Gli shinigami e la noia di Kierkegaard

Antonio Lamorte

Maggio 16, 2021

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A distanza di tanti anni, Death Note si è guadagnato tutto il diritto di essere definito un cult. Sono in molti a conoscere la sua storia, dagli appassionati di manga e anime ai profani. Questo perché è un’opera che può dirsi davvero riuscita: attraverso la sua sofisticata narrazione, la vasta gamma di personaggi, umani e shinigami, e alla profondità dei temi trattati è in grado di connettersi con chiunque.

Nel corso degli anni si è scritto e detto di tutto su Death Note. Pertanto, provare a elaborare nuove speculazioni su quest’opera è un’impresa assai ardua, per non dire impossibile. Tuttavia, esiste un aspetto della trama e della filosofia ad essa connessa che non sempre viene evidenziato a dovere. Un aspetto che è all’origine di ogni cosa.

Parlando della narrazione di Death Note, è molto interessante chiedersi cosa risiede alla base di tutto. Qual è la miccia che ha dato il via agli eventi prodigiosi e terribili a cui si assiste? La risposta è molto ovvia: la caduta del quaderno che dà il nome all’opera nel regno degli umani. Chi ha deliberatamente lanciato il quaderno? Ryuk, uno shinigami, un Dio della Morte che, attraverso la cessione del quaderno, conferisce temporaneamente parte del suo potere a un essere umano.

Tutto questo è molto chiaro in quanto è l’incipit della vicenda. Così com’è chiaro anche il motivo dietro all’azione di Ryuk. La noia. È proprio la noia ad aprire l’opera. Nella prima scena è presente Ryuk, nel suo mondo, che sbuffa e rimugina sul non avere nulla da fare. Alcuni shinigami giocano, altri sono in evidente stato catatonico, come se non esprimessero anche solo mentalmente un concetto da tempo immemore.

La noia è al centro di Death Note in una misura molto più importante di quanto si possa pensare a una prima visione. Soprattutto quella provata dagli shinigami che, forse, sono condannati a un destino ancora peggiore rispetto a quello che spetta ai comuni mortali.

Il dilemma dell’immortalità

Perché la noia è il sentimento che affligge maggiormente gli shinigami? La risposta risiede nella loro stessa condizione di esseri immortali. L’immortalità è una chiave fondamentale per decriptare la natura di queste misteriose entità. Loro sono eterni. Significa che hanno una percezione del tempo radicalmente diversa rispetto a quella degli umani. Questo condiziona ogni singolo aspetto della loro esistenza. Le azioni, per esempio, non sono mai sottoposte al vaglio di un giudizio critico, poiché la loro non è una vita volta a un qualcosa di specifico. Non c’è alcun traguardo da raggiungere.

Loro hanno il semplice e unico compito di scrivere sul loro quaderno il nome delle persone a cui è scaduto il tempo vitale. Gli shinigami eseguono questo compito con asettica e meccanica ripetitività, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente dall’atto dell’uccidere. Anche perché, essendo impossibilitati a morire (tranne che in rari casi), non comprendono fino in fondo il valore filosofico della morte.

Ecco, dunque, il paradosso che è alla base della sofferenza degli shinigami. Loro sono Dei della Morte, pur non conoscendo affatto la morte. Poiché l’unico modo per approfondire questo concetto è morire. E la noia è proprio il prodotto di questo paradosso.

Gli shinigami vivono sotto l'influenza della noia. La stessa che tormenta il seduttore di Kierkegaard. La noia è alla base di tutto.

Lo shinigami Ryuk e Light, il possessore del quaderno

Alla luce di ciò, la domanda è: quella degli shinigami può essere chiamata esistenza? Da un lato, la risposta è sì. Loro esistono eternamente nel momento presente, un momento che, però, ha perso il concetto di tempo in quanto dura e durerà per sempre. Dall’altro lato, non è una vera e propria esistenza laddove viene a mancare il diretto contrario di questo concetto, ovvero la “non-esistenza” o, in altre parole, la morte.

Già da queste premesse appare chiaro che risolvere questo puzzle non è affatto semplice. Probabilmente non c’è alcuna soluzione. Ma forse esiste un pensatore grazie al quale è possibile provare a meglio definire, per quanto possibile, la figura degli shinigami e della loro condizione. E, avendo parlato di morte e crucci esistenziali, questo pensatore non può che essere Søren Kierkegaard.

Gli shinigami e il seduttore di Kierkegaard

Il filosofo danese dedica particolare attenzione al concetto di noia e alla crisi esistenziale che essa sprigiona. Nel Diario di un seduttore (1843) Kierkegaard enuncia il paradigma dell’esteta, ovvero di quella persona che vive costantemente nel momento presente, sguazzando nel turbinio degli eccessi. Tra questi eccessi v’è la seduzione. Una seduzione che, però, è scollegata dal sentimento amoroso verso un’altra persona. L’esteta è infatti più interessato all’atto della seduzione in sé quanto alla persona da sedurre. Per cui il seduttore di Kierkegaard, che prende il nome di Johannes, non solo non sceglie nessuna donna in particolare, ma addirittura sceglie di non scegliere.

