Tra After Hours di Scorsese e After Hours di The Weeknd

Matteo Melis

Giugno 22, 2022

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«Thought I almost died in my dream again
Fightin’ for my life, I couldn’t breathe again
I’m fallin’ in too deep».

(The Weeknd, After Hours)

After Hours è un titolo storico. Si contraddistingue per la sua unicità e per l’istantanea evocazione che queste due semplici parole sanno provocare. Pensiamo subito alla notte profonda, al sonno rimpiazzato dalle luci, a una vita che si protrae quando gli uffici sono chiusi, quando il resto del mondo giace su un letto.

After Hours è un titolo fondamentale.

Lo è per Scorsese, che nel 1985 gira un film atipico, realizzando un puro cult della sua produzione cinematografica. Lo è per The Weeknd, che nel 2020 pubblica un disco che resta nelle classifiche mondiali per due anni, segnando un punto di svolta cruciale nel rapporto sinergico tra musica commerciale e firma autoriale.

L’iconico Paul Hackett di Griffin Dunne

Tra le due opere c’è una grande continuità, o meglio, The Weeknd sembra non aver prelevato solo il titolo da uno dei capolavori di Scorsese.
Partiamo col dire che entrambi gli After Hours sono due viaggi confusi e tumultuosi nella notte.

«Every month another accusation
Only thing I’m phobic of is failing
I was never blessed with any patience
So a ni*ga leaving, leaving, leaving into the night».

(The Weeknd, Snowchild)

Paul Hackett è un programmatore che sembra avere una vita media e un impiego monotono. Una sera, dopo il solito turno lavorativo, conosce un’attraente ragazza, Marcy, in un bar. Dopo qualche battuta su Tropico del Cancro di Henry Miller, la ragazza dà il numero della sua amica Kiki al protagonista, invitandolo a raggiungerle successivamente nel loro appartamento.

Una volta preso appuntamento, Paul si dirige verso l’abitazione di Marcy su un taxi che, però, risulterà per lui fatale, visto che nella corsa perderà gli ultimi venti dollari che gli erano rimasti.

Da qui, si accende un turbine di eventi sfortunati che rendono grottescamente unica la notte del protagonista di After Hours.

Paul e Marcy

«My darkest hour,
Girl, I felt so alone inside of this crowded room».

(The Weeknd, After Hours)

La strana atmosfera del film è già riscontrabile dall’arrivo di Paul nell’appartamento di Marcy, se non, addirittura, dalla scena in cui si conoscono al bar. Si avverte come un alone di assurdità intorno alle azioni di chi è esterno al protagonista, come se anche noi ci trovassimo improvvisamente in questo mondo particolare e atipico.

Paul non appartiene all’universo di After Hours, bensì ci piomba dentro.

Da quel momento, non può più averne controllo: dai venti dollari persi ai pochi spiccioli mancanti per il biglietto della metro, fino alla misteriosa morte di Marcy, tutto quello che succede all’antieroe del film di Scorsese sembra essere incredibilmente più grande di lui.

«I don’t know if I can be alone again
I don’t know if I can sleep alone again».

(The Weeknd, Alone Again)

Paul è solo pur non essendolo mai, è una persona che sembra provare un costante sentimento di solitudine senza tuttavia rimanere totalmente isolato per lunghi momenti.

Attraverso questa serie di espedienti sia narrativi che tecnici, iniziamo a capire come il protagonista del film di Scorsese sia un uomo in qualche modo punito. Ma è una punizione che non prevede né colpe né apparenti ragioni.

La strana situazione a casa di Marcy

A una prima analisi, c’è chi viene vessato, ma non chi vessa, se non una sorta di fato che avvolge l’intera vicenda.

Con un semplice lavoro di retrospettiva, possiamo tuttavia arrivare all’origine delle sfortune di Paul: l’incontro nel bar con Marcy. Tutto nasce da lì, dall’inseguire una donna provocandosi nient’altro che problemi, disguidi e incidenti. 

«She a cold-hearted bitch with no shame
But her throat too fire
She got Chrome Hearts hangin’ from her neck
And them shits going wild
When she ride, she hold tight
She gon’ ride ‘til sweat fall down her spine
She’s all mine for the night
She’s all mine until he calls her line».

 (The Weeknd, Escape From L.A.)

È lei la radice delle punizioni, il principio tramite il quale tutto scaturisce.

C’è una scena che racchiude in sé l’essenza di After Hours. Paul, deluso dal non aver potuto pagare il biglietto della metro e martoriato da una pioggia torrenziale, entra in una tavola calda per reperire i pochi spiccioli mancanti.

