Martin Scorsese e il Rock and Roll – Un eterno legame

Andrea Vailati

Dicembre 9, 2016

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Martin Scorsese e il Rock and Roll – Un eterno legame

«This is Rock and Roll: Don’t be nervous by anything».

Martin Scorsese e il Rock and Roll. Questo legame va ben oltre un semplice intreccio tra musica e cinema, questo legame definisce in maniera indelebile la struttura dell’opera di Scorsese.

Il cinema è un’arte di raccordo e connubio, contaminata dalle altre arti, ove queste assumono dei veri e propri ruoli, interpretando la loro parte, al fine di costituire un’opera di grande complessità sintetica, quella che noi poi chiameremo film.

La musica è uno dei personaggi più variabili, a volte fa solo una comparsata, a volte un bel cameo, a volte si rivela uno degli attori protagonisti del film, e questo è il caso del Rock per Scorsese.

Il regista ha fatto di ciò un vero e proprio marchio di fabbrica, scegliendo di raccontare il suo cinema anche con la musica, ma non solo, scegliendo di raccontare la musica stessa grazie al suo cinema.

             

Il rock e il cinema gangster

Il cinema di Scorsese è assolutamente versatile, si è prostrato al Thriller, al Musical, al Drammatico, ma soprattutto, si è evidenziato come un grande manifesto del cinema Gangster. Ecco, proprio in questo genere troviamo la massima espressione della musica Rock, che spesso si allinea ai tempi narrativi, o meglio, scandisce il ritmo del film, lo sporca con quel tono fuori dai canoni che solo lui – il Rock – ha saputo soffiare sul mondo.

Gimme Shelter dei Rolling Stones è quella che ha vissuto l’eterno ritorno, la troviamo in tutti i film gangster più indelebili del regista, da Quei Bravi Ragazzi a The Departed, passando per Casinò, nel quale però il premio canzone vincente vai ai The Animals.

Il Rock di Scorsese enfatizza fortemente l’impatto narrativo sui concetti portanti del profilo criminale, dalla perpetua affermazione e ricerca di Potere, coinvolgendo lo spettatore nella sua più sadica irrequietezza, ma allo stesso tempo nella sua linfa profondamente attraente, all’iperrealismo registico utilizzato per manifestare in maniera fredda, ma travolgente, la violenza.

Ecco, il Rock è forse una sorta di voce narrante nelle brillanti trame del regista, come se ci sussurrasse qualcosa a proposito di ciò che stiamo vedendo, circondandoci, trasportandoci nel ritmo, nel suo estro ribelle, ma consapevole della ribellione, scuotendoci per farci sentire inebriati da un qualcosa che dovrebbe disturbarci.

Noi siamo nel film grazie alla musica. Siamo Joe Pesci, siamo Daniel Day-Lewis, siamo Bob De Niro o, per lo meno, partecipiamo immersi nella loro storia.

I film di Scorsese sul Rock

Quasi come uno scambio di favori tra grandi amici, dopo essersi fatto prestare la voce dal Rock per i suoi film, Scorsese ha portato nel cinema la storia del rock.

Questo suo racconto della musica inizia con The Band, tradotto in Italia come L’ultimo valzerun documentario sull’ultima esibizione live del gruppo che da il nome al film: i The Band. Girato in uno dei periodi più bui del regista, dopo New York New York e prima dell’immortale Toro Scatenato, in questo manifesto della musica appaiono volti celebri come Muddy Waters, Van Morrison, Neil Young, ma anche Bob Dylan.

Proprio su Bob Dylan sarà girato il suo secondo importante documentario musicale, No Direction Home. Un’opera molto ricca e complessa che, nella durata di 208 minuti, spazia in molti momenti attraverso interviste, aneddoti e filmati incredibilmente riesumati dalla Troupe di Dylan, costruendo un quadro frammentato, ma dai contenuti di forte spessore storico e artistico, di una delle figure più controverse della musica degli ultimi cinquant’anni.

Dalle influenze artistiche all’impatto nel mondo della musica, dagli inizi al punto nevralgico del cambiamento di Dylan con Like a Rolling Stones, canzone da cui è tratto il titolo, No Direction Home si addentra nella vita del poeta e perdendosi trova qualcosa.

Martin Scorsese: «Negli anni dell’epoca formativa dei Rolling Stones la loro musica era davvero essenziale per me, io con la musica ci vivevo. […] Nel corso degli anni, mi sono accorto che la loro musica nasce dal blues. E guarda caso io amo molto il blues. In un certo senso, la loro musica mi ha fatto scoprire il blues. […] La verità della loro musica deriva dal blues. È la loro versione del blues. È la loro riaffermazione, la loro rielaborazione. Questo è duraturo. E il blues incarna certi aspetti, certe sensazioni che noi tutti condividiamo in quanto esseri umani. E questo uno lo sente o non lo sente dentro di sé».

Shine a Light, l’opera sui massimi compagni di avventura di Scorsese: The Rolling Stones.

Il concerto che viene documentato è quello tenutosi al Beacon Theatre di New York, il 29 ottobre e il 1º novembre del 2006. Qui Scorsese, che quando appare risulta divertito dalla follia artistica di una band senza schemi, ci mostra l’eterna voglia di conquistare il mondo dei Rolling Stones. Questi risultano eterni, senza età, ragazzini con le rughe che urlano libertà ed edonismo, a tal punto da conquistare chiunque gli si ponga dinnanzi.

Nel mentre del concerto vediamo video e interviste riesumate da un’epoca passata, ma di cui Mick Jagger, Keith Richards, Ronnie Wood e Charlie Watts tentano, e a mio avviso riescono, di tenere ancora in vita lo spirito.

Infine Scorsese e Jagger decidono di produrre qualcosa di indimenticabile, utilizzando il canale più in ascesa del momento, le serie TV: parliamo di Vinyl.

Ricreare la New York degli anni ’70, tempestosa, incapace di comprendere cosa stia accadendo al mondo, drogata di rock e punk.

Qui Scorsese non si occupa della regia, ma ne percepiamo comunque il tocco nell’impatto narrativo, osservando una serie che ci intrappola sia nel bene che nel male.

Insomma, per concludere, penso si possa dire che Scorsese, nonostante non sia mai stato un musicista, ha portato il suo cinema a essere, e anche per questo rimarrà eterno, un implacabile manifesto rock della Settima Arte.

Leggi anche: Scorsese e De Niro – Il genio e la sua stella

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