In questo eterno luogo si sta parlando di tempo, di Christopher Nolan, di relatività, di cinema. Ed allora non ci resta che leggere queste parole immergendosi e abbandonandosi alle infinite note di Hans Zimmer.
“Il tempo è un’illusione.”
(Albert Einstein)
Il tempo non esiste. E come potrebbe? Noi non vediamo mai il tempo; certo, seguiamo con gli occhi il pendolo che oscilla, osserviamo con una certa malinconia il colore delle foglie degli alberi mutare, ci immergiamo in un’altra giornata al sorgere del sole. Eppure, questo non implica l’esistenza di un unico tempo al quale dovremmo sottostare.
Inoltre, il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto non è ancora, e il presente sembra essere quell’eterno istante che separa il prima dal dopo.
Albert Einstein, con la teoria della relatività, ci rivela che il tempo non è ciò che abbiamo da sempre immaginato. Quest’entità dalle sfumature strettamente metafisiche non può essere meramente racchiusa nei meccanismi di una lancetta di orologio. Quando si pensa al tempo bisogna abbandonare l’idea di una dimensione che di ora in ora, di minuto in minuto e di secondo in secondo accade indipendentemente dalla nostra presenza, dai nostri pensieri, dai nostri sentimenti. Non esiste un unico grande orologio che misura il tempo per tutti. O meglio, esiste, ma è pura astrazione. Potremmo dire che esistono infinite variabili del tempo, ed è come se che ognuno possedesse il proprio orologio di velocità differenti.
La grandezza della teoria einsteiniana risiede nella sua immediatezza; essa, infatti, sostiene che non possiamo pensare al tempo come uguale dappertutto, ma bisogna immaginare che in alto, in basso, a destra o a sinistra, il tempo passi diversamente. In ogni luogo, il tempo ha un’esistenza differente. Il tempo è quindi relativo, strutturalmente legato a un soggetto che ne sia consapevole.
Il tempo esiste solo ed esclusivamente in relazione, ad un luogo, ad un’emozione rubata, ad un incontro. Nessun orologio può calcolare quanto tempo passi realmente tra l’inizio e la fine di un fuggevole sguardo, uno sguardo tra due estranei che in quell’istante, in quell’interminabile istante, si sono conosciuti, amati e allontanati, senza avere il coraggio di rendere infinita la propria finitezza tramite una parola, un sorriso, un saluto. Poiché le nostre vite non sono altro che questo, strani viaggi attraverso il tempo. Un eterno luogo dove riecheggiano tutte le nostre storie. Ma il viaggio della nostra vita potremmo viverlo anche in un solo attimo, scoprendo come l’eternità si possa nascondere nella fugacità di un istante.
Come diceva Agostino, il tempo non è null’altro che la dimensione dell’anima, poiché il tempo esiste, ma esiste per un’anima.
La soggettività del tempo è quindi pura realtà, e questo Christopher Nolan lo sa molto bene. Per questo autore il tempo è sempre stato un’ossessione e, venendo rappresentato tramite montaggio, immagini e sonoro, è come se diventasse un personaggio cruciale all’interno della trama.
Esso assume per il regista molteplici forme, poiché veste i panni di un enigma da risolvere per poter ritornare a casa, si presenta come un piccolo ricordo capace di sancire l’andamento di un’intera esistenza, oppure si mostra come una dimensione da trascendere per mettere in connessione due cuori lontani.
I personaggi di Nolan sono spesso imprigionati dalle catene del tempo, essi infatti vivono in un limbo di ricordi, abbandonando sé stessi a quelle ombre che divengono sempre più presenti e reali ogni minuto che passa.
Nella filmografia nolaniana, la relatività del tempo viene anche espressa attraverso l’articolazione di narrazioni profondamente non lineari: reversibili come Memento, alternate come in The Prestige o a spirale come in Inception. Nolan stravolge la temporalità di ogni suo racconto, utilizzando un’incessante serie di flashback e flashforward, insieme a un montaggio movimentato che conduce lo spettatore direttamente dentro l’angosciata mente del protagonista.
In Memento il protagonista è affetto da un disturbo mentale che lo condanna a perdere la memoria ogni 15 minuti, si ritrova così completamente abbandonato a sé stesso, senza alcun punto di riferimento. Il tempo per questo personaggio ha un significato estremamente importante, capace di condizionare totalmente la sua vita. Il suo mondo esiste 15 minuti alla volta, poi ricomincia da capo, il suo orologio è come se fosse bloccato nel primo quarto d’ora. E, per quanto assurdo possa sembrare, la sua percezione del tempo è ciò che vi è di più reale nella sua intera esistenza. Nolan, con un montaggio rivoluzionario e con la scelta del bianco e nero nei flashback, riesce a raccontare una storia ingabbiata dalla decadenza del tempo, una storia che è come se ogni quarto d’ora ripartisse da zero.
L’imprevedibilità del tempo mostrata in Memento si arresta nel film successivo, Insomnia. Questa volta, l’autore decide di raccontare una storia lineare, pur sempre frammentata da flashback in continuo intreccio, ma non per questo il concetto di tempo esce di scena. Qui viene rappresentato il tempo immobile, poiché, essendo nel luogo in cui l’ombra non può vedere la luce, l’Alaska appunto, la circolarità del giorno e della notte si inceppa. Un tempo fermo, che non va avanti, ma che costringe a rimare immobili con sé stessi, con i propri demoni, facendosi logorare dai ricordi.
Il tempo è quindi relativo, il “per sempre” può durare un secondo e l’eternità può risultare come non abbastanza. Questo nella nostra percezione del reale, ma il tutto è amplificato quando chiudiamo gli occhi, quando addentriamo in un altro mondo, quando sogniamo. Nolan porta questa dinamica all’estremo nel film in cui al centro di tutto c’è il sogno, in Inception. Il regista si introduce nella mente e nei sogni dei protagonisti, addentrandosi su tre livelli di sogno, ognuno dei quali con una propria temporalità. Più ci si immerge in profondità nella psiche, più lo scorrere del tempo diminuisce e le lancette smettono piano piano di andare avanti. Il personaggio rappresentato dal tempo assume un ruolo fondamentale anche nella dimensione del ricordo, il ricordo di un amore perduto, di una vita passata insieme.
Ma il degno film manifesto della poetica del tempo di Christopher Nolan è quello che assume e fa propria rappresentandola la teoria della relatività, portandola alle estreme conseguenze; stiamo parlando di Interstellar. Qui il tempo è assoluto protagonista, è colui che separa un padre dalla figlia, un cuore innamorato da un altro. Il tempo verrà però trasceso, verranno superati i suoi confini e, attraverso l’inarrestabile forza di un autentico amore, i protagonisti riusciranno a liberarsi dalle sue catene. Così, mostrando che l’infinito non sia poi così infinito, ha reso possibile l’incontro tra un padre e la figlia che andando oltre il tempo riusciranno a ritrovarsi, seppur lui cinquantenne e lei in piena vecchiaia.
Nolan è ossessionato dal tempo. Noi siamo ossessionati dal tempo.
Tale tormento nasce dalla totale irrazionalità e assenza di controllo nei confronti di esso, oltre al fatto che è la dimensione che conferisce senso alla nostra vita rendendoci mortali. Non possiamo scappare dal tempo, ma possiamo trascenderlo attraverso monumenti, opere, libri, film. Così facendo l’eternità troverà riparo nell’istante, e noi in esso.
Dobbiamo, forse, solo imparare a vivere l’illusione del tempo. E qui, in questo preciso istante, ci scopriremo immortali.