“Grigia, caro amico, è la teoria; verde è l’albero d’oro della vita” scriveva Goethe nel suo Faust.
Verde. Nel mio immaginario ho sempre associato il verde velluto di un tavolo da gioco a questa frase: sia il tappeto dove scivolano carte francesi, sia quello dove appaiono i numeri della roulette. Per un giocatore, gambler nel gergo a stelle e strisce, questo tappeto appare simile ad un portale che dovrebbe condurre a dorate fortune e che invece troppo spesso è l’anticamera della rovina. Un subdolo vizio che fa da sfondo alle vite dei giocatori prima di attecchirgli, reperibile in tutte le recenti ere dell’uomo. Ma nonostante la moderna digitalizzazione ne lenisce il fascino antico, fatta salva la componente malevola, alcuni giochi sono immancabili nei ricordi di tutti e sono elevati a veri e propri classici.
Indiscutibilmente il poker è il gioco per eccellenza. Credo che più o meno tutti ne conoscano le regole e si siano cimentati in qualche pokeristica schermaglia. Chi scrive però non si riferisce a quello di tendenza, il texas hold’em ma alla c.d. versione “all’italiana”: cinque carte per ogni giocatore, si spizzano lentamente, quasi a invocare la sorte, le fiches sono dobloni quadrilateri di varia natura, un turno per cambiarle e parole come “check” e “bet” depennate dal vocabolario, si usa “parola” e “apro”.
Disseminate in ogni città si trovavano i palcoscenici dei giocatori: una bisca clandestina, un bar con immancabile nebbia tabaccoide sotto i lumi, una notturna sala biliardo oppure tra amici nelle sicure mura di casa. Tutti palcoscenici con un panno di purissimo smeraldo.
Un’epoca passata, quella in cui si svolge “Regalo di Natale” di Pupi Avati, un film che si dirama proprio attorno ad una partita di poker avvenuta nella notte di Natale del 1986. Non è il classico film natalizio, né cinepanettonicamente parlando né per la bontà che la festa ispira; è piuttosto portatore di un clima tragico, duro e soprattutto reale, possibile in nell’Italia di quel periodo storico e difficilmente associabile al periodo vacanziero: un’atmosfera che rende forse ancor più grottesca la vicenda.
Il parallelismo con l’opera di Dostoevskij sarà l’epilogo di questo focus: è intuibile che il confronto scaturisce tra le vicende dei giocatori di Avati (uno su tutti) e “Il Giocatore”, dal titolo del libro russo.
Quattro amici d’infanzia, giocatori di poker, dopo anni di appelli mai ascoltati, si ritrovano attorno al tavolo verde. Vivono tutti vite molto diverse ed è importante conoscersi se ci si siede per giocare a poker, perché spesso non si gioca con le carte che si stringono tra le mani ma con la persona che si ha davanti. Franco (un superlativo Abatantuono) è l’unico che sembra avercela fatta, abbandonata la provincia con una attività imprenditoriale apparentemente di successo, coniugato ad una ricca donna del nord, è il paesano che ha fatto fortuna. Lele e Ugo (Haber e Cavina) sono i bambocci del gruppo, ma se Ugo ha un passato da viveur fallito socialmente, economicamente e familiarmente, Lele è assimilabile ad un isterico Fantozzi che si culla nel sogno di fare il critico cinematografico di successo. Stefano, il più marginale dei quattro, conduce invece una vita apparentemente normale che cela il suo desiderio omosessuale, privo del coraggio necessario al coming-out e spaventato dal giudizio di tutti.
Si riuniscono non perché alberghi in loro chissà quale nostalgico sentimento ma perché contattano, come ai vecchi tempi, il pollo da spennare al tavolo, ovvero l’avvocato Santelia, un Carlo Delle Piane vincitore della Coppa Volpi per l’interpretazione . Potrebbe finire così e invece il genio, o la fissazione, del maestro Avati per le incursioni nel tempo e nella memoria, scaverà ancora di più tra le pieghe di questa storia così sotterranea e silenziosa, come solo le storie semplici sanno esserlo, per trovare il motore primario di questi eventi. In particolare emergono le indelebili ferite di un’amicizia trasformatasi in rancore mai sfogato e perciò inguaribile tra Franco e Ugo, reo di aver avuto una relazione con Martina, donna della vita e moglie di Franco, nonché confidente di Lele che riesce ad aprirsi solamente con lei, congestionato dalle frecciatine degli amici.
Pupi Avati forgia questa ricostruzione a volte restando nell’ambito di una superficialità, con tratti macchiettistici, a volte sforando l’enfasi del ritorno al tempo felice senza trovare l’equilibrio.
Il ritmo della narrazione invece è perfetto nel meccanismo che mette a punto per i suoi quattro “amici” e il “malcapitato” avvocato Santelia nella notte di un natale qualsiasi alle prese con l’infinita partita a poker e con ferite nell’anima per ciascuno dei personaggi.
Di questi cinque dirimpettai attorno al tavolo solo tre sono veri giocatori: Ugo, il baro che non ha le risorse, l’avvocato che non è pollo ma semmai avvoltoio (troppo tardi si scoprirà giocatore professionista) ergo un baro anche lui ma con risorse, che turlupinando vuole accrescere, più Franco.
Franco è IL giocatore, inizialmente legato alla dinamica dello spennare il prossimo e quindi a volte è plausibile faccia ricorso all’imbroglio, egli però percepisce il cuore delle carte e ne diventa schiavo. Ciò che inizialmente era il passatempo da fare con i suoi amici diventa passione e infine rovina.
