Taxi Driver – La solitudine tra poesia e follia

Andrea Vailati

Novembre 19, 2016

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Taxi Driver – La solitudine tra poesia e follia

Taxi Driver e The Wolf of Wall Street, Toro Scatenato e Shutter Island, cosa può accumunare film così lontani nel tempo e diversi nella struttura? Un solo nome, il nome di colui che forse proclamerei il regista più versatile della storia, il regista che ha definito le sorti del cinema degli ultimi quarant’anni: Martin Scorsese.

Questa rubrica vuole ripercorrere le grandi opere del maestro italoamericano, così da non ricordarlo solo per le ultime fatiche, ma per ogni sua epoca artistica, dai tempi di Bob De Niro al recente meraviglioso sodalizio con Leonardo DiCaprio, cercando di trovare anche le differenze e le similitudini nelle sue opere più lontane, le sue evoluzioni artistiche ed i suoi temi, raccontando il suo eterno cinema.

L’Epoca De Niro

Taxi Driver
Robert De Niro e Martin Scorsese, 1976

Taxi Driver

Taxi Driver
“Taxi Driver”

America, 1976.

Il capitalismo cresce.

Il sogno americano sfuma, sgretolandosi in una profonda alienazione.

La guerra in Vietnam non è quella di Forrest Gump, la guerra in Vietnam è uno dei più grandi fallimenti dell’America.

Taxi Driver, però, non ci racconta il fallimento della guerra all’interno della guerra stessa, ma all’interno dell’essere umano, del reduce incapace di comprendere la sua esistenza nel mondo.

Robert De Niro, Travis Bickle, è la solitudine dell’uomo, ancora prima di essere l’uomo. Cosa vuol dire essere un uomo nell’America di quegli anni? Il tassista osserva, ma non capisce.

Qui subentra il capolavoro; Scorsese ci dipinge un processo degradante all’interno della psiche del protagonista, la sua epifania folle, con pennelli profondamente poetici.

Tutta la narrazione si evolve lentamente, luci soffuse, musiche malinconiche, malinconiche di un mondo che si è sperato potesse esistere, ma che non esisterà mai.

Travis prova a vivere la realtà, quella che gli è stata imposta al suo ritorno, ma non può accettare questo mondo, non dopo il Vietnam, ma forse questo mondo è ancora peggio ai suoi occhi. Ecco il disgusto, la rabbia repressa, la voglia di integrarsi, di iniziare a esistere e di non barcollare più in una sospensione anonima, fuori dal mondo, inizia a manifestarsi in lui.

Prova a uscire con una donna, angelica, la porta a vedere un porno. Lei schifata, lui non ne comprende il motivo. Si tratta di una scena molto potente, mostra le menzogne del mondo, gli ipocriti costumi.

Travis Bickle: «La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c’è scampo: sono nato per essere solo».

Taxi Driver
“Taxi Driver”

Il mondo è sporco, va ripulito. Travis vuole essere l’eroe che lo ripulirà, ma nessuno lo considera tale; egli è un tipo di uomo che va scansato, non ascoltato, solo gli uomini tutti d’un pezzo possono salvare il mondo.

Salvare una ragazzina prostituta, eliminare da questo infame mondo gente marcia come può esserlo un pappone: Travis ha trovato un significato. Con una furia omicida e la cresta in testa, il protagonista simula una pistola con le sue mani, sorride e preme il grilletto, uccidendo un mondo fasullo e, al contempo, la sua inquietudine.

Travis Bickle: «Ah sì certo, ah ah… Vaffanculo figlio di puttana, ti ho visto arrivare sai, pezzo di merda, avanti, avanti su, io non mi muovo, non mi muovo dai, prova a muoverti tu, e muoviti… Non ci provare stronzo. Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Eh, Non ci sono che io qui. Di’, ma con chi credi di parlare tu? Ah sì è e, va bene… ».

Tutti conoscono questa battuta, ma il suo significato? Travis contro il mondo, o contro la sua sporcizia? Forse Travis contro se stesso, il suo demone, la sua solitudine, contro il fallimento di un sogno che per una generazione è stato inculcato nelle ingenue menti speranzose. Il sogno di un mondo migliore, un mondo sincero e fatto di condivisione. Travis contro il suo essere un traumatizzato, un reduce che nessuno ha aiutato, un reduce che infine viene proclamato eroe pur di non ammettere che sia un malato, pur di non ammettere che sia una conseguenza dell’incubo americano.

Nella scena finale ci si chiede se Travis sia tornato normale o meno, ma io non credo. Lui ha solo capito che il mondo non può essere cambiato; nascondersi nella solitudine è, a volte, la scelta migliore.

Taxi Driver è la poesia di un mondo fallito prima ancora di provare a essere migliore, la malinconia di un sogno sgretolato, la dolcezza di una consapevolezza quanto mai amara.

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