Il sogno nel cinema è diventato, con il passare dei decenni, un vero e proprio archetipo; questo strumento narrativo così prezioso ha assunto diversi significati, a seconda delle declinazioni che, nel tempo, autori e generi hanno plasmato.
A pensarci bene l’elemento onirico ha suscitato interesse all’interno della narrativa fin da tempi insospettabilmente lontani, basti pensare, ad esempio, alla Divina Commedia. Dante utilizzò il sogno come punto di partenza per giustificare il suo viaggio spirituale. Shakespeare, nelle sue opere, fu un abile demiurgo in grado di plasmare i sogni come utili veicoli di simbolismi e profezie. Hector Berlioz, nel 1830, utilizzò l’onirismo per il suo Sogno di una notte di sabba, declinando il tema onirico attraverso la musica. Non c’è da meravigliarsi che, nel corso dei secoli, questo elemento così affascinante, il quale fa parte delle nostre vite, abbia avuto una grande influenza praticamente in tutte le arti. E quindi non dobbiamo stupirci del fatto che il cinema stesso, punto di convergenza delle arti, abbia subito il fascino di questo topos narrativo.
Il Sogno nel Cinema e la psicoanalisi
Tra i film che nella prima metà del novecento hanno affrontato la tematica del sogno nel cinema c’è Io ti salverò di Alfred Hitchcock. Questa pellicola uscì nelle sale nel lontano 1945 e ha come nucleo centrale le rivoluzionarie teorie psicoanalitiche di Freud. Il film presenta tutti gli stilemi del cinema del maestro del brivido: il delitto, la ricerca del colpevole, il senso di colpa, il melodramma; tutto questo però è sapientemente portato avanti attraverso l’utilizzo dell’elemento-sogno.
Il protagonista (Gregory Peck) soffre di amnesia e potrebbe aver assassinato un uomo. Il sogno quindi è l’unico strumento che permetterà alla co-protagonista femminile (la splendida Ingrid Bergman) di penetrare nella sua mente, alla ricerca di un indizio che potrebbe far chiarezza sul delitto.
L’utilizzo del sogno non è quindi una mera architettura narrativa volta a confondere lo spettatore. Anzi, il sogno è la chiave per risolvere il mistero. Hitchcock utilizza il sogno per raggiungere il vero Io del protagonista, nascosto negli abissi mentali dell’amnesia. Tra l’altro per le sequenze oniriche all’interno del film, Hitchcock si avvalse della collaborazione di Salvador Dalì, il quale era a sua volta molto legato al tema dei sogni.
Io ti salverò, in definitiva, è un’opera importantissima. Sia come parte della filmografia del maestro inglese, sia come analisi del tempo in cui venne realizzato. Era il periodo in cui il sogno acquisiva sempre maggior importanza all’interno della comunità scientifica, liberandosi da quello spazio di insondabile vacuità in cui era stato relegato. E Hitchcock ci dice questo, utilizzando il genere.
Il Sogno nel Cinema e l’evasione dalla realtà
Dall’approccio thriller e psicoanalitico del maestro della suspence, si passa al sogno come pura evasione. E chi meglio di Fellini e del suo 8½ può rappresentare questa variazione del tema? Il sogno è il desiderio creativo di un uomo in crisi, il rifugio irrazionale di una persona soffocata in un mondo così tristemente logico, la speranza di un futuro limpido da parte di una mente confusa.
Fellini ha sempre giocato con questo archetipo, piegandolo al servizio della sua poetica visionaria, ma è in 8½ che il regista dell’assurdo trova la quadra del cerchio. Con i sogni noi riempiamo le nostre vite, doniamo linfa alla nostra immaginazione, nutriamo la nostra anima. Fellini ha capito tutto questo, e lo ha fatto prima di tutti. Il sogno è come se fosse un “luogo altro”, completamente avulso dalla realtà, ma probabilmente molto più vera e sincera di quest’ultima.
A riprendere, in parte, il pensiero felliniano del sogno come evasione sarà Terry Gilliam in Brazil. In un mondo orwelliano fatto di scartoffie e abnegazione del sentimento, il protagonista (interpretato da Jonathan Price), continua a fare sempre lo stesso sogno: lui, vestito da guerriero alato salva una bellissima donna da demoni stravaganti. Questo sogno si ripete più volte durante il film, come una sorta di leitmotiv visivo e concettuale, che torna a salvare il protagonista dalla ridondante oppressione che lo soffoca sempre di più.