Non è mai mania pur raggiungendola nel risultato, il protagonista di Avati non è dipendente dal poker ma quando gioca lo fa esattamente in quella maniera, distogliendosi totalmente dalla realtà. Ciò si evince nell’epilogo del film dove appunto viene svelato il “regalo di Natale”.
Nell’ultimo piatto, giunti all’alba, Franco è compromesso ma pur di rifarsi spinge al limite una mano con l’avvocato Santelia che lo tallona, si spingono sino a giocarsi 250 milioni (di lire dell’86!) in una singola mano. Franco è spiazzato, a fianco a lui c’è il baratro che costeggia la vita di tutti i gambler, se perde è rovinato, Santelia allora propone al suo avversario una terza possibilità, oltre alle due canoniche di vedere o meno il punto, l’opportunità del “regalo di Natale”: l’azzeramento del denaro perduto fino a quel momento a patto di poter non rivelare le carte con le quali lo ha sfidato e di andare via come se niente fosse accaduto. Nessuna partita è stata giocata, ognuno torna alla vita di prima, ma ad un giocatore, ad un giocatore totalmente andato, questo non lo si può chiedere. Poker di donne dell’avvocato e kapput.
Una scelta scellerata, ma chi gioca è portatore di una logica incomprensibile ai non iniziati. Questo lo sa bene Ugo, l’ex viscido amico, che aveva organizzato la serata per truffarlo e il “regalo di Natale” di Santelia era solo un trucco psicologico, studiato dai due a tavolino, per indurlo a mostrare i suoi punti. Due giocatori veri che sapevano come si sarebbe comportato l’altro vero giocatore del tavolo.
L’irrealtà e il distacco del gambler ritorna nell’ultima scena in cui Franco incrocia Martina, l’unico vero amore della sua vita, la donna di cui confessa essere ancora innamorato, ma troppo avviluppato nel gorgo in cui si è tuffato le passerà accanto senza notarla, dopo anni che non si erano visti.
L’inspiegabile condotta dei giocatori attraversa contesti diversi, epoche diverse e fa sì che l’atteggiamento del protagonista della sceneggiatura di Avati sia il medesimo di Aleksej, alias “Il giocatore” descritto da Dostoevskij.
Egli è dipendente dal gioco della roulette, al quale si è avvicinato per poter aiutare economicamente la famiglia di un noto generale presso il quale svolge la professione di precettore, ed in particolare per sostenere le spese della figlia dell’ufficiale, Polina, di cui l’ormai giocatore è perdutamente innamorato ma non ricambiato. Durante l’epilogo dell’intreccio, Aleksej è rimasto solo, la famiglia per cui lavorava si è trasferita e non rimane al giovane che soddisfare il suo vizio per il gioco, barcamenandosi tra un lavoro e un altro, per i casinò dell’allora impero teutonico.
In una delle sue puntate alla roulette, viene raggiunto da Mr. Astley, ospite della famiglia del generale, che gli rivelerà dell’amore che in realtà Polina prova per lui e che non aveva mai ammesso. Dopo questa confessione, in segno di amicizia, Mr. Astley lascia ad Aleksej del denaro, facendo scegliere allo stesso incredulo ragazzo come usarlo, se abbandonarsi alla sua dipendenza o per la sua redenzione raggiungendo da lui la ragazza che lo ama in Svizzera. Dostoevskij, morso dal morbo del gioco a sua volta, sa benissimo che non è una brillante idea donare ad un giocatore dei soldi all’interno di un casinò.
Difatti il giovane deciderà di discendere ancora di più nell’oblio e di rimandare la sua redenzione, pur essendo innamorato.
Avati e Dostoevskij, con le dovute proporzioni, hanno dedicato un’opera al medesimo fenomeno, delineando sostanzialmente lo stesso personaggio. Entrambi sono innamorati, ed entrambi rispondono a delle leggi che non sono conoscibili a chi non è giocatore. Forse ispirato dall’autore russo, Avati pone anche il suo Franco davanti una scelta finale, scelta che serve a rimarcare ancora di più la distaccata e grottesca condotta del personaggio. L’amore profondo che provano per due persone scompare davanti al gioco, alla libido di puntare e di poter dire di aver vinto, o di essere andato vicino alla vittoria.
In fin dei conti, il brivido del giocatore sta tutto lì, come un’acrobata cammina su una corda ed ha due destini: cadere o dondolarsi in precario equilibrio sperando di salvarsi, ma mentre cammina, come ogni acrobata non percepisce ciò che lo circonda, prigioniero di una trance più familiare della realtà stessa e considerata quasi necessaria per vincere.
La morale è che sono tutti perdenti i protagonisti di entrambe le opere, e così sono nella realtà i giocatori, in quanto hanno iniziato a giocare. Il fatto che desta preoccupazione è che passano epoche, cambiano società, correnti di pensiero, assetti politici, eppure ciò che colse Dostoevskij, era ancor vivissimo un secolo dopo nel film di Avati e si è digitalmente evoluto nell’era di internet.
Il gioco è stato spogliato da qualsiasi eleganza da chi ne ha tornaconto, freddo e meccanizzato può raggiungerci ovunque ci troviamo. Ciò che era una abitudine di pochi, straordinaria se si pensa alla condotta della persona comune di ieri, oggi si punta a sdoganarla, a farne un comportamento normale. Tutti sono o possono essere trasformati in giocatori. Ci hanno tolto il verde dei tavoli e i palcoscenici citati per farci perdere in qualunque contesto, perfino seduti in bagno con uno smartphone.
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