Il finale di Inception.
Inception (Nolan, 2010) è la storia tragica e cervellotica di un estrattore di sogni alla ricerca del suo passato.
Il tipo di lavoro di Dom Cobb lo costringe a fatiche molto particolari: dopo aver guadagnato la fiducia del magnate Mr. Saito, viene assunto per praticare l’innesto di uno stimolo psicologico nella mente di Robert Fischer, un miliardario rivale di Saito.
Al di là delle caratteristiche della trama che rendono questo un film d’azione, vale la pena soffermarsi sulla psiche di Cobb, perché essa è la chiave per aprire il forziere oscuro che cela la risposta del significato aperto e mai del tutto comprensibile di Inception.
Prima di essere un individuo solo, Cobb viveva negli Stati Uniti con la moglie Mal e i loro due figli, e nel desiderio di rendere la realtà un sogno a occhi aperti egli aveva praticato l’innesto di una dilatazione temporale.
Questa fantasia aveva funzionato, ma Mal non è più riuscita a distinguere il sogno dalla realtà e il marito ha dovuto provocare il suicidio della moglie affinché avesse luogo “il calcio” in grado di risvegliarla.
La tragedia di Cobb avviene dopo questo evento: tornata sveglia, Mal crede ancora di vivere in un sogno, motivo per il quale si suicida e Cobb viene giudicato colpevole.
Il senso di colpa, la separazione dai figli e il pensiero di Mal tormentano il protagonista in ogni sogno che produce: il suo totem è l’unico oggetto valido per distinguere la realtà dal sogno, e se la trottola non smette di girare, allora la trappola psichica è troppo forte.
Inception: Tempo eterno e mai sufficiente
Dom Cobb: «I sogni sembrano reali finché ci siamo dentro, non ti pare? Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto che c’era qualcosa di strano».
Il protagonista latente di Inception è il tempo: poiché ogni sogno si gioca nella psiche di un personaggio diverso, la sua durata è di cruciale importanza per l’operazione di estrazione e di innesto di idee.
Tempo che manca, che si modifica e che repentinamente si esaurisce. Piuttosto che il dove, il quando è la condizione sine qua non di questa narrazione. L’antro oscuro mentale di ciascuno dei protagonisti viene messo alla prova continuamente da operazioni innaturali, illegali e profondamente perturbanti.
La vita mentale di Cobb non fa eccezione a questa regola: di contro, proprio a causa della sua problematica esperienza passata e dei sensi di colpa che lo affliggono, i sogni per lui sono una sostanza da cui dipendere: più essi lo uccidono, più egli li brama.
Seguiamo le sue strategie, consapevoli che esse ruotino attorno a una forzatura sbagliata di un’esperienza intima, radicale e privata come l’attività onirica.
Nella costruzione di Nolan, la penetrazione della mente altrui viene presentata come un’affascinante profanazione di quei contenuti personali e indesiderati di ciascun soggetto. Lo stesso vale per il brillante Cobb, determinato a riguadagnarsi l’accesso negli Stati Uniti per riabbracciare i figli.
Inception è il dramma che egli è costretto a vivere, il modo in cui lo vive e gli strumenti per risolverlo.
Servendosi di una studentessa di architettura e di altri criminali onirici, Cobb si spinge ben oltre le frontiere raccomandabili, edificando un sogno a tre livelli per ricongiungersi col suo passato, guadagnandosi la ricompensa di Saito.
Il finale di Inception – Il limbo, ovvero l’eterno ritorno del passato
Mal Cobb: «Non ti senti perseguitato Dom? Inseguito per tutto il pianeta da società anonime, forze di polizia, così come le proiezioni perseguitano il sognatore? Pensaci bene. Tu non credi più in una sola realtà, ammettilo. Quindi scegli. Scegli me…».
Una costruzione narrativa fondata sui dubbi e sui sospetti, quella di Nolan, che utilizza magistralmente il cinema per canalizzare la sua filosofia registica: il pensiero soggettivo accompagna la costruzione di storie, e l’incertezza è l’unica misura valida per giudicarle.
Mal, la causa di questa incertezza, è una donna tanto affascinante quanto fatale: la sua assuefazione al sogno ha provocato la tragedia della quale Dom è il diretto colpevole, ma quanto possiamo davvero condannarlo?
La psiche è peculiarmente individuale e, di conseguenza, le reazioni al trauma sono sempre soggettive, uniche, incomparabili; ciò significa che qualcosa che Dom può riuscire a tollerare, si rivela per Mal insopportabile.
