Emanazioni dell’inconscio, isteria, nevrosi e paure rimosse. Freud (2020) è l’esperimento pop proposto da Netflix per raccontare in chiave esoterica gli albori della carriera del medico viennese, precursore della psicoanalisi.
Ambientata nella Vienna del 1890, caratterizzata da intrighi, congiure e oscuri riti basati sull’uso strumentale della suggestione ipnotica, la serie ha l’ambizione di contestualizzare le riflessioni e le scoperte del neurologo in quel particolare momento storico, ma in una narrazione alternativa e troppo sperimentale per essere godibile come bio-pic.
La Salomé, Breuer, la corte viennese, Freud e Schnitzler vengono inseriti in un calderone di elementi troppo eterogenei tra loro, e il risultato è un prodotto banale, debole e solo superficialmente psicologico.
Filoni crime, paranormali e storici s’intrecciano episodio dopo episodio, e tra le diverse storyline la più realistica è quella dedicata ad Alfred Kiss, l’ufficiale della Guardia viennese impegnato nella risoluzione di alcuni misteriosi omicidi.
Il coinvolgimento del ciarlatano ebreo Sigmund Freud in queste attività investigative avviene per coincidenza: proprio grazie a Kiss, che gli porta in casa, nel cuore della notte, una giovane donna ferita.
La morte di questa donna e la partecipazione ai ricevimenti dei Szapàry, conti ungheresi esiliati, contribuiscono a produrre un’integrazione tra il crime e l’horror, man mano che Kiss, Freud e la medium Fleur Salomé trovano i loro ruoli all’interno della trama.
L’ipnosi: la truffa terapeutica di Freud

Freud
L’Io rappresentato come una casa, il lanternino della coscienza che prova ad «illuminare le terre oscure dell’Es» (Freud, 1922), l’agitazione della pulsionalità inconscia: sicuramente di carne a cuocere, Freud ne mette parecchia.
Nella decadente Vienna positivista, il medico ebreo è un visionario troppo all’avanguardia per i suoi tempi: l’egregio Professor Meynert e gli altri colleghi reputano inefficaci le sperimentazioni di una talking cure fondata sulla suggestione ipnotica. Breuer è l’unico medico che lo supporta.
Per questo e altri motivi, Freud è un emarginato che versa in una condizione economica ed esistenziale di completo disagio: fatica a pagare l’affitto, desidera ingannare i colleghi pur di fare carriera e non può dare rassicurazioni alla sua fidanzata Martha.
Se c’è un elemento apprezzabile della narrazione, questo è il nostalgico riferimento del percorso fatto dal giovane Freud alla Salpêtrière di Parigi con Charcot, che lo ha iniziato all’ipnosi.
L’utilizzo di questa tecnica e il titolo degli episodi (“Isteria”, “Trauma”, “Sonnambulo”, “Totem e tabù”, “Desiderio”, “Regressione”, “Catarsi”, “Rimozione”) sono i riferimenti più validi alla teoria psicoanalitica costruita da Freud a partire dalla sua esperienza clinica.
Paradossalmente, facendo leva sulla cocaina e sulle altre debolezze del giovane medico, lo show riesce a costruire un personaggio «umano, troppo umano» (Nietzsche, 1878), e di conseguenza vicino: qualcuno in cui identificarsi.
Poiché proprio da Freud sappiamo che l’identificazione è la prima forma del legame umano e che «l’Io è un precipitato d’identificazioni» (Freud, 1932), questo fattore gioca un ruolo che scuote le coscienze degli spettatori in maniera importante.
Gli albori della psicoanalisi passano in secondo piano nella misura in cui il setting – la città di Vienna – è oscuro, misterioso e perturbante. Ecco quindi che il coinvolgimento di Freud nel filone investigativo della produzione acquisisce un senso: tramite il suo lento progredire terapeutico, scava archeologicamente nella psiche di Fleur Salomé, trovando indizi degli efferati crimini commessi da alcuni giovani.
Tàltos: l’aggressività inconscia

