La strada verso l’inferno è lastricata di buone intenzioni, le stesse intenzioni che abitano l’inferno quotidiano di quattro anime perse nel loro peregrinare per le strade di Little Italy. Il quartiere è un purgatorio ripieno di spiriti che si fabbricano una scala verso il paradiso, tra cui vagano quattro amici le cui esistenze si incontrano e si scontrano. Mondo di mezzo, tra il cielo e l’abisso, popolato di esseri come pendoli; divisi tra la tentazione di un guadagno facile, con contrabbando e rapine, o il martirio in nome di un dio che si è dimenticato dei suoi figli più miserabili. Domenica in chiesa, a chiedere perdono per i propri peccati; lunedì di nuovo all’inferno, tra le strade sporche e pullulanti a combattere per un posto in paradiso o un trono nel Cocito. Masse vaganti nelle mean streets.
Io ero alle elementari
Ed ero in classe coi bimbi fortunati
Coi dindi nei salvadanai e i genitori educati
E io, fra’, stavo coi figli d’immigrati, coi figli di operai
Mi vergognavo, i miei erano ignoranti
Mi vergognavo del dialetto
E mi prendevo con gli altri al parchetto(Marracash, Bastavano le briciole)
Le Mean Streets di Little Italy
Little Italy è un reticolo di vicoli sordidi, pregni di sogni infranti ed espedienti; marciapiedi popolati di prostitute e spacciatori, strade oscure in cui vagare senza meta. Unico rifugio sono pochi night club male illuminati, dove cercare la vita sul fondo di un bicchiere, nella spada in vena o nelle mutande di una spogliarellista. Essere immigrati di seconda generazione, in America, è un’operazione tutt’altro che semplice. Non si è italiani né americani; non si ha l’incrollabile certezza delle tradizioni come i propri genitori “paisani”, ma l’accento è ancora sporco e in una folla si distingue come il marchio di Caino.
La vita nelle mean streets scorre col sottofondo di canzoni napoletane, voci lamentose che raccontano la nostalgia per una terra sconosciuta; mentre la fanfara della festa di San Gennaro diventa costante, quasi fosse la radiazione di fondo di un universo parallelo. L’esistenza diventa una spirale da giorno della marmotta, in cui aspettare la venuta di un santo che si è dimenticato di questo angolo di mondo. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, l’alternanza luce e buio è scandita da episodi tutti uguali, da storie tutte uguali. C’è il tossico che si buca, la spogliarellista che balla per gli spiccioli di pochi ubriaconi e due hippie sprovveduti, che si fanno spillare venti dollari per una dose di Maria a buon mercato.
Sul palcoscenico della meschinità, si svolgono le giornate di quattro amici: Tony, Michael, Johnny Boy e Charlie. Le passioni e gli amori, le gioie, i dolori, le delusioni; tutto si svolge per strada; non esiste una casa, ma solo appartamenti presi a prestito per amori nascosti. I quattro formano una famiglia, non hanno genitori, non hanno figli, non hanno fratelli; e come una famiglia affrontano la crescita, la perdita dell’innocenza che sancisce l’ingresso nel mondo dei “grandi”. Ma non tutti sono pronti a prendersi il peso delle responsabilità per poi costruirsi un nido; non tutti sono pronti ad abbandonare le mean streets di Little Italy che, fino a quel momento, erano state l’unico luogo da definire “casa”.
Charlie e Johnny Boy non riescono a dire addio all’ingenuità. Charlie non vuole rinunciare all’amore adolescenziale, cieco e spensierato, sordo alle convenienze e alle convenzioni; l’amore di pura passione che sconvolge come un attacco epilettico, e lascia a terra senza conoscenza. E Johnny non vuole rinunciare all’entusiasmo dell’adolescenza; al sogno di un futuro da scrivere e scoprire, affamato della vita come un pirata verso la Tortue. Entrambi si costruiranno un paio d’ali, fatte di piume impregnate con la cera dell’amicizia fiduciosa e innocente, uniti come un padre e un figlio in un volo impossibile, verso un mondo senza tempo. Johnny, però, si schianterà al suolo, perché gli angeli dannati non possono avere un futuro e Charlie potrà finalmente diventare adulto, costruendo la sua casa sull’altare del sacrificio alla divinità delle cause perse.
Quattro personaggi in cerca d’autore
Dei quattro, Tony è sempre stato quello più con la testa sulle spalle. Non ha le manie di grandezza di Michael, sempre con quell’aria da gangster, né tanto meno le velleità da santo di Charlie, troppo prono ad aiutare chiunque; per non parlare poi di Johnny Boy, maratoneta di gonnelle e di guai. Alla prima occasione lui si è sistemato; ha aperto un bar, per sfuggire all’asfalto freddo e indifferente delle mean streets su cui è cresciuto. Imperatore del suo personale quadrato di mondo in cui far valere la sua legge personale, elevandosi a giudice, giuria e boia; caldo e sicuro nel suo bozzolo festoso, pesta eroinomani, molesta spogliarelliste e mesce i pochi e soliti drink, per i pochi e soliti avventori.