Questo è il caso che ha determinato il suo suicidio, e che ha trasformato la realtà di Dom in un incubo.
Quando si tratta di sognare casa propria, l’estrattore non riesce mai davvero a riabbracciare i propri figli, che risultano un miraggio, una proiezione del suo desiderio più forte.
Come se non bastasse, il fantasma di Mal infesta le operazioni di Cobb, motivo per il quale solo entrando nel limbo (architettura nolaniana dell’inconscio rimosso, ovvero sistematico), egli può elaborare i vissuti che associa alla moglie.
Il racconto strappalacrime che Cobb regala ad Arianna è intenso, vero e problematico. Non importa quanto egli faccia, il presente non riesce mai davvero a redimere il suo passato del tutto.
Il vagone che li colpisce e li risveglia, è rappresentazione del pensiero e delle sue velocità repentine.
Intenso, perché confessioni come questa richiedono sempre coraggio; vero, perché mette in gioco l’emotività autentica del protagonista; problematico, perché lascia trasparire quanto Dom sia perso nel labirinto della propria psiche, governata dalla colpa e dal rimorso.
Simbolico labirinto dal quale paradossalmente proprio Arianna (emblematico il nome scelto per il personaggio), con un filo costituito da parole d’incoraggiamento, riesce a trarlo in salvo.
Soltanto affrontando Mal, Dom può finalmente liberarsi del peso di una scelta che da troppo tempo lo ostacola, quella tra il passato e il futuro, tra Mal e i propri figli.
Arianna spara al fantasma di Mal, ne annienta l’influenza, e al termine della missione Cobb può rientrare a casa propria, riabbracciare i propri figli.
Il finale del film si consuma rapidamente, senza una parola, proprio come ciascuno di noi può ritrovarsi al mattino, dopo un sogno particolarmente intenso, proprio come la visione del film stesso.
In volo, rappresentazione simbolica delle costruzioni oniriche che formiamo, termina com’era iniziato il viaggio di Cobb. Differente, ma simile, è il volo metacinematografico che Nolan ci costringe a compiere in queste ultime scene.
Perché così come Cobb, sceso dall’aereo, attraversa il gate negli USA che gli appaiono reali, ma potrebbero anche essere un’illusione, e torna a casa, riconoscendola dal tocco dei mobili, allo stesso modo gli spettatori sono provocati a sentirsi parte di questo seducente gioco di ambigui confini tra realtà e sogno.
Difatti, nel momento topico e romantico del finale di Inception, Nolan realizza poeticamente questo intento magico e al tempo stesso infido: Cobb vede i propri bambini, un’esperienza non più illusoria, ma profondamente definita, chiara, trasparente. Finalmente Dom può riabbracciarli.
Esperienza reale sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo. Proprio come la nostra, che non riusciamo più a discernere.
Quest’ultima, radicale differenza è fondamentale per comprendere le dichiarazioni fatte in passato sia da Nolan che da Michael Caine: a un certo punto, il fatto che Dom faccia roteare la trottola, il proprio prezioso totem, perde di validità. La presenza di Caine sembra indicare che si tratti di una scena autentica e, quindi, oggettiva.
Poiché la scena si chiude proprio quando la trottola inizia a oscillare, il significato che Nolan sembra trasmettere nel finale aperto di Inception è che, dopo tutte le battaglie e le discriminazioni tra realtà e sogni, in fin dei conti qualsiasi piano di realtà è valido. Proprio perché il governo di questa storia è affidato all’incertezza, all’ambiguità più pura.
L’importante è che a viverlo come reale sia il soggetto, il protagonista della vita psichica. Proprio come Dom, che vive il piacere di riabbracciare i propri figli.
Il finale di Inception – Realtà, sogno: a questo punto, che importa?
E al tempo stesso, in un senso puramente metacinematografico, questo finale ci riguarda perché, una volta che ci coinvolge e ci conduce nella psiche del protagonista, costringe a chiederci se davvero stiamo mantenendo la critica separazione tra piano della visione e piano del vissuto.
Come Dom innesta un’idea nella mente di Fischer, così Nolan – assumendo il ruolo del genio maligno cartesiano – innesta nella psiche dello spettatore il dubbio sull’ipotetica veridicità del proprio mondo.
Perché, come nella nostra realtà, anche in quella di Dom a rendere più felici sono proprio le esperienze verso le quali abbiamo provato più dubbi. Come la visione di questo finale, tragico, ambiguo, reale e al tempo stesso soggettivo. Metacinematografico, come il proposito di Nolan.