I cento passi di Peppino Impastato
Peppino Impastato, un ragazzo di provincia, più precisamente di una provincia della Sicilia: Cinisi. Il film parte dalla sua infanzia, Peppino e la sua famiglia si preparano per un pranzo in campagna con i parenti, un classico pranzo domenicale del Sud. Il “picciriddu” impara a memoria l’Infinito di Leopardi da recitare durante il pranzo.
Da subito notiamo la preferenza di Cesare Manzella, parente della famiglia impastato nonché boss della Mafia, nei confronti di Peppino.
A distanza di poco tempo il boss sarà ucciso, fatto esplodere in un’Alfa Romeo Giulietta, questo evento sarà fondamentale per la crescita di Peppino, lo traumatizzerà al punto da iniziare a capire cos’è la Mafia.
Passano gli anni, Peppino entra nell’adolescenza e plasmato dagli ideali comunisti intraprende una lotta contro l’organizzazione mafiosa, contro un paesino assoggettato dalla stessa, radicata fino alle fondamenta, contro la sua famiglia. Il ragazzo la sfida con arroganza e senza nessuno scrupolo, pubblica articoli in cui denuncia con parole molto forti che “la Mafia è una montagna di merda”.
Pubblicare quelle parole sul giornale non passa inosservato, Peppino è fuori casa, sulle scale a pensare, ad un tratto arriva il fratello che cerca di calmarlo dopo una lite con il padre; ma Peppino non vuole calmarsi, vuole cambiare il mondo, vuole combattere la Mafia con tutto se stesso.
Giovanni Impastato: Dove stiamo andando?
Peppino Impastato [alza la voce]: Forza, conta e cammina! […] ottantanove, novanta, novantuno, novantadue,
Giovanni Impastato: Peppino…
Peppino Impastato: Novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei, novantasette, novantotto, novantanove e cento! Lo sai chi c’abita qua?
Giovanni Impastato: Ammuninne… [sottovoce, intimorito]
Peppino Impastato [inizia a urlare]: Ah, u’ zu Tanu c’abita qua! Cento passi ci sono da casa nostra, cento passi! Vivi nella stessa strada, prendi il caffè nello stesso bar, alla fine ti sembrano come te! «Salutiamo zu’ Tanu!» «I miei ossequi, Peppino. I miei ossequi, Giovanni.» E invece sono loro i padroni di Cinisi! E mio padre, Luigi Impastato, gli lecca il culo! Come tutti gli altri! Non è antico, è solo un mafioso, uno dei tanti!
Giovanni Impastato: È nostro padre…
Peppino Impastato: Mio padre! La mia famiglia! Il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!
Peppino crea Radio Aut, con la quale denuncia, denigra, deride Don Tano e tutta l’organizzazione mafiosa. La radio si espande, diventa un luogo da cui trasmettere cultura, ideali libertini e pensieri di pace, ma a Peppino non basta, decide di candidarsi alle elezioni e la sera prima del comizio viene seguito da una macchina, pestato a sangue e poi fatto esplodere sui binari del treno. Suicidio. Così viene liquidato questo caso, suicidio.
Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale.
Non ci sarà nessun comizio e non ci saranno più altre trasmissioni. Peppino non c’è più, è morto, si è suicidato. No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: “Voglio abbandonare la politica e la vita”.
Ecco questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa? Se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari. Suicidio.
Come l’anarchico Pinelli, che vola dalle finestre della questura di Milano. Oppure come l’editore Feltrinelli, che salta in aria sui tralicci dell’Enel. Tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell’onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto. Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia? Ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato? Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall’altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino.
Domani ci saranno i funerali: voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura: perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace! Noi siamo la mafia! E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso! Tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente!
Il film si conclude con una parata per ricordare il povero ragazzo di provincia, tra le bandiere rosse del comunismo, le mani alte e i pugni chiusi.
La radio: mezzo di divulgazione culturale
La radio prima dell’avvento della televisione, che in Italia ha avuto la sua massima espansione negli anni ‘80, ha avuto un ruolo fondamentale negli anni del fascismo e negli anni del dopoguerra. Durante il fascismo la sua funzione è stata principalmente quella di fidelizzare le masse all’ideale fascista, nel dopoguerra una funzione di divulgazione politica e di cronaca giornalistica. Ne’ I cento passi, fin dalle prime scene la cultura letteraria ha avuto un ruolo fondamentale, soprattutto per la crescita del personaggio.
Peppino in molte scene legge, legge poesie, alimenta la sua curiosità, studia. Questo lo ha portato sempre a interrogarsi sulla vita, sul senso civico, infatti uno dei dialoghi tra lui ed il suo amico Salvo è dedicato alla bellezza, quella bellezza della natura modificata dalla mano dell’uomo che nonostante rovini il paesaggio naturale si integra a tal punto da diventare la normalità, minando la bellezza che in precedenza dominava solitaria.
La cultura quindi diventa uno strumento per capire la civiltà, i propri doveri e diritti e il mondo, come dovrebbe essere e com’è ora. Attraverso la radio Peppino vuole svegliare le masse, incita la gente a insorgere contro la Mafia, ma non lo fa semplicemente parlando alla radio, lui usa la cultura, prende la Divina Commedia ne recita i versi, ne modifica le parole e in volgare denuncia tutte le malefatte della Mafia e di don Tano.
La Mafia non è solo un’organizzazione criminale, è anche omertà dei cittadini, delle istituzioni e della polizia. Peppino credeva di poter cambiare le cose, credeva di poter combatterla da solo.
Mancanza di buon senso? Ingenuità? O coraggio?
Il sacrificio di Peppino, come quello di Ifigenia, fa nascere la speranza di un lento ritorno alla civiltà, ma noi, come Agamennone, potremmo assecondare tali bagliori ma restar pur sempre vittime di Clitemnestra (la mafia). Sacrificarsi per un fine superiore, combattere ciò che più di marcio c’è al mondo: la sovversione assoluta, il lucro sulla sofferenza della gente, danni ingenti all’intera società. Oggi, abbiamo l’obbligo morale e sociale di ricordare l’opera di Peppino, di onorarla e nel nostro piccolo combattere questa mentalità