Martin Scorsese – Una Poetica tra il Bene e il Male

Roberto Valente

Giugno 30, 2018

Resta Aggiornato

Martin Scorsese è sicuramente uno dei registi più influenti degli ultimi decenni, un autore che con le sue pellicole ha lasciato un segno indelebile nel mondo del cinema.

Cresciuto con il cinema francese in pieno periodo Nouvelle Vague e con il cinema italiano (ha spesso ricordato di essere molto grato a Fellini per le lezioni di cinema che i suoi film hanno impartito alla sua generazione), Scorsese ha cominciato la sua attività registica sul finire degli anni Sessanta. Il successo arriva tuttavia nel 1973 con Mean Streets, una perla nella filmografia dell’autore che ci presenta in maniera abbastanza chiara un lato molto importante della sua poetica.

Un giovane Martin Scorsese

Sicuramente un cenno va fatto all’infanzia del regista. Crescere nella New York di metà secolo, in particolare nella Little Italy di allora, non doveva essere affatto facile. In un ambiente dominato dalla violenza e dalla criminalità organizzata, ma caratterizzato da una tendenza moraleggiante prevalentemente cristiana, non appariva semplice scegliere quale strada imboccare.

Proprio questo sarà il tratto cardine della carriera di Scorsese: l’incessante rapporto antitetico e dialettico tra il bene e il male. Il regista si è sempre espresso in maniera criptica sulla sua fede cristiana, vissuta in maniera molto personale e pensata.

Allora ecco che Mean Streets presenta proprio questo scenario: una Little Italy strabordante di brutti ceffi, una sorta di microcosmo che vive delle sue leggi e si dà la propria morale. Continuo è nel film il richiamo alla scelta (che potremmo chiamare libero arbitrio), in questo caso di vita. Aspetto questo che rende perfetto il sottotitolo italiano al film “domenica in chiesa e lunedì all’inferno”.

Scorsese
Harvey Keitel è Charlie Cappa in “Mean Streets”

Nelle pellicole successive il regista approfondirà il tema religioso, sviscererà il suo credo, cercando di trovare una risposta quanto mai difficile; farà in modo di renderci partecipi di quella incessante lotta tra bene e male a cui egli assiste e della quale non può fare a meno.

In pellicole come Taxi Driver il male viene presentato come una degenerazione del bene, come la conseguenza di una nobile volontà. Tuttavia anche la più nobile di queste deve fare i conti con la realtà, quel posto che, parafrasando Manzoni, non lascia spazio alle opere gentili.

L’attore meticcio scelto da Scorsese, Robert De Niro, sarà la spalla su cui contare per creare quello che è stato tra i sodalizzi migliori nella storia della settima arte.

Da Taxi Driver in poi, Scorsese non smetterà di cercare altri modi per farci entrare nella sua ottica, nel suo modus pensandi.

In una pellicola che ha fatto la storia come Toro Scatenato, nel quale il male viene presentato come potenza latente, sempre pronta a esplodere e venire fuori, il personaggio di Jake la Motta (con l’ausilio di un meraviglioso De Niro) rivela tutte le difficoltà riscontrabili per un uomo nel tenere a bada una parte scomoda della propria indole e del proprio modo di essere.

Robert De Niro

La rabbia, la violenza, la non curanza del nostro protagonista verso il prossimo hanno tutte le caratteristiche per rientrare nel male. Il male Scorsese lo interpreta come entità incessantemente attiva riflessa in un bene che non sempre basta a risolvere le situazioni. La citazione finale del film al vangelo di Giovanni porta questo male descritto nella pellicola verso un’accezione e un’elaborazione cristiana, introducendo una flebile speranza nella redenzione.

Come non ricordare poi pellicole come Goodfellas e Casinò, due film che ci mostrano l’universo criminale, quindi quello che dovrebbe rientrare nel male, in un’ottica pienamente immersa nel reale. I mafiosi che Scorsese ci mostra non agiscono in un mondo quasi lontano, in atmosfere ovattate e idealizzate, ma nel reale, usando il nostro stesso linguaggio, soffrendo dei nostri stessi problemi.

Il conflitto è sempre sottilmente giostrato e presentato da Scorsese: il male è evidente e il bene spesso è lì, percepibile, anche se i nostri protagonisti si macchiano di omicidio con tanto di crocifisso al collo (l’elemento religioso è spesso iconografico nei film del regista).

