De André – Principe Libero

Andrea Martelli

Febbraio 17, 2018

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Fabrizio De André – Principe Libero è un film Rai diretto da Luca Facchini.

«Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare».

(Samuel Bellamy)

La citazione del pirata britannico Samuel Bellamy appare nelle note di copertina di uno dei dischi più belli di Fabrizio De André, Le Nuvole, e racchiude in poche parole l’essenza della vita e del pensiero del poeta genovese.

Hotel Supramonte

 «Un invito all’Hotel Supramonte, dove ho visto la neve».

(Fabrizio De André, Hotel Supramonte)

Il film si apre e si chiude con la vicenda del rapimento di Fabrizio e della compagna Dori Ghezzi nella loro casa di campagna in Sardegna. Nel mezzo assistiamo a tutte le vicende che hanno accompagnato e plasmato il pensiero dell’artista.

Si racconta dell’amicizia sincera e divertente con Paolo Villaggio, che lo spinge a esprimersi, comporre e suonare e che lo sprona a rapportarsi col pubblico; l’incontro col poeta Riccardo Mannerini, fondamentale nella formazione di Fabrizio; le profonde conversazioni e i lunghi dialoghi con il tormentato Luigi Tenco, ricordato anche per la tragedia del suicidio nella nota edizione di Sanremo; il rapporto d’amore e odio col padre, che rappresentava quella classe sociale mai amata da Fabrizio, ma al quale vuole riconciliarsi in punto di morte.

De André
Dori Ghezzi e Fabrizio De André

Ma anche il suo rapporto con l’amore: prima la convivenza tormentata e riparatrice con Puny, la madre del suo primogenito Cristiano, costellata da continui litigi a causa dell’animo inquieto dell’artista, poi l’amore di una vita, Dori Ghezzi.

Con Dori Fabrizio trova la serenità che non aveva mai avuto e scopre veramente cosa sia l’amore, tanto da legarsi a lei in matrimonio. La vicenda del rapimento di Fabrizio e Dori, avvenuta mentre si erano ritirati in campagna e stavano vivendo un’esistenza tranquilla, sottolinea maggiormente questo rapporto genuino fra i due, fatto di vero amore, rispetto e serenità d’animo.

«Grazie a te ho una barca da scrivere, ho un treno da perdere, e un invito all’Hotel Supramonte dove ho visto la neve, sul tuo corpo così dolce di fame, così dolce di sete».

(Fabrizio De André, Hotel Supramonte)

La città vecchia

A interpretare De André si erge un magistrale Luca Marinelli, che indossa i panni del cantautore con eleganza e disinvoltura. Senza voler per forza copiare, scimmiottando l’artista, ne crea una personale versione, credibile e godibile. Nonostante l’accento genovese sia sostituito da un leggero romanesco, a vederlo distrattamente sembra che Faber sia tornato in vita, anche grazie alla somiglianza fisica e alle particolari movenze saggiamente riprodotte.

De André
Luca Marinelli interpreta Fabrizio De André

Il film ripercorre la vita di De André fin da piccolo, quando era solo Fabrizio. Fu il rifiuto verso un violino, che lo infastidiva al mento, che lo portò verso una chitarra che sarebbe divenuta «il prolungamento naturale delle sue dita».

Figlio di genitori benestanti, che vogliono imporre più che proporre, non ha mai digerito la conformità borghese e l’agiatezza nella quale era nato, rifiutando anche la facoltà di giurisprudenza intrapresa prima di lui dal fratello. Preferiva rubare i vinili di Elvis, scappando per le strade strette di Genova, e lasciarsi andare agli stravizi, al whisky e soprattutto alle sigarette.

Ma più di tutto, è l’amore per la poesia e la curiosità di apprendere sempre cose nuove a dargli la spinta ogni giorno. Queste sue qualità si ritrovano in quella sua ricerca spasmodica per la parola giusta nei testi: doveva essere una parola corretta, non banale e per di più facilmente comprensibile.

Così Fabrizio trova, dentro i versi delle sue poesie camuffate da canzoni, quella valvola di sfogo per raccontare la sua visione del mondo, nella ricerca di evadere la sua normalità.

Le paure e le incertezze che lo accompagnano nella vita quotidiana vengono gettate come parole su di uno spartito, quasi a esorcizzarle. Cerca di scrivere quello che nessuno mai aveva provato a raccontare fino ad allora: piccoli particolari o storie invisibili.

I soggetti delle sue poesie in musica sono spesso persone isolate ai margini della società e per questo dimenticate. È in loro che si scorgono sentimenti veri e degni di essere descritti, dai quali nasce quella magnifica capacità di raccontare verità agghiaccianti attraverso l’uso sapiente della metafora.

Fabrizio non indica soluzioni, non è mai giudicante o moralista. Raccontando fatti che il suo stile e la sua timbrica rendono subito importanti, lascia chi ascolta trarre le sue conclusioni.

«Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese, li condannerai a cinquemila anni più le spese. Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo, se non son gigli, son pur sempre figli vittime di questo mondo».

(Fabrizio De André, La città vecchia)

La canzone di Marinella

La continua ricerca degli emarginati e dell’emarginazione stessa porta anche al disprezzo dell’opinione dominante, in particolar modo negli anni Settanta, quando le idee preponderanti erano soprattutto di sinistra, perfino nei circoli borghesi da lui frequentati.

Convinto che una massa di persone che condivide un’idea in qualche modo la renda infetta, De André prende la strada dell’anarchismo individualista. Così all’epoca delle lotte, la sua poetica veniva bollata come disfattista e decadente, senza apprezzarne appieno la genialità.

De André
Luca Marinelli in una scena del film

Come accade troppo spesso, è con la morte prematura dell’artista che la massa inizia a volgere il suo punto di vista e le opinioni di pochi diventano il pensiero di tanti. Così oggi, esaltiamo la figura di De André con triste nostalgia, pensando alla ricchezza e alla profondità delle sue composizioni.

Ricordiamo quella capacità pittorica di rappresentare una situazione, con poche parole ma precise e perfette, con quell’accompagnamento vocale particolarmente connesso con le tematiche e il mondo che aveva scelto di delineare; il perseguimento di una morale, che si sintetizza molto spesso in un rovesciamento di ruoli, che spesso emerge con sarcasmo, che è inondato però da un’atmosfera cupa colma di pessimismo e tristezza.

Ma soprattutto ascoltiamo la musica, sempre strettamente incorporata alle tematiche delle sue canzoni, che si mescola in simbiosi perfetta con le parole e la sua voce.

«E come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose».

(Fabrizio De André, La canzone di Marinella)

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