A Proposito di Davis – Odissea di un Eterno Perdente

Tommaso Paris

Ottobre 6, 2018

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Chi è Llewyn Davis?

Llewyn Davis è chi non ce l’ha fatta, chi è caduto e non ha avuto il coraggio di rialzarsi, chi ha perso l’occasione.

Llewyn Davis è tutti noi, o comunque una nostra parte fondamentale, che continua insistentemente a bussare alla porta del nostro Io più intimo, quell’ego che spesso rifiutiamo di affrontare. Eppure, è anche ciò che conferisce il diritto di sostenere e di urlare al mondo, in modo autentico, l’essenza di chi, ora, siamo.

1961, Greenwich Village, New York. Tempo e luogo che permettono la manifestazione della musica Folk, quell’arte popolare in grado di creare relazioni tra chiunque, poiché, in un modo o nell’altro, possiede la capacità di scoprire un lato presente in tutti noi, anche uno che tuttora non conosciamo. Se un pezzo “non è mai stato nuovo e mai diventerà vecchio, allora è una canzone folk”, ci confessano i Coen, permettendo di acquisire la consapevolezza del perché, spesso, ritroviamo noi stessi in questo genere. I registi ci mostrano tutto ciò attraverso immagini e suoni dalla struggente poetica, consentendo di entrare in intimità con il personaggio.

Iniziamo a conoscere Llewyn, compiamo insieme il suo assurdo viaggio di casa in casa, di canzone in canzone, di sconfitta in sconfitta.

Llewyn Davis è un personaggio fortemente condizionato da circostanze esterne, sia dal punto di vista personale che professionale. Tuttavia, possiede un talento che fatica ad esprimersi, un talento forse non abbastanza grande, ma pur sempre di un’unicità tale che lo condanna a crederci. Rappresenta l’individuo che intravede l’opportunità scorrergli accanto, senza avere la forza e il coraggio di compiere quel passo in più, necessario, per farla propria.

Con l’eterno scorrere del racconto, Llewyn Davis, insieme allo spettatore, acquisisce la consapevolezza di essere il proprio ostacolo, la propria sventura, la propria condanna. L’autentica conoscenza di sé stesso si disvela profondamente tragica. Il protagonista si rivela a sé stesso come l’autore dei propri fallimenti.

“- Tu non vuoi mai andare da nessuna parte, ed è per questo che continuano a succederti le stesse cazzate: perché sei tu stesso a volerlo.
– Dici che è per questo?
– Sì, e anche perché sei uno stronzo!”

Llewyn Davis compie un viaggio alla ricerca di un’occasione, di un lavoro, di una possibilità di sé. Abbandona i cafè newyorkesi per recarsi ad un’audizione nella speranzosa Chicago, conducendolo in vicissitudini e incontri dai tratti grotteschi ed assurdi. Nella sua avventura si imbatte in un proprio passato che tenta di farsi sempre più presente, in un jazzista cocainomane, in conseguenze di scelte sbagliate, in un poeta beat, e in un gatto arancione che risplende in una grigia New York.

Il chitarrista compie un cammino, che indossa le vesti dell’autentica tragicità di una vera e propria Odissea. Vagando, cercando, inseguendo, Llewyn si perde. Il suo è un viaggio che non porta da nessuna parte, ma si intreccia invece con il tentato ritorno di un altro personaggio, un’altra Odissea, quella del gatto, chiamato tra l’altro Ulisse. Il gatto, al contrario di Davis, riesce a raggiungere la sua meta, ritorna sulla strada verso casa, ottiene una conclusione alla sua storia. L’Odissea di Llewyn non avrà compimento, ma tornerà da dove era partita. Tutto ritorna eternamente, come un inferno esistenziale.

Il protagonista vive un’esistenza di eterni ritorni, ciò si manifesta nella ciclicità narrativa scelta dai registi, evocata da una medesima situazione all’inizio e alla fine dell’opera. Tutto costantemente si ripete, e noi veniamo immersi nella tragicità dell’esistenza, rendendoci consapevoli che il film, la vita di Llewyn, come la nostra, non avranno una conclusione con un irreale lieto fine.

La vita non gli è stata favorevole, forse anche perché lui non le ha mai veramente permesso di esserlo. Tutto ciò condanna il nostro protagonista alla categoria dei perdenti, quei perdenti in cui, però, ritroviamo noi stessi. Llewyn Davis è un eterno perdente, lo è per sfortuna, lo è per scelta… lo è perché umano.

La sua rimane una ricerca perpetua, una ricerca che però ha una finalità sfumata, non ben definita. Llewyn è un personaggio che cerca costantemente, senza sapere, però, cosa cercare. Si perde nei meandri della sua personalità sfuggente ed incompresa, che lo conduce ad immolarsi come il vero e proprio ostacolo di sé stesso. Il protagonista, vagando nella totale incertezza, tenta di abbracciare una luce nell’inafferrabile ombra del caos, che caratterizza l’esistenza.

Il personaggio Llewyn Davis si presenta come la struggente personificazione della malinconia, un insopprimibile sentimento di impotenza di fronte ad una realtà dai tratti indifferenti. Le vibrazioni provenienti dalla chitarra e voce del protagonista ci conducono, piano piano, in un abisso in cui fatichiamo ad orientarci.

È come se Llewyn ci facesse affogare insieme a lui, affogare in una superficie profonda, lentamente e in modo del tutto inconsapevole. E solo nel momento del puro atto creativo, dell’autentica manifestazione di sé, cantando e suonando, che Llewyn è come se improvvisamente ricordasse come nuotare. Sopravvive, distaccandosi per un attimo dall’ineluttabilità della vita, per poi cadere ancora nella trappola da sé stesso ideata, per poi fallire eternamente.

Chi è Llewyn Davis? Semplicemente uno degli infiniti Bob Dylan che non ce l’ha fatta.

Se il mondo è per i vincenti, cosa ne resta dei perdenti?
Se il mondo è per i Bob Dylan, per gli eroi, cosa ne resta dei Llewyn Davis, degli antieroi?
Cosa ne resta di chi fallisce? Cosa ne resta di quella fondamentale parte di tutti noi?

I Coen rendono omaggio, a loro modo, a tutti i Llewyn Davis, a chiunque non ce l’abbia fatta, a chiunque non ha avuto la forza di resistere alla tragicità della vita. A chiunque, in ogni tempo e in ogni luogo, è stato sconfitto da sé stesso.

I Coen rendono omaggio a noi tutti.

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