Il locale è semivuoto, ci sono due persone che lavorano lì e una coppia felice che balla al centro della sala. Paul, puntualmente, rivolge ai due uno sguardo cagnesco. Dopo essersi accomodato, la cameriera gli lascia un foglio con scritto “Aiutami! Odio questo lavoro”. Il messaggio sembra a metà tra la reale richiesta di aiuto e un principio di flirt. Paul sembra piombare nuovamente nella situazione di inizio serata. Dopo un breve sguardo di intesa tra i due, Paul va in bagno.

Qui, accanto allo specchio, il protagonista trova un semplice disegnino che rappresenta un uomo al quale uno squalo azzanna il pene. 

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Scena del bagno

Per quanto passeggera, questa breve inquadratura è determinante nella lettura dell’opera.

Nel suo illuminante Visual Pleasure and Narrative Cinema (1975), Laura Mulvey sosteneva che le dinamiche punitive che il maschio inscenava verso la donna nel cinema classico potessero derivare anche dal complesso di castrazione, cioè la paura della perdita dell’organo maschile.

Paul non è un personaggio che perpetra questo meccanismo inconsciamente, bensì è vittima delle stesse dinamiche negative che lui, uomo, proietta sulla figura femminile.

Allo stesso modo, lungo il suo meraviglioso After Hours, The Weeknd sa di essere vittima attiva e cosciente di una relazione tossica, di tradimenti subiti e inflitti, della città in cui vive, degli stupefacenti e del vorace dinamismo della notte.

In questo senso, il corrispettivo della scena del bagno descritta poco fa è certamente Escape From L.A., il brano in cui The Weeknd descrive in modo fedele la carnalità velenosa del suo rapporto e la condizione di continua menzogna in cui, nella stessa maniera, versa la città di Los Angeles.

«This place is never what it seems
Take me out, L.A.
Take me out of L.A. […], LA girls all look the same
I can’t recognize
The same work done on their face
I don’t criticize».

(The Weeknd, Escape From L.A.)

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June e Paul

Ecco che The Weeknd si allinea a Scorsese nel comprendere la natura della visione stereotipica maschile verso il genere femminile, che però non è più motivo di sottorappresentazione della figura della donna all’interno delle opere.

Al contrario, i personaggi femminili di After Hours mantengono una propria indipendenza, ma il protagonista, intriso della semantica illustrata in Visual Pleasures, rimane incagliato nei propri atteggiamenti finendo in un vortice di eventi negativi.

Infatti, Laura Mulvey individuava in modo preciso il ruolo attivo dell’uomo nel cinema classico, mentre la donna non era quasi mai agente e soggetto operatore delle proprie azioni.

È come se Scorsese e The Weeknd volessero condannare i personaggi di cui parlano in quanto schiavi degli stereotipi.

Lo squalo addenta il disegno dell’uomo castrandolo, rendendolo quindi vittima di quella visione. Una visione che, su pellicola, non si esprime più con il dominio maschile sulla donna, ma con l’uomo che si compromette perché dipendente da queste dinamiche, mentre la donna, indipendente, è soggetto del proprio fare.

«Faith
I’m losing my religion every day
Time hasn’t been kind to me, I pray
When I look inside the mirror and see someone I love».

(The Weeknd, Faith)

Paul, che The Weeknd sembra adottare come proprio alter ego per il suo capolavoro, non è vittima di nessun’altro al di fuori di se stesso. È il suo modo di fiondarsi su una ragazza senza nessun interrogativo a distruggerlo, magari con la quieta consapevolezza che questa si concederà passivamente.

Scatta, infine, una strana sinergia tra l’oggettivazione della donna e la paura di essa, in uno degli stereotipi che tutt’e due le opere disvelano, e di cui Scorsese e The Weeknd sono consapevoli.

Entrambi i protagonisti di After Hours vengono così puniti dalla loro stessa visione distorta della figura femminile.

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Il finale di After Hours

Finito addirittura all’interno di una scultura per nascondersi da alcuni ladri, il protagonista di (anzi, di entrambi gli) After Hours rimane paralizzato, spaventato, vuole solo tagliar fuori quella notte e quella donna dalla sua esistenza, dai suoi sogni, dalla sua quotidianità, per riiniziare a vivere come una persona migliore.

Non migliore rispetto a lei, che in fin dei conti l’ha solo invitato a casa, ma migliore rispetto a se stesso.

«I can’t move, I’m so paralyzed
I’m so paralyzed
I can’t explain why I’m terrified
I’m so terrified

Well, I don’t wanna touch the sky no more
I just wanna feel the ground when I’m coming down
It’s been way too long
And I don’t even wanna get high no more
Just want it out of my life
Out of my life, out

I wanna cut you outta my dreams
‘Til I’m bleeding out
‘Til I’m bleeding
I wanna cut you outta my mind
‘Til I’m bleeding out
‘Til I’m bleeding

I keep telling myself I don’t need it
I keep telling myself I don’t need it anymore
Need it anymore».

(The Weeknd, Until I Bleed Out, ultima traccia di After Hours)

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