De donde vienes, Silencio – Niccolò Donatini e il bisogno di raccontare il non detto

Francesco Botticelli

Dicembre 1, 2025

Resta Aggiornato

«Un po’ come i dolci delle pignatte, io ti do i dolci in modo che la tua vita sia un po’ meno amara»

(Niccolò Donatini)

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini è un’ode a un compagno dimenticato, sempre pronto a ricordarci della sua presenza: il silenzio.

Il silenzio creato da Niccolò è vero, tangibile e quasi gravoso nella sua essenza. La storia di Greta, giovane ragazza abbandonata dal padre, è l’anima di una continua ricerca in questo silenzio che è tanto interiore quanto esteriore. La mancanza è forse più silenziosa dell’assenza di rumore stesso, non può essere colmato da corride, piñatas o risa di bambini.

Una ricerca che sembra trovare i propri momenti di stasi in quello che ricorda un grembo materno, dentro un Temazcal, avvolta per qualche breve istante da un silenzio solitario.

La vorticosità delle riprese di Niccolò trasporta lo spettatore in una visione personale del Messico, umana e leggiadra nella sospensione della vita. Uno squarcio di esistenza nel quale si viene risucchiati e dal quale, forse, non si vuole uscire.

Girato nel 2024 durante un laboratorio di cinema in Messico sotto la supervisione del Pardo d’Oro Pedro Costa. De donde vienes, Silencio, co-produzione Italia–Spagna (PlayLab Films e Basement Headquarter), distribuita da Nieminen e presentata in anteprima mondiale ad Alice nella città – Festa del Cinema di Roma, nella sezione Ondecorte – Panorama Italia.

È l’ultima opera, come la definisce lui, forse la più matura artisticamente parlando del regista Niccolò Donatini. Ed ecco a voi Niccolò e il suo mondo di silenzio.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

Ci puoi raccontare come e da dove nasce il bisogno di raccontare il silenzio con la S maiuscola?

Durante un periodo difficile ho cominciato a chiedermi che cos’è il silenzio e, in caso ancora esistesse, qual è la sua importanza. La risposta è stata che per me il silenzio con la S maiuscola è una condizione quasi di cura a cui ho voluto dar vita. Poi ho trovato la poesia di Mariangela Gualtieri mentre ero sul furgone a cercare le location ed è stato tutto impulsivo: ho letto la poesia, mi è arrivato un pugno allo stomaco e me ne sono innamorato.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

Un passaggio in particolare racconta di un bambino cullato da un Ninna Nanna che sta dormendo sull’orlo di un burrone, nonostante tutto non cade e nemmeno si sveglia. Questa immagine di lasciare l’infante, o il sognatore che dir si voglia, di fianco a un burrone secondo me è specchio di come viviamo come generazione l’atto di fronteggiare il pericolo. Questo nero plumbeo che abbiamo di fianco e che sembra avvolgerci e sopraffarci, ma che con una ninna nanna sembra sparire e restiamo cullati nel sogno. Un po’ come i dolci delle piñatas, io ti do i dolci in modo che la tua vita sia un po’ meno amara.

Essendo un lavoro così personale, che tipo di processo hai dovuto fare per girare in un paese non tuo, in una lingua non tua, con attori che non erano attori e con dei tempi molto brevi?

Per la tesi magistrale ho studiato la cultura e la sociologia del Messico che è per definizione una border culture, una società di confine. L’influenza e la repressione europea e statunitense, che hanno apice con la costruzione del muro con gli Stati Uniti, hanno fatto sì che il Messico perdesse molta della sua identità culturale. Originariamente, fino al Cinquecento, le piñatas avevano sette punte, simbolo dei sette peccati capitali. L’atto di romperle rappresentava la vittoria della virtù sul peccato e le ricompense invece erano la grazia divina. Dall’invasione spagnola in poi la piñata ha perso gran parte del suo significato religioso, trasformandosi progressivamente in un prodotto commerciale e in un semplice elemento festivo.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

