La Narrativa Americana.
“Come il mondo vero finì per diventare favola”
Friedrich Nietzsche
130 anni fa, prima ancora che iniziasse il secolo passato, nel Crepuscolo degli idoli l’eterno Nietzsche profetizzò come il mondo fosse caratterizzato da una perenne dialettica tra realismo e fiabesco.
Secondo una delle interpretazioni del folgorante aforisma nietzschiano, da sempre l’uomo si è mosso verso una favolizzazione della realtà, rivelando come il mondo sia un perpetuo racconto di sé stesso, racchiuso negli illimitati confini posti dall’arte narrativa e quindi disancorato da una rigida consistenza materiale. In questo senso, il mondo diviene favola, il mondo in quanto tale si rivela rappresentazione.
Sin dall’alba dei tempi, le storie narrative hanno assunto un ruolo fondamentale nel processo di costituzione dell’individuo, incarnando un ancestrale bisogno proprio dell’essere umano di ogni tempo e di ogni luogo. Le storie non sono una fuga dalla realtà, ma un percorso che conduce a una progressiva presa di coscienza di sé e del mondo, conferendo una possibile logica al caos proprio dell’esistenza.
A prescindere dall’epoca e dalla cultura, i racconti fiabeschi, capaci di trascendere tempo e spazio, hanno accompagnato l’intero nostro cammino, rivelando la propria originale necessità soprattutto nell’età infantile e mostrando l’esigenza umana troppo umana di ottenere una risoluzione finale, un lieto fine, un effettivo epilogo.
Il narratore è quindi poeta della vita, capace di trasformare magicamente il mondo in favola, la realtà in sogno. In questo senso, è possibile sostenere, parafrasando Cartesio, come noi “raccontiamo dunque siamo”.
Dalla mitologia al cinema permane una primitiva necessità di raccontarsi, di riconoscersi rispecchiandosi in un’epica, rivelando così l’universalità insita nell’arte narrativa. Nella contemporaneità, il tempo che Heidegger definì l’epoca dell’immagine del mondo in cui la realtà è divenuta rappresentazione, il cinema si erge come il più grande generatore di storie, essendo la forma narrativa che meglio riproduce l’immaginario.
Tuttavia, l’America, la cui storicità si racchiude nei confini di un passato prossimo e non remoto, manca di una vera e propria epica; per ciò, richiamando a sé la primordiale urgenza di riconoscimento di sé stessi nel racconto mitologico, decide di fondarne una ancorata a radici essenzialmente contemporanee. Il mito, quindi, trova la sua autentica forma espressiva nell’opera cinematografica. Sulla base di queste premesse nasce l’epica post-moderna americana, ed è così che il mondo vero finì per diventare favola.
L’epos americano trova in una larga parte del cinema contemporaneo, archetipicamente rappresentato da una certa filmografia spielbergiana e dall’immortale Forrest Gump, la sua forza e legittimità.
Viene così a costituirsi un’epica autocelebrativa, per proteggere e conservare l’ideologia dell’eroe americano, quel personaggio dai mille volti che durante l’arco narrativo attua un percorso di crescita, di consapevolezza e di superamento di sé, affrontando sfide e prove esistenziali, fino ad ottenere una risoluzione finale positiva.
I personaggi che vincono, in amore come in guerra, divengono la figura archetipica del modello americano, raccontando sé stessi attraverso una parabola narrativamente definitoria e conclusiva, in cui il bene alla fine ha necessariamente la meglio sul male, mostrando questa opposizione come netta e indiscutibile.
Infatti, anche un personaggio con un basso quoziente intellettivo riesce a realizzarsi come eroe della guerra in Vietnam, giocatore olimpionico di ping pong e imprenditore di successo, trasformando sé stesso in un’icona americana, quel Paese in cui il sogno può e deve divenire realtà.
Tuttavia, la favola può essere rivestita da sfumature illusorie, rivelandosi quindi un’ingannevole maschera del mondo vero. L’epos americano, infatti, assumerà il ruolo di menzogna fiabesca poiché, narrando del bianco e del nero come antitetici assoluti, si dimentica delle sfumature di grigio che tinteggiano la realtà, raccontando solo una parte del reale e non la sua autentica totalità.
Quest’epica essenzialmente americana di autocelebrazione e formazione di coscienze, costituisce un mondo fittizio in forte opposizione a quello contemporaneo, negando qualsiasi forma di dialettica o critica possibile e imponendosi come la sola originale realtà. In questo modo, la fiaba dell’epica americana, assumendo il ruolo illusorio delle ombre e delle voci presenti nella caverna platonica, si sostituisce al mondo vero.