Man mano che si procede nel film, si scoprirà che la donna del sogno esiste davvero ed è realmente in pericolo. Il personaggio interpretato da Jonathan Price la salverà, realizzando che il suo sogno era una sorta di profezia, di anticipazione di una felicità futura. Infatti con questa ragazza, il timido protagonista trova l’amore, quel sentimento puro che è stato bandito dalla realtà.
Il finale di Brazil è esemplare in questo senso. Il protagonista si rifugia proprio nelle lande incontaminate dei suoi sogni, quasi consapevole del suo allontanamento definitivo dalla realtà, ma a lui questo non interessa; perché nel mondo allucinato di Brazil è nei sogni che si trova la felicità.
Il sogno e la riscoperta del vissuto
A questo approccio, si contrappone in modo netto quello utilizzato da Akira Kurosawa nel suo Sogni. Il maestro orientale realizzò questo film nel 1990, e lo girò in età senile, in quella fase della vita in cui si osserva tutto il vissuto e si cerca di dargli un senso. È questo il cuore del film di Kurosawa. Un’opera a episodi, fortemente autobiografica, che ripercorre man mano tutte le vicende della vita, utilizzando il sogno come principale fonte di narrazione.
Gli otto strati che compongono l’opera di Kurosawa hanno forti richiami a elementi appartenenti alla tradizione popolare nipponica. Troviamo fate, demoni, forze magiche, riferimenti alla storia (la bomba atomica), addirittura un frammento che ha per protagonista Van Gogh (interpretato per altro da Scorsese). Tutti i protagonisti degli 8 episodi hanno come protagonista un alter ego di Kurosawa, che è come se fosse coinvolto in un delicato processo di auto-analisi, nell’esplorazione della propria coscienza.
Se quindi per Fellini e Gilliam il sogno era una salvezza che esulava dalla realtà, per Kurosawa il sogno è lo strumento per analizzarla. Nonostante la forte componente onirica, Kurosawa riesce a rendere sottilissimo il confine che separa la realtà dal sogno, perché entrambi sono interdipendenti. Il sogno può essere visto come chiaro riflesso della realtà, ma anche viceversa.
Il Sogno nel cinema blockbuster moderno
Infine arriviamo ai nostri tempi. Nell’epoca in cui gli effetti speciali rivoluzionano, film dopo film, il modo stesso di intendere il cinema, sarebbe stato sciocco non aspettarsi una grande opera che parlasse di sogni. Questo film è naturalmente Inception di Christopher Nolan. Grazie a un tanto massiccio quanto magistrale uso degli effetti visivi, Nolan ci catapulta in modo vertiginoso nel suo thriller onirico. La messa in scena studiatissima rende in modo pressocché perfetto la potenza anarchica di cui è dotata la nostra mente, una forza in grado di plasmare mondi, di sovvertire le leggi della fisica.
Ma non sono solamente gli effetti speciali a fare il film. La trama ruota attorno ad un’idea da impiantare nella mente di una persona, e l’unico modo per far sì che questo avvenga è scendere a un livello di profondità sufficiente. Il mezzo che permetterà al protagonista Cobb (Leonardo DiCaprio) e alla sua squadra di compiere questa discesa nella mente è proprio il sogno.
Pertanto il sogno è l’ascensore che consente di spostarsi tra i vari strati dell’inconscio, il quale fornisce tutte le informazioni riguardanti la persona che sta sognando. Nolan ci fornisce chiaramente questa chiave di lettura mostrandoci l’ascensore più volte. È il mezzo utilizzato da Arianna (Ellen Page) per indagare sulla psicologia di Cobb, e a ogni piano troviamo sogni mescolati con i ricordi. Ed è infine anche uno degli espedienti per poter mettere in atto il “calcio”, ovvero quella pratica che farà sì che i personaggi si sveglino.
In pratica Nolan riprende in parte il concetto di sogno come veicolo per raggiungere un Io più profondo. Dunque è come se si chiudesse un enorme cerchio, che potrebbe essere cominciato con Hitchcock, ma che abbiamo visto essere presente anche in arti ed epoche ben più antiche.
Abbiamo visto che tutti i grandi autori che si sono cimentati con questo tema sono stati ben consapevoli del fatto che il sogno rappresentasse un enorme potenziale. Il sogno nel cinema può essere usato per descrivere al meglio un personaggio, le sue emozioni, i suoi desideri, le sue paure. Ma è anche un importante tassello che spiega a noi spettatori chi sia il regista, come operi, quali siano le sue ossessioni e temi ricorrenti. Non a caso, una volta visti i film citati abbiamo l’impressione di esserci avvicinati un po’ di più ai rispettivi registi, come se avessimo la percezione di conoscerli meglio, anche dal punto di vista umano.