Il regista danese Thomas Vinterberg ha una capacità di scavare nell’anima dell’uomo contemporaneo che pochi nella settima arte riescono a eguagliare. Affrontando temi spinosi come le disfunzionalità di una famiglia borghese in Festen (1998), e le tragiche conseguenze di un’accusa ingiusta proprio ne Il sospetto (2012), Vinterberg ha meritatamente raggiunto il successo internazionale. Con Un altro giro (in originale Druk: ossia bere, ubriacarsi), si è finalmente affermato come uno dei registi più importanti della sua generazione.
Vincitore del premio Oscar come miglior film internazionale di quest’anno, Un altro giro ha alla base un’idea tanto semplice quanto singolare. Quattro amici di vecchia data decidono di sperimentare una teoria dello psichiatra Finn Skårderud. Secondo Skårderud, se tutti gli esseri umani mantenessero costante un tasso alcolico di 0,05%, vivrebbero una vita molto più serena e soddisfacente, avendo più successo sia nella vita professionale sia nelle relazioni sociali.
I quattro, docenti presso la stessa scuola, iniziano a bere principalmente sul luogo di lavoro, verificando sulla propria pelle la teoria dello psichiatra e aumentando sempre più la dose di alcol. In particolare, Vinterberg si sofferma sul personaggio di Martin, magnificamente interpretato da Mads Mikkelsen. L’uomo, oppresso dalla sua routine, accetta di partecipare all’esperimento perché si è reso conto che da tempo le persone, in primis sua moglie Anika (Maria Bonnevie) e i suoi studenti, lo trovano una persona noiosa e poco interessante.

I quattro amici mettono in pratica la teoria di Skårderud, bevendo quantità sempre più elevate di alcol
Mentre lo spettatore assiste all’esperimento, con le sue divertenti, ma più spesso drammatiche conseguenze, non può fare a meno di chiedersi: quale sarà l’epilogo di questa bizzarra storia?
Realizzare un film sul consumo di alcol non è un’impresa semplice. Soprattutto se si sceglie di ambientarlo in Danimarca, il Paese nordico con il più alto tasso di consumo di alcolici, può essere facile concludere il film in modo retorico, con una ferma denuncia contro i danni fisici e psicologici derivanti dall’abuso di alcol. Al contempo però, ignorare le conseguenze che un tale esperimento può avere sulla vita delle persone, sarebbe stato quasi disonesto da parte di Vinterberg.
«C’è del marcio in Danimarca».
(William Shakespeare, “Amleto”)
L’epilogo è uno degli elementi più delicati e importanti di un’opera cinematografica. È infatti in quel breve momento che noi spettatori recepiamo finalmente il messaggio che ci vuole comunicare il regista; sono proprio quei minuti finali a rimanere impressi nella nostra mente. Con Un altro giro, Vinterberg non è solo pienamente riuscito in questo difficile intento, ma ha realizzato quello che è probabilmente uno dei finali più intensi degli ultimi anni.

Martin (Mads Mikkelsen) si unisce ai festeggiamenti dei suoi studenti
Martin, Nicolaj (Magnus Millang) e Peter (Lars Ranthe) affrontano le conseguenze delle loro decisioni. In particolare, i tre sono appena tornati dal funerale di Tommy (Thomas Bo Larsen), morto affogato mentre si trovava in barca, completamente ubriaco.
Dei quattro infatti, Tommy era stato l’unico a non aver mai smesso di bere, finendo per diventare un alcolizzato. Nel frattempo, Martin è stato lasciato dalla moglie. Le sue abitudini alcoliche avevano infatti fatto venire a galla tutti i problemi del suo matrimonio, tanto che Anika aveva confessato a Martin di averlo tradito, stanca della sua assenza.
Dopo la cerimonia, i tre amici pranzano in un ristorante. Durante il pasto sono riluttanti a bere qualsiasi tipo di alcolico, come bloccati dal pensiero della tragica fine di Tommy. Verso la fine del pranzo, Martin riceve un messaggio: è Anika, che gli dice che sente tanto la sua mancanza. Un lieve sorriso si dipinge sul volto di Martin. Tornerà insieme alla moglie? La sua vita gli riserverà ancora gioia, dopo la sofferenza delle ultime settimane e la totale apatia degli ultimi anni?
I tre sentono dei festeggiamenti provenire dal porto, fuori dal ristorante. Sono i loro studenti che celebrano il diploma, bevendo alcol in totale spensieratezza. I ragazzi coinvolgono subito gli insegnanti nei loro festeggiamenti, offrendo loro da bere e invitandoli a ballare. Superata la rigidità iniziale, i tre uomini si uniscono così agli studenti. Intanto Martin continua a ricevere messaggi dalla moglie: parole dolci, che fanno sperare in una riconciliazione.

