non può vivere nella paura e nelle regole che gli altri hanno scritto per lui. Vive secondo il suo credo che è talmente forte e puro da smuovere perfino i suoi nemici, oltre che a spingere i suoi amici a credere così profondamente in lui, da andar contro il governo mondiale e dare fuoco alla bandiera.

«È il mio sogno… ecco perché non mi importa morire per esso

(Monkey D. Rufy, One Piece)

Questa sua convinzione si è rivelata talmente potente da fuoriuscire dalle pagine cartacee del manga e dagli schermi colorati dell’anime. Il suo simbolo ha cominciato a diffondersi per il mondo, ad invadere le strade ed essere sventolato come vessillo di unione.

Prendendo per vere le parole di Tiziano Terzani, per cui il vero cambiamento può venire solo da noi stessi, allora dobbiamo prendere coscienza del fatto che Eiichiro Oda tramite Rufy ha aiutato a dare voce a un inconscio collettivo, facendolo diventare un simbolo. Ha ispirato le persone a cambiare per perseguire quella libertà di cui tanto si è sentito parlare, ma che molto poco abbiamo percepito nella nostra vita.

Dall’Indonesia al Nepal, dalla Francia alle Filippine, il jolly roger dei Mugiwara è stato sventolato fra le fiamme e appeso su edifici governativi. Un simbolo che ha accompagnato e accomunato i giovani di tutto il mondo nel rialzare la testa contro quello stesso potere che ha creato il regime di paura nel quale viviamo oggi e contro il quale si ribellano sia Rufy che Willa. Una bandiera che ha fatto riecheggiare i tamburi della liberazione tramite chi ha deciso di non abbassare la testa.

Silvers Rayleigh: «La Rotta Maggiore supera di gran lunga ogni vostra fantasia. I nemici sono fortissimi. Riuscirai a dominare il suo mare impetuoso?»

Monkey D. Rufy: «Macché dominare! In tutto il mare non esiste nessuno che ami la libertà più del re dei pirati!»

Finalmente l’undicesimo membro

Dando voce a personaggi come il Sensei, disposto a tutto pur di combattere in quello in cui credono, che si sacrificano per amici appena conosciuti ed hanno sempre una birra a portata di mano, pronti a farsi una risata, Paul Thomas Anderson rende vivo l’ideale dei Mugiwara. Attraverso il suo senso radicato di libertà il regista è riuscito a creare un personaggio (come anche Willa) idealmente perfetto per diventare l’undicesimo membro della ciurma di Rufy.

Una figura per cui la paura non è nemmeno un opzione, mossa da ideali talmente forti da sembrare inscalfibile pur camminando in equilibrio costante sulla flebile linea che separa canonicamente giusto e sbagliato.

Libero e autentico perché affronta le proprie paure. Non le teme.

One Battle After Another, Paul Thomas Anderson

Il passato non scriverà il nostro futuro e soprattutto non permetteremo di essere definiti da esso. La storia di Perfidia non è quella di Willa e le paure di Bob non vivono attraverso lei. Willa esiste al di fuori delle regole e delle mancanze dei suoi genitori e, esattamente come Rufy e il sensei, ha deciso di costruirsi il proprio futuro da sola, sbagliando e soffrendo con fierezza.

Donquijote Doflamingo: «I pirati sarebbero il male? E la Marina rappresenterebbe la giustizia? Bene e Male non sono altro che colori sulla tela i cui nomi cambiano di continuo!»

E no, noi come Willa non siamo una generazione di mezzo come tutti credono. Non siamo definiti dal mondo che ci è stato lasciato a da scelte alle quali non abbiamo preso parte. Sicuramente siamo la generazione dei paradossi, scissa fra due mondi e abituata a vedere orrori affiancati da notizie sulle intolleranze alimentari degli influencer.

Siamo sicuramente una generazione alla quale la speranza è stata sottratta da sotto le scarpe e a cui hanno cercato di sopprimere i sogni. Eppure, sicuramente siamo una generazione che non ha intenzione di smettere di crederci e che ha deciso di alzarsi per prendere il proprio posto. Che ha deciso di prendere una strada diversa e scegliere da sola i propri simboli, iniziando ad immaginare un’alternativa, una battaglia dopo l’altra. Con coscienza di ciò che è stato ha abbracciato il nuovo per creare una nuova via, una nuova voce.

Ben vengano le Willa del nostro tempo, i Monkey D. Rufy e tutti quelli che hanno la capacità di sognare.

Ben venga Paul Thomas Anderson con il suo bisogno di parlare di un’America più profonda di quella che si legge sui giornali, di un mondo legato ancora al vecchio West e in cui i pirati sparano con le carabine.

Ben venga il cinema che non ha paura di esporsi e che prende posizione. Il cinema libero dalla paura mediatica, che va contro l’omologazione delle piattaforme. Il cinema che decide di raccontare una storia che alla fine potrebbe essere quella di ognuno di noi, di rivalsa e coraggio. Una storia che ci ricorda che tutti possiamo farci valere come Willa e Rufy per far sentire la nostra voce, una lotta dopo l’altra.

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