Questo passaggio è fondamentale, perché è proprio a causa di questo boicottaggio della scelta che l’esteta subisce la noia. Lui non si trova coinvolto emotivamente dalle sue azioni, che fungono solamente da diversivo. Sono solamente un temporaneo appagamento dei sensi, terminato il quale vedrà nuovamente la noia sopraggiungere. E, quindi, l’esteta è condannato a ripetere questo ciclo infinito.

Gli shinigami vivono sotto l'influenza della noia. La stessa che tormenta il seduttore di Kierkegaard. La noia è alla base di tutto.

Il filosofo danese Søren Kierkegaard

Se si pensa alla natura degli shinigami, è possibile trovare numerosi punti di contatto con il seduttore di Kierkegaard. Ryuk, ad esempio, quando lascia cadere il quaderno sulla Terra, non sceglie Light. Si affida al caso. E nel corso della vicenda lui sottolinea sempre la sua imparzialità, perché lui non possiede altro scopo che divertirsi, sfuggire alla perenne noia che lo tormenta, pur conscio che questo “spettacolo” prima o poi terminerà e che la noia sopraggiungerà ancora.

Light: «Perché hai scelto proprio me? […]»
Ryuk: «Non ti ho scelto io, io ho solo fatto cadere il quaderno dal mio mondo. Pensavi che ti avessi selezionato perché sei più furbo degli altri? Non darti arie, il caso ha voluto che cadesse sulla terra e che tu lo raccogliessi, tutto qua.»

I punti di contatto con l’esteta non finiscono qui. Anche lo shinigami infatti seduce. Perché rende partecipe del suo potere un essere umano, che così assaggia avidamente gli scenari dell’onnipotenza. E ripete queste azioni costantemente.

Nello speciale One-Shot pubblicato nel 2020, Ryuk torna sulla terra e affida il quaderno ad un altro ragazzo, Minoru, con la speranza di godere ancora di uno spettacolo simile a quello a cui aveva già assistito grazie a Light. E non ci sono indizi, nel manga e nell’anime, che neghino la possibilità che Ryuk, o altri shinigami, abbiano lasciato cadere già altre volte il loro quaderno in epoche precedenti. Anzi, Ryuk sa già che gli umani possono risultare “divertenti” per lui, quindi è estremamente probabile che lui abbia già avuto contatti in precedenza.

La scelta e l’assenza dell’angoscia

È possibile per lo shinigami interrompere questo ciclo infinito? Sì, è possibile, ma non è facile. Non come lo sarebbe per un essere umano. Ne Il concetto dell’angoscia (1844) Kierkegaard rappresenta l’uomo come al centro di una costante tensione, l’angoscia appunto, sprigionata da due poli opposti. Da una parte ciò che è finito e condizionato dall’inesorabile scorrere del tempo, dall’altra l’infinito, la possibilità di fare qualsiasi cosa, la libertà di abbandonarsi al desiderio. L’essere umano, secondo Kierkegaard, è al centro. Per fuggire da questa angoscia perpetua, l’uomo potrà affidarsi al “salto” della fede.

Alla luce di ciò, per gli shinigami lo scenario è più complesso. Loro non sono al centro di due poli opposti, perché non contemplano concetti quali “finitezza” e “tempo”. Per tanto il “salto” della fede è per loro impossibile, poiché anche l’angoscia per loro è una nozione inconcepibile.

«Se l’uomo fosse un animale o un angelo, non potrebbe angosciarsi. Poiché è una sintesi, egli può angosciarsi, e più profonda è l’angoscia più grande è l’uomo»

(Søren Kierkegaard – Il concetto dell’angoscia)

Gli shinigami vivono sotto l'influenza della noia. La stessa che tormenta il seduttore di Kierkegaard. La noia è alla base di tutto.

Rem, lo shinigami che riesce a spezzare il ciclo della noia

Tuttavia, esiste per loro un modo per annullare gli effetti della noia e risiede nel tradimento della loro natura. Devono scegliere di scegliere. L’esempio perfetto è Rem, lo shinigami che dà il quaderno a Misa e si lega a lei in un modo inesorabile. Rem, così come Jealous, lo shinigami che si innamorò di Misa e perse la sua immortalità per colpa di questo sentimento, vede terminare finalmente il proprio destino. Per un sentimento. La chiave per superare lo stadio estetico della vita e raggiungere quello etico.

Ma ovviamente Rem non è che l’eccezione. Perché lo shinigami è votato per natura alla noia. Una noia eterna e ridondante. La rappresentazione perfetta della stasi perenne degli Dei della Morte, che della morte però non conoscono nulla. Il grande dilemma di questi fautori inconsolabili dei destini altrui, che non hanno mai il controllo sul proprio.

Leggi anche: Light e Pain – Le Ceneri dei Falsi Dei

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