L’epica, gli eroi, i cattivi, non hanno mai abbandonato questo mondo. Le forze dell’oscurità e della luce combattono da tempo immemore, il bene e il male duellano, non solo sui campi di battaglia, ma all’interno dell’uomo stesso.
Il cinema non è l’industria dei sogni, è la fabbrica dei miti, disse quella leggenda di nome Sergio Leone, e il mito vive in quel capolavoro che è Il Buono, Il Brutto e Il Cattivo (1966).
Tre “uomini”, tre protagonisti, un unico bersaglio. Una cassa piena di dollari in un cimitero sperduto, attraverso inganni e tradimenti, pietà ed eroismo, guerra e redenzione. Questa è la poetica del West.
Il Cattivo
Quando cerco qualcuno io lo trovo sempre.
– Sentenza
Lo chiamano Sentenza, ma nessuno conosce il suo vero nome. È una condanna che cammina sulla nostra terra, l’incarnazione del male puro, il cattivo. Quale Giudice ha emesso questa sentenza? Chi è stato condannato? L’umanità?
Più che un uomo, questo personaggio sembra la reificazione dello spirito malvagio degli individui, possiede un’aura che sa di morte. Non ha un passato, non ha una storia, non ha un’identità, è uno spettro errante di violenza e di un’oscurità abissale, è il giorno che sanguina e diventa notte.
Non conosce la pietà, arriva sempre dove vuole arrivare e nessuno sa come ha fatto, corrompe e si insinua, tortura ed estorce informazioni, conosce il punto debole di ogni suo avversario, che sia il cibo o l’alcol.
È il personaggio che compare di meno in tutta la pellicola, è quello che vediamo meno sparare per raggiungere la sua meta, inusuale per essere il cattivo; infine, evita sempre di confrontarsi direttamente con il Buono o Il Brutto, se non alla resa dei conti.
Il Brutto
Vado, l’ammazzo, e torno.
– Il Brutto riferendosi a Sentenza
L’unico personaggio ad avere un nome, Tuco, l’unico ad avere un passato da raccontare, ad essere sfaccettato ed indeterminato, l’unico cui lo spettatore possa affezionarsi davvero. Non è buono, ma nemmeno cattivo, rimane eternamente sospeso su di un mezzo sigaro tra il bene e il male, è un bandito al crepuscolo e viaggia spesso insieme al Buono, difficile dire se per convenienza o destino.
Tuco è l’essere umano nudo e crudo, volubile, contraddittorio, imprevedibile, vendicativo, egoista. Il brutto rappresenta, quindi, la natura umana, ne è l’incarnazione e, in quanto tale, viene sedotto dal male, dal Cattivo, tortura e perseguita il bene, incarnato nel Buono, anche quando ne avrebbe un disperato bisogno.
C’è una sequenza in cui Tuco trascina il biondo, interpretato da Clint Eastwood, nel deserto; una potente allegoria di cosa siano propensi a fare gli uomini, anche a coloro che hanno fatto del bene. Eppure non possiamo evitare di chiederci: questi individui nascono crudeli o è la realtà che li circonda a renderli tali?
Bisogna scovare le radici dell’oscurità, in un passato in cui c’erano da prendere solo decisioni sbagliate, ma bisognava comunque scegliere. Si prova a fare del proprio meglio e si finisce in peggio.
Il Brutto ha un fratello, un monaco che presiede un convento, in cui Tuco trova rifugio. Scopriamo che i genitori dei due sono morti, nella voce del sacerdote c’è rimprovero e superiorità; ma il rinnegato ricorda la sua giovinezza, quando il fratello se ne andò, mentre a casa c’era da sgobbare, e fu proprio Tuco a rimanere, non il servo di Dio. Alla fine del dialogo tra il frate e il “criminale”, sarà il buon samaritano a chiedere perdono al fuorilegge, forse nella comprensione che questo mondo non lascia altra scelta: l’asservimento nella rassegnazione o la ribellione, cui segue, però, un’inevitabile sconfitta. Chi non si sottomette alle leggi dell’esistenza ne viene bandito.
Esiste uno scopo o un senso per l’uomo, nel deserto del suo destino? Esiste una possibilità di salvezza, di redenzione? O sull’anima di ciascuno è stata messa una taglia imperitura, in un tempo così antico che la memoria non vi ha accesso? C’è qualcuno in grado di salvare l’essere umano dalla Sentenza finale?