Scorsese
Ray Liotta, Robert De Niro e Joe Pesci nella locandina del film “Quei bravi ragazzi”

Quella che traspare è una tematica affrontata e analizzata da un punto di vista antropologico e religioso. Una visione lontana da quella manichea. Per Scorsese non si tratta di un mondo bianco o nero, popolato dal male o dal bene, ma di un mondo nel quale i due poli sono sovrapponibili e si attraggono tra loro.

Quale microcosmo sarebbe allora ideale per introdurre una prospettiva del genere? Quello dei gangster risulta il più adatto.

Come non citare allora pellicole come Gangs of New York, dove la metropoli più importante al mondo si innalza a emblema di un’intera nazione, la più ricca al mondo, mostrandoci come essa sia nata solo grazie al dolore, alla sofferenza e alla distruzione. Anche qui il messaggio sembra partire da un principio ricorrente: il male è la via necessaria per il bene, in questo caso.

Dal gangster storico, se così lo si può definire, al thriller, prendiamo in esame Shutter Island. Qui Scorsese si cimenta con la psicologia, questa volta la sua ricerca è tutta interiore, la realtà appare come qualcosa di incerto, qualcosa con cui il proprio io deve necessariamente fare i conti. Allora ecco che bene e male si scatenano e si muovono nello spazio di una mente fragile, che conosce il male ma che anela al bene, una mente che finisce per non conoscere più se stessa. La follia è a questo punto necessaria (tema pirandelliano) per abbandonare la valle di lacrime nella quale si è rimasti intrappolati: la realtà.

Scorsese
Martin Scorsese alle prese con la videocamera

Dr.ssa Rachel Solando: «Una volta che sei dichiarato pazzo tutto quello che fai è considerato parte di quella pazzia: le ragionevoli proteste sono negazione, le paure giustificate paranoia».
Edward Daniels
: «L’istinto di sopravvivenza, meccanismi difensivi». 

Non esiste nessun ordine morale. Il protagonista si rassega all’abnegazione di se stesso; resta intrappolato volontariamente nell’identità che lo aiuterebbe a sopravvivere. La pazzia come verità ed esclusione dal mondo è un parallelismo che nasce spontaneo se si pensa all’Enrico IV di Pirandello.

Scorsese
Leonardo di Caprio in “Shutter Island”

Impossibile non citare quello che è probabilmente l’emblema di questa poetica del regista: The Departed, il bene e il male, appunto. Questa pellicola, che guarda al gangster e al film di spionaggio, presenta un mondo fatto di ipocrisie e inganni, di “preti e delinquenti”. È una sorta di gara alla sopravvivenza che necessita del male anche in nome del bene.

Allora ecco che il film, con un ritmo mozzafiato, mostra una serie di vicissitudini legate ai loschi affari del boss malavitoso Frank Costello e delle forze speciali di polizia impegnate nella sua cattura. Scopriamo che quella che a prima vista sembrerebbe una manichea battaglia tra bene e male altro non è se non un gioco delle parti (citando Pirandello) nel quale diverse spie agiscono secondo diversi interessi. Il risultato è una commistione tra quel bene e quel male a inizio film così apparentemente distanti, un continuo incontro tra due diversi inscindibili.

Frank Costello: «Quando avevo la tua età i preti ci dicevano che potevamo diventare o preti o criminali. Oggi quello che ti dico io è questo: quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?».

Jack Nicholson è Frank Costello in “The Departed”

Ora un discorso così ad ampio respiro su tematiche quali quelle di bene e male non poteva che, come accennato in precedenza, protrarsi anche sul piano religioso. Scorsese ha sempre mostrato una personalissima visione del cristianesimo, addirittura dedicando a tale questione delle pellicole.

Dopo il discusso film che rilegge in maniera personale il vangelo, L’ultima tentazione di Cristo, Scorsese si è cimentato per molti anni nella realizzazione di Silence, film che secondo il parere di molti avrebbe chiarito la sua posizione religiosa. Almeno in parte. Probabilmente così non è stato, probabilmente la questione è talmente personale nella sua lettura che sarebbe giusto restasse tale.

Martin Scorsese ha insegnato a una generazione di giovani promettenti registi una modalità nuova di indagine attraverso la macchina da presa, un modo di avvicinarsi antropologicamente alla società, studiandone sotto lente di ingrandimento problemi e contraddizioni. Scorsese ci ha mostrato quanto labile sia la differenziazione dei due colori che sembrano governare il mondo: il bianco (bene) e il nero (male). Ha trattato problemi morali, insegnandoci quanto sia difficile prendere una posizione in questo senso.

Leggi anche: Martin Scorsese e il Rock and Roll- Un eterno legame artistico

 

Correlati
Share This