Durante i festeggiamenti, Martin (Mads Mikkelsen) improvvisa una significativa danza
Travolto da un’inattesa gioia di vivere, Martin improvvisa una danza, lasciandosi completamente andare alla spensieratezza di quegli attimi.
All’inizio della pellicola, Tommy aveva infatti ricordato come l’amico da giovane adorasse talmente la danza da voler diventare un ballerino professionista. Nonostante venga più volte incitato dagli amici, nel corso del film Martin non riesce mai a lasciarsi andare a tal punto da danzare. Nemmeno l’alcol, assunto in dosi sempre più elevate, riesce infatti a fargli perdere completamente le inibizioni.
La danza di Martin è aggraziata e potente al tempo stesso. Come se, attraverso il corpo, l’uomo riuscisse finalmente a esprimere il suo Io più profondo, mostrando senza vergogna le proprie forze e le proprie fragilità. L’intera performance è frutto del talento dello stesso Mads Mikkelsen, che da giovane lavorò come ballerino per dieci anni prima di diventare attore. In sottofondo a questa bellissima sequenza senza dialoghi, Vinterberg ha deciso di inserire il brano What a Life della band danese Scarlet Pleasure. Una canzone dal ritmo travolgente, in grado di rispecchiare perfettamente il tono dell’epilogo del film. Così come le parole, nella loro estrema semplicità:
«What a life
What a night
What a beautiful, beautiful ride
Don’t know where I’m in five, but I’m young and alive
Fuck what they are saying, what a life».(Scarlet Pleasure, “What a life”)
Gli ultimi istanti della scena vedono Martin tuffarsi di petto dal molo. Un altro giro si conclude così, con l’immagine dell’uomo sospeso nell’aria, pochi secondi prima di gettarsi in mare.

Nell’ultima scena del film, Martin (Mads Mikkelsen) si tuffa dal molo
Uno spettatore attento, rimembrando la metafora del salto nel vuoto, può aver colto durante il film diversi riferimenti al pensiero di Søren Kierkegaard. In particolare, a uno studente viene chiesto di parlare del concetto di angoscia secondo il filosofo danese. «Bisogna accettarsi come soggetto fallibile per poter amare l’altro e la vita», conclude Sebastian, studente che non a caso combatte con problemi di ansia.
Nonostante Kierkegaard meriti un approfondimento a sé per poter essere compreso fino in fondo, Un altro giro fa tesoro del suo pensiero, accettando, anzi, celebrando la fallibilità dell’uomo contemporaneo.
Ne Il concetto di angoscia (1844) il filosofo afferma come in ogni fase della sua esistenza, l’essere umano si trovi davanti a continue scelte, a eterni aut-aut che possono condurlo verso le mete più oscure e ignote. Ed è proprio questo non sapere di fronte all’ignoto dell’esistenza a procurare un costante sentimento di angoscia. Per tutta la durata del film, Vinterberg ci mostra come i protagonisti tentino di combattere l’ignoto attraverso il consumo di alcol.
Per quanto paradossale possa sembrare, l’assunzione calcolata di alcol da parte dei personaggi è una vera e propria forma di controllo della propria vita. È infatti proprio tramite la perdita delle inibizioni che Martin desidera rimuovere ogni ostacolo che gli impedisce di vivere un’esistenza piena e soddisfacente.
Nel finale egli comprende, in una sorta di epifania, quanto sia vano tentare di controllare la propria vita, quanto sia sciocco pretendere di non fallire mai. Ed è proprio tramite la sua catartica danza che Martin si mostra finalmente per quello che è, deponendo ogni arma e abbassando ogni difesa.

La sequenza finale di “8 e mezzo” (1963) di Federico Fellini
Il finale di Un altro giro non può fare a meno di ricordarci un altro epilogo, appartenente a uno dei più grandi capolavori del cinema nostrano. Si tratta della surreale e significativa sequenza conclusiva di 8 1/2 (1963) del maestro Federico Fellini.
Guido Anselmi (Marcello Mastroianni) per tutta la pellicola si destreggia nel caos della propria vita professionale e privata. Solo alla fine comprende che l’unico modo per poter essere realmente felice, consiste proprio nell’abbracciare questo caos, questa confusione. Accettare e amare incondizionatamente ogni persona della propria esistenza, soprattutto sé stessi, perché quella confusione è proprio lui, Marcello. Come Un altro giro, anche 8 1/2 cala il sipario con una danza. Una forma comunicativa più efficace di mille parole, quasi commovente nella sua essenzialità.
È proprio la meravigliosa conclusione di Un altro giro a consacrare Thomas Vinterberg come uno dei migliori cineasti contemporanei. Attraverso il bizzarro viaggio alcolico di Martin, ci mostra un uomo che decide di accettare, anziché combattere, tutte quelle difficoltà e paure che inevitabilmente caratterizzano la vita di tutti noi.
In un mondo che ogni giorno cerca di controllare l’incontrollabile, Martin ci invita a danzare con il caos. E infine, a tuffarci a capofitto in quel mare di imprevedibilità che è l’esistenza umana.