Il Buono
Vai a morire da solo?
– Il Buono rivolgendosi al Brutto
Il Buono, il Brutto e il Cattivo è una fiaba, la solita storia, in cui le forze del bene e del male si contendono l’animo dell’uomo, nello sporco, nel fumo e nella polvere.
Anche il bene, infine, non ha un nome, non ha origini, non ha storia. Come il male, esiste e basta, imperscrutabile, silenzioso, letale. L’uomo senza nome è un buono a modo suo, ma non si può non notare che nel momento in cui c’è da scegliere tra il brutto e il cattivo, sceglierà sempre di affrontare il cattivo. È come se fosse la sua nemesi, il suo destino. O forse, essendo umano, il brutto è un alleato migliore in quanto più facile da ingannare e manipolare.
Il pistolero solitario non è meno spietato del mondo in cui vive, ma possiede una pallottola in più: la compassione.
Di fronte ai soldati in guerra per un misero ponte di legno, decide di farlo saltare in aria, così da esaudire l’ultimo desiderio di un capitano in fin di vita, abbattuto e infelice per aver visto migliaia di uomini morire per niente, più e più volte.
Prima dello scontro finale, il biondo dal volto di pietra si imbatte in un soldato morente; gli concede un’ultima fumata, lo copre col suo spolverino e lo lascia riposare in pace. Un western è fatto anche di questo, romanticismo e malinconia, di rimpianti per gli animi e i mondi e i tempi perduti.
Il cavaliere bianco viaggia, quasi sempre, insieme al brutto; a volte ne è perseguitato, torturato, ma continua inamovibile a fargli da angelo custode, a salvarlo dal cattivo, uno sparo dopo l’altro.
Il buono non è sempre presente, come la luce, che muore al tramonto, non ha tutta la scena, ma ritorna. Anche se a volte si prende gioco dell’uomo, lo lascia col fiato sospeso, con un cappio al collo, alla fine spara a quella corda e lo libera. Questo eroe, come il suo antagonista, nella sua non identità, più antico della terra stessa, potrebbe non essere mai veramente dove si trova e lo si vede; quello che succede potrebbe non essere mai successo.
Gli esseri umani sono impotenti di fronte alle forze primordiali del bene e del male, non hanno colpi in canna.
Vedi, il mondo si divide in due categorie, chi ha la pistola carica e chi scava. Tu scavi.
– Il Buono rivolgendosi al Brutto
Nel triello finale, nella danza delle forze del cosmo, sulle note ancestrali di Ennio Morricone, il divino, il terreno e il diabolico, che guarda caso si dispongono a triangolo in un’arena circolare, i due simboli più connessi al trascendente, la resa dei conti vede vincitore il buono.
Tuttavia, non perché sia stato più abile, ma semplicemente perché ha scaricato la pistola al brutto mentre dormiva e si è preoccupato di sparare solo al cattivo, forse il suo vero e unico bersaglio, ignaro di tutto. Questo spettro vestito col poncho ha esorcizzato il male dalla terra, a qualunque costo, con ogni mezzo, ha creato una possibilità di redenzione, ha salvato l’umanità per certi versi. Un giudice aveva emesso la sentenza, lui è stato l’assoluzione. E si è preso la sua meritata ricompensa.
La speranza, quindi, non ha un nome, l’eroe non ha un passato, perché forse non importa. L’inizio di una storia, magari, non è così determinante rispetto a come si sceglie di finirla. Il poncho, il mantello del possibile, aspetta solo di essere indossato, ed esiste per tutti una possibilità. Lasciarsi le origini, l’alba, alle spalle e procedere verso il tramonto ineluttabile, ad Ovest.
L’occidente è la terra della caduta, il suo destino è inciso nel suo nome (dal latino occidere, cadere), come nella pietra; questa è la meta ultima. Questo deserto sul quale tanti sono stati distrutti è vasto ed esige un grande cuore, ma in fondo è anche vuoto (Cormac McCarthy in Meridiano di Sangue). Da qualche parte, però, in queste terre desolate c’è un cavaliere solitario che, facendosi beffe dell’essere umano, gli guarda continuamente le spalle, perché non basta una corda a fare un impiccato.
Biondo! Lo sai di chi sei figlio tu? Di una grandissima…
– Il Brutto
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