Fleur Salomé – Freud
Rapidamente la figura di Freud passa in secondo piano: il medico diventa la spalla di Fleur Salomé, la bella medium protetta dai Szàpary. Questo sviluppo narrativo è dovuto da un lato alla debolezza costitutiva del personaggio, e dall’altro alla rappresentazione dell’isteria e della dissociazione della donna.
Fleur, infatti, soffre di una scissione della personalità che emerge soprattutto nei suoi stati di coscienza alterati dall’ipnosi: spesso la contessa Sofia la usa come strumento per trasmettere ad altri soggetti (giovani rampolli della corte asburgica) messaggi paranormali, per assecondare la loro distruttività inconscia e realizzare i loro desideri più oscuri.
«Diventiamo ciò che desideriamo più profondamente», dice Freud a un certo punto dell’ultimo episodio. Questo è vero nella misura in cui, come sostenuto dalla psicoanalisi, dietro ogni azione umana opera inesorabile quel determinismo psichico inconscio, filtro ineludibile che associa ciascun comportamento a un particolare moto libidico inconscio.
Com’è noto, è questo il significato dell’epocale rivoluzione copernicana operata da Freud: L’Io non è padrone in casa propria, e conosce ben poco dei contenuti che abitano la psiche del soggetto. Episodio dopo episodio, questa verità psichica emerge gradualmente, anticipando la grandezza della psicologia del profondo.
Nell’attualità della trama, tuttavia, il medico deve fare i conti con i limiti epistemologici della psicologia, una società ferma sui costumi tipici della morale della repressione sessuale e la negazione degli oscuri desideri individuali.
L’ispettore Kiss è la figura che lega l’archeologica esplorazione della psiche di Freud e Fleur, che tramite le sue visioni aiuterà gli altri due a scoprire le terribili verità che popolano le strade di Vienna.
Il paranormale assume le forme di questo demone ungherese, il Tàltos, che Fleur è in grado di evocare in ciascun ragazzo che entri in contatto con lei quando è in trance ipnotica: la trappola organizzata dagli Szàpary alla corte asburgica è tutta fondata sul potere della ragazza.
Tralasciando le inesattezze storiche, le sfumature horror e il coinvolgimento di Freud nelle congiure politiche, questa serie dunque costruisce da un lato una rappresentazione del personaggio banale e lontana dalla realtà, e dall’altro getta basi abbastanza solide che consentiranno al medico di passare dall’ipnosi al metodo catartico, e da questo alla psicoanalisi vera e propria. A tal proposito, la scena finale con la sistemazione del lettino è un simbolico invito al prossimo paziente.
FLEUR: «Non scrivere un libro su di me. Scrivi tanti libri grazie a me. Sii SIGMUND FREUD».
Hic sunt dracones: laddove era l’Es, deve arrivare l’Io

Freud
Il dialogo tra Breuer e Freud è uno dei momenti accademici più alti dello show: costruendo un metaforico confronto con la navigazione, la cartografia, e l’esplorazione delle terre ignote, i due medici giungono a toccare il nucleo della successiva metapsicologia freudiana.
Proprio perché si percepisce che qualcosa di ignoto, qualcosa di in-conscio c’è, tanto vale provare a esplorarlo, portarlo alla luce e sistematizzarlo. Questo è lo scopo latente che segue le vicende della serie Netflix: al netto delle avventure paranormali con Kiss e la Salomé, il desiderio più intimo del medico viennese resta quello di realizzarsi.
Per farlo è disposto anche a scendere a patti con la corte austriaca, se questo significa poter continuare a operare umilmente, per apportare quei piccoli, ma significativi, mattoncini d’intelligibilità alla psiche umana.
Il finale della serie anticipa il futuro: paziente dopo paziente, saggio dopo saggio, Freud diventa il padre della psicoanalisi, la figura classica di riferimento quando si pensa alla psicologia dinamica e alla talking cure.
In tal senso e nonostante i suoi difetti, questo show ha il merito di contribuire, seppur in minima parte, a quel lento processo di lavoro di civiltà (“Kulturarbeit” Freud, 1932), simbolicamente rappresentato come il prosciugamento di una diga che rappresenta la capacità dell’uomo di conoscersi, di far convergere verso l’integrità i diversi frammenti che lo costituiscono.