Chi ha ucciso Kennedy? La vera storia dietro il film JFK: un caso ancora aperto

Valentina Palermo

Aprile 20, 2020

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JFK- Un caso ancora aperto

Solo poche settimane fa, i media hanno dato la notizia della morte, a causa di un incidente in canoa, di Maeve Kennedy e di suo figlio Gideon. I due sono solo le ultime vittime di una maledizione che da cinquant’anni colpisce chi porta l’illustre cognome. Coincidenze? Dicerie superstiziose? Può darsi. Certo è che le tragedie che hanno afflitto (e che continuano ad affliggere) i Kennedy hanno un che di assolutamente incredibile.

La morte più famosa è ovviamente quella del Presidente John Fitzgerald Kennedy, ucciso da un colpo di fucile durante una parata a Dallas nel 1963. Secondo le ricostruzioni ufficiali, a premere il grilletto fu l’ex militare Lee Harvey Oswald. Questa versione dei fatti non convinse però davvero tutti. Fra i più scettici troviamo Jim Garrison, procuratore distrettuale di New Orleans. L’uomo avanzò l’ipotesi che l’uccisione di Kennedy fosse in realtà frutto di un complotto orchestrato dalle alte sfere.

La bomba fatta esplodere da Garrison e dal suo team non passò inosservata nella Hollywood sempre a caccia di storie clamorose, così nel 1991 Oliver Stone decise di raccontare la vicenda nel film JFK – Un caso ancora aperto.

La pellicola puntò nuovamente i riflettori sull’omicidio Kennedy. Dalla bocca di Kevin Costner (interprete del ruolo di protagonista) più volte vennero fuori le parole “colpo di stato” nei confronti del governo, che si insediò in seguito alla morte di Kennedy. Se volete maggiori informazioni a proposito delle indagini descritte da Stone in JFK – Un caso ancora aperto, ecco di seguito la sua vera storia.

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L’attentato a John Fitzgerald Kennedy

Nel novembre del 1963 il Presidente Kennedy si trovava in Texas per rinsaldare la sua leadership in vista delle elezioni dell’anno successivo. Il 22 novembre si svolse un corteo a Dallas durante il quale lui, sua moglie Jacqueline, il governatore del Texas e la sua consorte sfilarono in limousine per le strade della città. Tutto filò liscio finché, mentre l’auto rallentava in prossimità di una curva, JFK fu colpito alla testa da alcuni proiettili. Trasportato d’urgenza in ospedale, il trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America morì per le ferite riportate.

Poche ore dopo Lee Harvey Oswald venne arrestato per aver ucciso un poliziotto e venne poi accusato di aver sparato al Presidente. Le autorità avevano individuato nel deposito di libri in cui lavorava il punto da cui erano partiti i colpi e avevano in seguito trovato il fucile che aveva usato per compiere l’attentato. Oswald respinse le accuse dichiarando di essere solo un capro espiatorio. Per sua sfortuna non ebbe mai modo di difendersi in tribunale perché ucciso due giorni dopo da un uomo che voleva vendicare JFK. La commissione Warren, che lavorava al caso, lo inchiodò, dichiarandolo l’unico responsabile della morte di Kennedy, e affermando che aveva agito in quanto filo-castrista e mentalmente disturbato.

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La tesi di Jim Garrison

Il procuratore distrettuale Jim Garrison rifiutò categoricamente l’ipotesi del lupo solitario. La sua tesi era che l’idea dell’attentato fosse nata all’interno di un circolo di omosessuali anticomunisti fondato dall’imprenditore Clay Shaw, con lo pseudonimo di Clay Bertrand. Shaw, in realtà un agente segreto, avrebbe collaborato con alcuni agenti dell’FBI, della CIA, con militari, esuli cubani e mafiosi. Fra i motivi dietro l’attentato, il principale sarebbe stato quello di impedire a Kennedy di fermare la guerra in Vietnam. In quel modo la fiorente industria bellica americana sarebbe stata infatti danneggiata.

Indagando Garrison si rese conto che c’erano molte incongruenze nel rapporto della commissione Warren. Per lui era infatti impossibile che Oswald avesse sparato tre colpi in otto secondi col fucile in suo possesso. Il procuratore mise in discussione anche la ricostruzione della traiettoria dei colpi (soprattutto quella di un proiettile che avrebbe colpito sia il Presidente che il governatore del Texas) e sottolineò che le impronte dell’accusato sul fucile non erano state trovate nella prima analisi, ma solo quattro giorni dopo.

Secondo Jim Garrison, quel giorno a Dallas ci sarebbero state tre coppie di cecchini. I killer si sarebbero posizionati in modo tale da poter scatenare una triangolazione di colpi da cui il Presidente non avrebbe potuto avere scampo. Per Garrison c’erano inoltre dei basisti e un telefonista, mentre Lee Harvey Oswald avrebbe avuto solo il ruolo di capro espiatorio.

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Il processo a Clay Shaw e le conseguenze

Con questi elementi, il procuratore trascinò in giudizio Clay Shaw con l’accusa di aver contribuito a cospirare contro JFK. Durante il processo Garrison portò in aula testimonianze non attendibili e contraddittorie. Il giorno della sentenza la giuria impiegò quindi appena un’ora a decidere che l’imputato fosse non colpevole.

L’opinione pubblica si scatenò contro il procuratore, sostenendo che le sue insinuazioni fossero dovute alla sua omofobia contro Shaw. In molti ritennero che Jim Garrison fosse solo un pazzo paranoico e che avesse persino corrotto dei testimoni per creare un’assurda teoria cospirazionista. Che lui fosse paranoico o meno non possiamo saperlo. Ciò che è certo è che alcuni anni dopo, visto il clamore suscitato dall’inchiesta, una nuova commissione riaprì il caso. Il responso delle indagini confermò che Oswald fu l’assassino del Presidente, ma che agì nel contesto di un complotto organizzato da persone non specificate.

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Per Oliver Stone invece non sembra ci fossero dubbi sui colpevoli. La figura di Jim Garrison in JFK – Un Caso Ancora Aperto è infatti descritta come quella di un eroe, un uomo disposto a mettere a rischio la propria vita per scoprire la verità sul fatto che negli anni ’60 sconvolse l’America e il mondo intero. Magari, chissà, forse si sono sbagliati tutti. Forse John Fitzgerald Kennedy non fu al centro di un complotto e non fu neanche vittima della follia di un mitomane. Magari JFK morì davvero a causa di una maledizione gettata sul suo nome. Una maledizione che non sembra volersi arrestare.

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