A questo risponde il disvelamento della menzogna fiabesca da parte di una forma di ethos americano (anti)narrativo. Nella contemporaneità emerge una narrativa che nega la propria accezione originaria, sconfessando questa impostazione classica, così da smascherare e riportare in auge il mondo vero.
Questa prassi narrativa, e quindi di natura esistenziale, scoprendo ciò che si nascondeva dietro alla maschera favolistica, mostra la condizione fallimentare dell’uomo postmoderno e del sogno americano, annunciando così la presenza dell’assenza di un epos risolutivo.
In questo modo, il racconto della realtà ritrova le proprie sfumature assurde, tragiche e contingenti che le erano state negate, rivelandosi non più necessitante di un lieto fine, di una ferrea opposizione tra buono e cattivo, e di una conclusione ultima e definitiva.
Gli autori che hanno assunto questo tipo di (anti)narrativa, vivendo nell’oblio dell’assurdo, necessitavano di raccontare il mondo e non la favola, la realtà e non il sogno, l’antieroe e non l’eroe. Da queste premesse emerge l’altro lato del volto americano, rievocando la presenza di personaggi distrutti dalla fiaba menzognera come il Comico di Watchmen, Joker o Travis Bickle di Taxi Driver che, privi delle classiche qualità eroiche, sono in lotta con i propri demoni, perseguitati da tormento e sofferenza.
Uno degli archetipi che rappresenta questa filosofia (anti)narrativa sono i fratelli Coen che, mostrando come questo non sia più un paese per fiabe, raccontano l’altra faccia della medaglia. Narrano di chi è stato sconfitto da sé stesso, come il protagonista di A proposito di Davis essendo uno dei tanti Bob Dylan che non ce l’ha fatta; di chi, come Larry Gopnik in A Serious Man, non ha una trasformazione e una risoluzione finale; oppure di chi, come i tre personaggi di Non è un paese per vecchi, non raggiunge lo scopo ricercato per l’intera storia.
Se la favola aveva assunto il ruolo delle ombre illusorie proiettate sulla parete della caverna platonica, che i prigionieri sono costretti a guardare, condannati a credere che quella fosse l’autentica realtà; allora il mondo vero è metaforicamente rappresentato, nell’immaginario di Platone, dallo schiavo che riesce a uscire dalla caverna e, abbagliato dalla luce del sole, riconosce per la prima volta la totalità dell’esistere.
Tuttavia, nel mito platonico, l’uomo ormai liberato, assumendo le vesti di narratore, decide di tornare nella caverna fiabesca per raccontare agli altri prigionieri che cosa ha visto, per mostrare la realtà nella sua compiutezza, per rivelare la verità.
Ed è così che, ancora una volta ma in una forma essenzialmente diversa, il mondo vero finì per diventare favola. Una favola che, attraverso un processo dialettico, diviene consapevole di sé stessa e, in quanto (ri)scoperta di un’effettiva narrazione, disvela il mondo vero.
Lo stesso Nietzsche affermava che l’esperienza della tragedia sperimentata a teatro fosse una manifestazione della vita vera, una finzione profondamente realistica. Ad esempio, l’ Amleto shakespeariano, per rivelare la congiura contro il padre defunto, decide di mettere in scena l’oscuro accaduto in un’opera teatrale, tramutando così la realtà in racconto. Amleto, paradossalmente, tenta di smascherare la finzione attraverso la finzione e, concependo il teatro come specchio della vita, rivela il mondo vero attraverso una rappresentazione.
L’autore contemporaneo che più di tutti incarna la sintesi narrativa tra realismo e fiabesco è Paul Thomas Anderson.
Un autore che, assumendo il ruolo del prigioniero liberato platonico che diviene narratore, si erge come unità e autentico superamento dell’epos e dell’ethos americano. I protagonisti provenienti dal cinema del regista statunitense, come Raynolds Woodcock de Il filo nascosto, Freddie Quell di The Master o tutti i personaggi di Magnolia, hanno un’evoluzione e una trasformazione narrativa, ma rimangono comunque ancorati a tutte le infinite grigie sfaccettature della realtà nella sua compiutezza.
Consapevole della potenza maieutica delle storie, Paul Thomas Anderson è in grado di raccontare una favola consapevole di sé stessa, fondando così, solo ora che la civiltà ha ottenuto una piena autocoscienza della propria identità antropologica e culturale, un’autentica epica. L’autore, raccontando di un paese ormai cosciente di sé, diviene l’originale narratore di storie americane e, attraverso la favola, disvela il mondo vero.
“Come il mondo vero finì per diventare favola”
Friedrich Nietzsche