«Spazi aperti. Pace. Libertà.
Le mie scelte, non quelle di qualcun altro.
Tutto qui. Una vita semplice. Così pensavo».
(Stijn Hilgers)
Già, così pensava Stijn Hilgers: un pastore olandese dalla visione romantica della vita e con obiettivi idealistici da perseguire, il quale si trova immerso in un sistema sociale e produttivo in grado di privarlo della sua libertà.
Il regista Ton van Zantvoort con Sheep Hero, semplicemente mostrando l’accadere della vita di un uomo e della sua famiglia nelle pianure olandesi, realizza un documentario dalle forti sfumature sociali e dalle implicazioni politiche non indifferenti. Tuttavia, l’artista dei Paesi Bassi non attacca direttamente il sistema capitalistico, ma, descrivendo e non spiegando, rivela una delle infinite storie che vengono tragicamente negate per fronteggiare l’incessante ricerca di profitto. La critica all’impianto neoliberista attuale, quindi, emerge solo in un secondo momento, quando lo spettatore prende consapevolezza del contenuto filmico, empatizzando con un uomo che voleva fare solo ciò che più amava dalla vita. Grazie al formidabile lavoro di Ton van Zantvoort – vincitore del premio come Miglior Regia al Torino Underground Cinefest -, la cui macchina da presa risulta quasi invisibile, lo spettatore è come se fosse catapultato in quel paesaggio campestre insieme ai personaggi e alle loro pecore.
«È l’unica cosa che so fare. Ho 40 anni e 500 pecore, ed è questo che voglio fare».
(Stijn Hilgers)
Sheep Hero, presentato al festival di cinema indipendente Torino Underground Cinefest, non è quindi la storia di un eroe che ha trionfato – l’eroe delle pecore -, ma di un eroe che purtroppo, non per sua colpa o sfortuna, non ce l’ha fatta. Per incrementare il profitto, i proprietari terrieri prediligono delle macchine specifiche rispetto a un gregge di pecore, favorendo la tecnica rispetto alla natura, l’innovazione alla tradizione. Condannato al fallimento e alla caduta, Stijn avrà un fato tragico poiché, proprio come un eroe greco soggiogato al volere degli Dei, questo pastore è asservito alle forze dell’unico Dio della contemporaneità: il denaro, ciò che Karl Marx già nel 1844 definì il potere alienato dell’umanità.
Il sistema produttivo nel quale siamo tutti immersi, infatti, non assume le stesse sembianze per tutti gli uomini: c’è chi rimane a galla e invece chi annega in una superficie profonda. In quello che non è più un paese per pastori, il sistema capitalistico diviene destino per l’Occidente secondo il sociologo Max Weber che, nella metafora della gabbia d’acciaio, rivela come il soggetto contemporaneo sia costretto a vincoli – oppressivi per i pesci piccoli e funzionali per quelli grossi – che condannano l’uomo a una condizione di tacita alienazione.
Stijn Hilgers è ostaggio di una gabbia invisibile le cui sbarre, in forma di norme e leggi da rispettare necessariamente, rendono la sua possibile fuga irrealizzabile. Eppure, il pastore prova a forzarle, incarnando spiriti idealistici tali da renderlo un vero e proprio eroe contemporaneo, attraverso manifestazioni, convegni, incontri con enti pubblici ed eventi all’insegna della creatività.
«Le aziende hanno il potere, ma noi la verità».
(Stijn Hilgers)
Tuttavia, per quanta verità Stijn e gli altri pastori possano incarnare, non sarà mai abbastanza per fronteggiare l’ordine costituito. Lui, da buon pastore, sarà costretto a seguire il gregge, inseguito da un cane che, al posto di abbaiare, urla inneggiando al capitalismo.
Nel finale del documentario scopriamo che Stijn, insieme alla sua famiglia, dopo aver visto i propri sogni e ideali calpestati da un’entità invisibile, eppure tragicamente tangibile, oggi sono alla ricerca di lavoro e di un luogo stabile per vivere.
Sembra che per ora la Storia abbia dato ragione a Weber invece che a Marx: la gabbia d’acciaio invisibile non ha un destino, come invece pensava il filosofo comunista convinto che dovesse implodere su se stessa viste le palesi contraddizioni interne, ma è un destino, il destino dell’Occidente ci rivela il sociologo tedesco. In questo modo, non appare possibile la rivoluzione, ma la necessità di trovare qualche frammento di libertà dall’interno. Eppure, non resta che riprendere il monito marxista, forse solo sussurrato in forma parafrasata dal regista di Sheep Hero, per cui: «Pastori di tutto il mondo, unitevi!»
Con un’autorevole fotografia capace di catturare tutte le sfumature delle pianure olandesi, Ton van Zantvoort necessitava di raccontare questa storia, rendendo omaggio a tutti quei pastori che, purtroppo, saranno condannati a interrompere il percorso per divenire ciò che sono, alienati da un sistema produttivo.
Se il progresso storico ed economico continua a proseguire sulla stessa strada, tra una decina d’anni non ci sarà più alcun pastore su questa terra, nessun gregge di pecore che bruca il terreno controllato da un cane. Fortunatamente c’è stato Ton van Zantvoort che, con Sheep Hero, ha raccontato una storia che altrimenti tutti ci saremmo drammaticamente dimenticati.
«Una vita semplice. Così pensavo».
(Stijn Hilgers)