Tutti amici ovviamente, o presunti tali, a cui scucire quei pochi dollari che gli servono per potersi permettere una casa, un’auto e tenere aperta quella bettola. Battere cassa e tenersi lontano dai guai, due principi semplici da seguire sempre, per tenere dritta la barra del sogno di una generazione di emigrati; quel famoso sogno americano, che accorda una possibilità a tutti, anche a quei pochi coraggiosi miserabili che hanno attraversato l’oceano alla ricerca di fortuna. Come Enea, Tony ha sulle sue spalle un simulacro di storia e tradizioni che lo ancora a terra e lo guidano nella fondazione del suo regno economico e personale.
Michael è mosso dalla stessa ambizione. Vuole sfuggire da quella realtà pulciosa e sporca in cui ha passato tutta la vita, e non si accontenta certo di un bar o di un piccolo ristorante. Lui vuole diventare un gangster, vuole incutere paura e rispetto in quelli che incontra; non tutte le ciambelle gli riescono col buco, quasi nessuna a dirla tutta, visto il suo successo negli affari. Per ora va bene ogni espediente: rubare ai camion merce avariata, truffare giovani e sprovveduti fricchettoni in cerca di un po’ di Maria, fare l’usuraio con amici e parenti. Accetta tutto in attesa della buona occasione, che forse è già arrivata.
Per quanto tempo ancora potrà sfuggirgli Johnny Boy? Per quanto ancora si dovranno rincorrere, come cane e gatto, nel fango delle mean streets di Little Italy? Michael è convinto che questa sia la volta buona per fare il salto di qualità; gliela farà pagare una volta per tutte, e dimostrerà quanto vale e qual è il suo posto nella piramide alimentare del quartiere. La protezione di Charlie per quello sbandato non durerà molto, chi mai perderebbe possibilità e potere per aiutare uno sbandato, uno di cui nessuno sentirà la mancanza? Neanche l’amicizia vale tanto quanto la credibilità di un usuraio. E tutto sommato, la questione potrebbe anche risolversi con poco. Poche scuse, qualche osso rotto e poi, tutti fratelli come prima. Quanto potrà essere pazzo Johnny? Quanto potrà mai forzare la mano al suo caro amico Michael?
Neanche il diretto interessato saprebbe rispondere; Johnny il Teddy Boy è troppo impegnato a dar fuoco alla posta per pensare al futuro. Meglio viversi il presente. Bere, scopare e abbordare poetesse in cerca di brividi nei sobborghi. Gli altri lo credono un pazzo, ma non si accorgono che è il più furbo di tutti? Lui è sgusciato fuori da un tombino, come un ratto, senza patria e senza famiglia, e vive tutto a mille all’ora senza guardarsi indietro. Non uno sguardo ai debiti non pagati, alle partite a poker perse, alle risse nei locali; è una scheggia nel presente, non ha radici e non porta con sé nessun passato pesante o scomodo che faccia ombra sul suo futuro.
Per Johnny la strada è una casa, i suoi amici una famiglia. È l’eterno Lucignolo nel paese dei balocchi; fintantoché Tony gestirà un bar, lui continuerà a bere a scrocco, e se Michael non si rifiuterà di prestargli soldi, potrà ancora permettersi una partita di poker, una scommessa ai cavalli o una bella ragazza. Come un Icaro delle mean streets, si libra alto nel cielo senza preoccuparsi di meschinità quali i soldi e il lavoro; i suoi fratelli non potranno mai negargli una mano, non potranno mai inchiodarlo a terra. E se proprio dovesse mancargli il terreno sotto ai piedi, ci sarà sempre Charlie. Il santissimo Charlie, così altruista e forse ingenuo, tutto cuore e zero cervello.
Charlie è un santo, o ci prova ad esserlo. Nel suo scontro con le fiamme dell’inferno, reali e immaginarie, ricorda San Gennaro uscito indenne dal fuoco del Vesuvio. Quella presenza costante tra le strade del suo quartiere sembra volersi incarnare direttamente dentro di lui, ma è più un’ingenua illusione, un sogno di bambino che cozza con la realtà. Charlie deve scegliere, per la prima volta nella sua vita, non è più un ragazzino, l’età adulta lo incalza e bussa alla sua porta. Cosa gli risponderà? Ha un futuro sicuro, lavorare per la mala e gestire un ristorante, ma deve smetterla di frequentare uno scapestrato come Johnny, e sotterrare il suo amore. Ma come dimenticare amore e amicizia, come inventarsi cinici per una meschina aspirazione borghese?
Meschine quindi non sono quelle mean streets tanto bistrattate. Meschine sono le aspirazioni e i sogni che si limitano ad un piatto in tavola, ad un lavoro sicuro e ad una famiglia. Meschino è il cinismo che soppianta l’innocenza, nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Charlie lo sa, è destinato a qualcosa di più grande di un ristorante. Lo sente. Ma nella sua scalata verso il cielo, si troverà a spiccare il volo accanto a Johnny. Dedalo inconsapevole, assisterà al consumarsi della stella del suo amico, senza riuscire a muovere un dito. Smarrito nel labirinto della sua vita, diventerà la prima vittima del Minotauro che alberga nella sua anima.