Così hanno preso il sopravvento simboli pop, come Spiderman e Sailor Moon, che non hanno niente a che fare con l’origine di questa tradizione.  È una cultura sospesa tra la siesta e la Fiesta — quasi in bilico, come un bambino nella sua ninna nanna. Da un lato, il peso della storia: i desaparecidos, la violenza, la povertà, la memoria collettiva del dolore. Dall’altro, una vitalità che esplode in riti, colori e celebrazioni: è forse la cultura che più di ogni altra sa trasformare la sofferenza in festa, la morte in danza, il lutto in canto.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

Quindi prima una lunga ricerca, e in quel senso aver studiato prima Pedro Costa e poi essere andato con lui a fare questa cosa, aver studiato Apichatpong Weerasethakul, Lav Diaz, ma anche Tsai Ming-liang che è tutto un cinema molto osservativo, mi ha aiutato ad aprirmi a una filosofia molto più ricettiva che manipolativa, mi son detto di essere più contemplativo e osservativo. Nel pratico, prendere la camera e lanciarsi in una realtà: stare fermo nei marciapiedi, guardare la gente che passa, infilarmi nelle corride e costruire piñatas per una notte intera con la signora del negozio.

Osservando il tuo lavoro, mi viene da dire che il tuo modo di girare, veloce e quasi di rapina, sia esso stessa una meditazione sull’assenza, come se ogni inquadratura già meditasse sul suo ruolo mentre viene rubata. Come affronti questo rapporto di sospensione tra il frammento e l’insieme mentre giri?

Nasco prima montatore, quindi mi piace trovare le affinità intellettuali fra le immagini. Le affinità sono infinite, possono essere plastiche, per luce, colore, angolatura, lente, focale oppure intellettuali, quindi di senso. Ad esempio, c’è uno stacco che mi piace moltissimo: Greta è chiusa dentro il tempio Temazcal, costruito con una struttura circolare e lo shot dopo taglia secco sulla corrida che ha anch’essa una struttura circolare e lì, in un secondo, hai tutto il contrasto che ti serve. Perché il rituale dello stare in silenzio dentro il Temazcal, che è per i Maya proprio il luogo della purificazione dello spirito, va in contrasto con il luogo del rituale contemporaneo, la corrida. Nei tre giorni di riprese mi è capitato spesso di lasciare andare il REC e portar la camera in mano, decidere di non scegliere quello che riprendevo.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

Ci sono un paio di sequenze in cui sono proprio io che cammino, come se fosse quasi un POV di non si sa chi. In questo senso insieme alla camera che si perde è come se volessi far perdere anche lo spettatore in questo universo.

Perché io in primis non posso essere talmente scemo da dire, vado tre giorni in Messico e pensare di raccontare bene quel luogo, ricerche o non ricerche. Però, e per me questo concetto è vitale, o rubo e io stesso non ho controllo di ciò che sto rubando oppure ti coinvolgo in quello che sto facendo. Devo avere rispetto per quello che tu sei, per quello che mi stai donando.

Il documentarista deve vivere di questo rispetto, altrimenti rischiamo di fare un colonialismo d’immagine. Il montaggio è quello che mi permette di lavorare anche da solo, banalmente di attemperare a delle mancanze, come dici tu, delle assenze. Sei da solo, non hai le luci, non c’hai un cazzo e allora dove ragioni? Ragioni di creatività.

Che tipo di effetto volevi ottenere con il lavoro di sound design e la voce fuori campo, già molto importante in altri tuoi lavori, in un film incentrato sul dar vita al Silenzio?

La poesia che tratta il suono e il silenzio mi ha portato subito più su una forma d’ascolto piuttosto che su una visiva. Anche in questo ero solo, non c’era nessun boom operator, e avevo solo due DJI mini. Per di più dove giravo stavano costruendo la struttura per la corrida ed ero avvolto dai suoni di locali che costruivano le impalcature, di toreri e carri con musica ininterrotta. Quindi il vero casino era dare una continuità sonora al film, perché non avevo veramente mezzo secondo di silenzio.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

Questa è stata la prima cosa impattante a livello registico, mi son detto “aspetta un attimo, dove si può trovare il silenzio dove c’è sto bordello”. E prima ero convinto fosse impossibile, di star sbagliando tutto, ma poi ho capito che il silenzio in una cultura essenzialmente massmediatica, casinista, caotica ed energica, diventa ancora più forte, molto simile all’effetto della camera anecoica. Però il silenzio non è solo quello che Greta percepisce, è anche quello che lei sente a livello emotivo, il silenzio del padre che manca da anni. E quel silenzio non è acustico, è emotivo, uno stato di depressione.

