Killers of the Flower Moon – Il cameo e gli Stati Uniti

Alessandro La Mura

Febbraio 28, 2024

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Killers of the Flower Moon è l’ultimo film scritto, diretto e prodotto dal regista Martin Scorsese. Di certo l’autore non ha bisogno di grandi presentazioni, dato il suo enorme successo nell’universo cinematografico. Così come alcuni membri del ricco cast, artefice della realizzazione di questa epopea di tre ore e mezza: Leonardo Di Caprio, Robert De Niro, Jesse Plemons, Brendan Fraser, Lily Gladstone, vincitrice del Golden Globe 2024 come miglior attrice in un film drammatico.

Perché, sì, Killers of the Flower Moon è una pellicola drammatica che racconta una vicenda realmente accaduta che ha macchiato l’America statunitense durante i ruggenti anni Venti. Scorsese torna a riportare una delle tante facce della storia americana, il più delle volte intrisa di sangue, delitti e violenza, come lui stesso ci ha abituati in celebri opere. E questa volta, però, ricostruendo una storia che, in vero, assume le fattezze di un delitto che ha come protagonista una tribù di nativi americani: gli Osage.

Anche chi digiuna di storia è consapevole del fatto che gli stati fondatori degli Stati Uniti d’America, ancor prima che il Paese affondasse nel sanguinoso conflitto civile di metà Ottocento, dovettero forzare con le armi l’espansione in Occidente, scontrandosi con coloro che abitavano da tempi immemori quelle terre: i Pellerossa.

Gli storici, infatti, parlano di un vero e proprio genocidio perpetuato ai danni di un’intera popolazione che, pur di sopravvivere e di mantenere i propri riti e costumi, finì per abitare nelle cosiddette riserve.

Killers of the Flower Moon riadatta su schermo il saggio Gli assassini della terra rossa: affari, petrolio, omicidi e nascita dell FBI. Una storia di frontiera, scritto dal giornalista David Grann. Ci troviamo in Fairfax, nell’Oklahoma, e le tribù degli Osage hanno scoperto il petrolio. L’intera terra sulla quale risiedono è interamente intrisa di oro nero, cosicché, nel giro di pochi anni, diventano ricchissimi.

In scena compare l’avido Ernest Bukhart, il quale decide di andare a vivere assieme al fratello Byron e suo zio William Hale. Quest’ultimo è il vicesceriffo della zona, soprannominato “Re”. È conosciuto da chiunque. Si atteggia da benefattore e amico degli Osage; parla la loro lingua; conosce molto bene i loro costumi e le rispettive tradizioni. Tuttavia, in segreto, trama di ucciderli in modo da poter entrare in possesso delle varie ricchezze.

Per mettere in atto il suo piano, obbliga il nipote Ernest di sposare la Osage Mollie Kyle, la cui famiglia possiede parecchi diritti petroliferi. E all’indomani delle nozze, come se un cattivo presagio venisse liberato, i vari parenti della donna cominciano a morire in circostanze sospette. C’è chi, infatti, viene sparato. Altri ritrovati assassinati in luoghi limitrofi della città. Altri ancora vengono avvelenati. Mollie sa che dietro a tutto questo c’è la mano di William; così come è consapevole che alle spalle del suo lento e mortale avvelenamento (spacciato come cura per il diabete) vi è il Re aiutato dal marito, il quale (forse per amore o per compassione) ritarda la morte diminuendo giornalmente le dosi.

Queste misteriose morti attirano l’FBI che comincia a indagare e a sospettare di William Hale. Finché Ernest, sotto pressione dell’agente Tom White, decide di denunciare suo zio senza alcun reale successo, giacché le prove per una eventuale condanna sono nulle.

Arriviamo, dunque, al nocciolo della questione.

In Killers of the Flower Moon appare su schermo, all’improvviso, un programma radiofonico che fornisce un aggiornamento sulle vicende finora raccontate. Siamo alle battute conclusive del film e la storia viene esposta mediante una messa in scena singolare: una troupe radiofonica si presenta ed espone, con i mezzi dell’epoca, ciò che accade ai vari personaggi.

Come se si volesse sottolineare che le parole abbiamo maggior rilievo rispetto alle immagini; come nelle più importanti tragedie greche, il cui coro diviene il tramite narrativo attraverso il quale vengono esibite le complessità di un fatto compiuto, all’interno del film l’atto del racconto diretto si limita solo all’apparenza a spiegare la conclusione dei fatti.

La rappresentazione cinematografica veste i panni della rappresentazione teatrale, laddove Martin Scorsese di presenta come il corifeo della situazione. Tutto diviene la perfetta occasione per una esperienza di vita collettiva, sicché l’intero doppio pubblico (quello in scena e quello in sala) assistono alla narrazione di un dramma e condivide con esso le atrocità, i dispiaceri e le disgrazie. Tuttavia non vi è alcuna consolazione o catarsi, bensì la sola freddezza dell’ingiustizia umana.

La lettura conclusiva del necrologio di Molly è il racconto della pena che un popolo, in passato, ha dovuto subire. “Non c’era menzione degli omicidi”, recita a conclusione il corifeo Scorsese. Proprio così: l’assurdità di uno sterminio senza un omicidio. Un’altra faccia della storia americana!

Leggi anche: La Dialettica tra Favola e Realtà nella Narrativa Americana Contemporanea

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