The House That Jack Built – La Diabolica Natura della Luce

Antonio Lamorte

Aprile 29, 2020

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The House that Jack built.

La grandezza del negativo delle foto è che ti mostra la reale natura della luce: un bagliore oscuro che si distingue da tutto ciò che c’è intorno a noi; una presenza diabolica che si aggira indisturbata, annientando la presunta armonia dei quadri del vivere quotidiano.

The House that jack built

The House that jack built

Jack è un ingegnere, ma sogna di essere un architetto. La differenza tra le due professioni? Il primo si limita a scrivere la musica, il secondo può anche suonarla. Non c’è niente di più frustrante di non riuscire ad esprimere se stessi, e Jack ne soffre di questo. La sua casa, che cerca così ossessivamente di costruire, fatica a stare in piedi, e ad ogni tentativo la sua futura dimora appare sempre più inconsistente. Ma in suo “aiuto” ecco che arrivano loro: degli incidenti, i suoi incidenti. E’ così che Jack chiama il suo operato da serial killer: incidenti. Ne ha compiuti tanti, di questi incidenti. Solo a metà film arriva una stima di circa 60 persone uccise, che molto probabilmente aumenteranno con il progredire del film.

Ogni incidente, ogni omicidio, viene visto come un’opera d’arte da Jack, che cerca sempre modi più sofisticati per adempiere alla sua inconfondibile natura. Modi più sofisticati, appunto, da cui lui si ispira per il suo soprannome, il suo alter ego, il suo nome d’arte: Mr. Sofistication. La voce narrante di Verge interroga il nostro Jack, cercando soprattutto di capire il perché di questi omicidi; con le sue domande si crea un varco, e come un novello Virgilio, scorta Jack nei meandri dell’Inferno, esprimendo giudizi, opinioni ed un senso di assoluta comprensione verso un uomo che, nonostante i suoi innumerevoli sforzi, nonostante le vittime, nonostante il suo incontrollabile desiderio di distinguersi, è sempre più accostabile ad altri uomini.

The House that jack built

The House that jack built

A cosa siamo di fronte? All’ennesima provocazione di un genio sul viale del tramonto? Niente affatto. Lars Von Trier gira il suo film più personale, la sua pellicola più brutale, ma allo stesso tempo la sua opera più “dolce e romantica”. Una successione affascinante di pensieri e riflessioni relativi all’arte, alla sua arte per essere precisi. C’è poco da girarci attorno: Jack è Lars Von Trier, gli omicidi sono i suoi film, la casa tanto agognata è la sua carriera.

A discapito della sua innegabile natura spocchiosa, Lars von Trier qui si mette in gioco. Si paragona ai geni del passato. Dall’architetto Albert Speer al poeta William Blake, da Eugène Delacroix a Dante Alighieri; tutti personaggi a cui lui fa riferimento e, paragonandosi a loro, non evita di effettuare una commovente autocritica. E’ riuscito, con i suoi film, a raggiungere l’immortalità? La sua arte rimarrà davvero intatta nei secoli a venire? Una terribile paura si insidia nella mente di Lars Von Trier, e quindi anche in quella del suo alter ego Jack; è la paura di non essere stato all’altezza, la paura che tutto finirà nell’infernale abisso dell’anonimato.  Non è affatto facile parlare di The House That Jack Built, un’opera talmente chiara nei suoi intenti, e nelle sue spiegazioni, da risultare incredibilmente complessa anche per chi, come nel nostro caso, segue ed ama il cinema di Von Trier da sempre.

Ma cerchiamo di scavare ancora più a fondo: cosa c’è dietro ogni omicidio/opera d’arte di Jack. La misoginia? Un perverso senso della vita di una mente folle? Un’inevitabile deviazione psicologica dovuta ad una società violenta? Forse tutto questo; o forse ancora nessuna di queste ipotesi soddisfa la nostra ricerca.

Forse si sta parlando di un progetto molto più semplice rispetto alle nostre aspettative. Jack è un ingegnere, ma vorrebbe essere un architetto, come abbiamo già spiegato; Jack è un profondo ammiratore dell’arte, e vorrebbe essere anche un artista. “Tu leggi Blake come il diavolo legge la Bibbia” afferma sardonico Verge; è un’affermazione che ha il sapore dell’ossimoro, ma in realtà non è così: il diavolo è presente nella Bibbia, e ricopre un ruolo fondamentale. L’operato di Jack, una volta entrata nella distorta concezione umana di Lars Von Trier, non sembra affatto così diverso da un’opera d’arte, come se si trattasse di una di quelle azioni rivoluzionarie e di ribellione, come Jimi Hendrix che brucia la sua chitarra davanti ad un pubblico ipnotizzato.

The House that jack built

The House that jack built

L’arte di Jack, quindi, è un’arte necessaria, ma non in senso catartico. Non ci troviamo di fronte ad un personaggio che distrugge per salvare se stesso, luicrea”. Probabilmente la concezione dell’arte in The House That Jack Built è molto più complessa rispetto a questa semplice interpretazione, e forse il nostro ruolo non è quello dei giudici morali in merito all’operato di Jack, né in merito, seguendo la proprietà transitiva, all’operato di Lars Von Trier; tuttavia è indiscutibile affermare che ci troviamo di fronte ad uno dei più affascinanti titoli degli ultimi anni, un film che, sicuramente, non dimenticheremo molto presto, come un negativo che imprime nel tempo la diabolica natura della luce.

Leggi anche: Lars Von Trier – La Trilogia del Cuore d’Oro

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