Quindi torno a casa con tutto questo materiale caotico e sento FULLCODE, studio di post audio di Tommaso Barbaro e Nico Palermo con cui ho lavorato benissimo. Con Tommy, facciamo una chiamata: ore e ore al telefono e a un certo punto mi dice che forse sa cosa serve. Non mi dice niente, passano 2 o 3 giorni e mi manda una foto: uno speaker del suo studio avvolto da una scatola di plastica, praticamente aveva attaccato un geofono allo speaker.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

Per darti un quadro il geofono è uno strumento che viene usato in sismografia, lo utilizzano per misurare frequenze audio non udibili all’orecchio umano, come la camera Anecoica appunto, ed è stato essenziale per dare un corpo al suono che poi, di fondo, è stata la seconda linea registica che abbiamo preso: dare forma tangibile al silenzio. Hanno riprodotto elementi audio selezionati attraverso un altoparlante rivestito in un materiale antivibrante e posizionato il geofono direttamente su quella superficie. Questa configurazione gli ha permesso di catturare solo le qualità risonanti e tattili del suono: ciò che il materiale “sentiva” piuttosto che ciò che “udiva”. Hanno isolato tutte le tracce audio che io ho registrato in Messico – per darti un’idea del lavoro avevamo un mix audio di 170 livelli partendo da un direzionale e un DJI – e hanno creato una composizione pazzesca.

Perché hai deciso di mostrarci il mondo della protagonista attraverso una pignatta, un simbolo che nella cultura popolare europea ha una sua vita solo all’interno della violenza, di sua natura rumorosa?

Mentre ero lì a fare un sopralluogo, vedo un negozio di piñatas, mi innamoro ciecamente di come vengono fatte e, in più, mi ricordano lontanamente degli impiccati appesi. Poi scopro che in Messico non usano la benda sugli occhi e nemmeno la mazza, loro la prendono a cazzotti guardando in faccia l’oggetto del desiderio. È molto più violento. Tra l’altro si vede, quando giocano tutti i bambini, il padre che tira su la piñata, che da noi è fissa, attaccata a una carrucola. Con questo gesto, all’apparenza innocuo, priva una bambina troppo bassa di arrivare all’oggetto del desiderio che ha davanti agli occhi.

De donde vienes, Silencio di Niccolò Donatini

La protagonista è la piñata e quando finalmente si rompe a Greta escono le parole. Anche il padre è una piñata: sta fermo lì, sull’uscio, irrigidito. In quel momento di confronto c’è un audio molto importante: i bambini danno dei cazzotti, Bum Bum, mentre lei dà una spinta al padre e lì sente di nuovo Bum, lo stesso Bum che c’è sulla pignatta. Padre piñata, involucro che te devi sfondare di botte per fargli dire solo una parola, che poi manco capisci che cazzo sia. È un simbolo che ho utilizzato per dare, tanto come il geofono dal punto di vista sonoro, un livello visivo al silenzio.

Tu dove ti collochi in questo silenzio percepito dalla protagonista, quanto è suo e quanto è tuo?

Pure io sono la pignatta, cioè se avessi potuto scegliere un occhio registico nel film e farlo meglio – con la produzione, un DOP, avere i carrelli e tutto – sarebbe stato tutto dal punto di vista di una pignatta appesa al soffitto che ciondola. Perché pure io sono la pignatta e non vedo l’ora di essere presa a cazzotti.

Niccolò Donatini

Leggi anche: /ma·tri·mò·nio/ – Gaia Siria Meloni, ricerca sociale e cinematografica

Autore

Correlati
Share This