Interstellar – Il significato metafisico dell’amore

Andrea Vailati

Marzo 25, 2016

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Interstellar – Il Significato metafisico dell’Amore.

[Dando un orologio da polso a Murph] «Uno per te, uno per me. Quando starò lassù nell’ipersonno o viaggiando quasi alla velocità della luce o vicino a un buco nero il tempo cambierà per me e andrà molto più lento. Quindi quando tornerò Murphy li confronteremo. […] Chi può dirlo? Magari quando sarò tornato io e te avremo la stessa età».

(Cooper, Interstellar)

Quando si parla di un genere come quello fantascientifico, è sempre difficile cogliere a pieno le tematiche trattate, comprenderne il fine, immedesimarsi nel racconto, poichè tutto ciò si percepisce in un qualcosa che trascende la realtà da noi percepibile, la realtà limitata dalla nostra conoscenza.

2001 – Odissea nello spazio di Kubrick ci ha mostrato il positivismo fallimentare umano e la sua profonda alienazione, l’incapacità di prendere coscienza dell’evoluzione sempre più incalzante, verso una riscoperta astrale dell’essere oltre l’uomo; Gravity è la volta dell’umano nel silenzio di uno spazio ancora troppo sconosciuto perché si mostri accogliente, ancora abissante nella sua infinità.

Ma oggi parliamo di Interstellar, parliamo di Nolan e della meravigliosa capacità che ha quest’ultimo di strutturare riflessioni apparentemente lontane dal genere trattato, creando imprevedibili legami degni di un’immensa ricerca umana.

Nolan, in Interstellar, ci racconta un mondo che rasenta l’estinzione, una miniera senza più oro da cogliere, una miniera che se non sarà abbandonata risucchierà presto l’homo sapiens oramai perso in un limbo di incertezze.

Interstellar ci mostra la volontà di vivere di schopenhaueriana memoria come unica spinta vitale capace di dare speranza, di lanciarci in un viaggio verso un nuovo mondo. Ci mostra, però, anche l’ignoranza umana, il suo decadimento in un positivismo unicamente scientifico, la sua limitatezza rispetto all’universo e alle dimensioni che lo governano.

A questo punto il regista ci mostra una via mai realmente percorsa, ci mostra un concetto com’è quello dell’amore non quantificandolo nelle nostre misure, ma ponendolo oltre la fisica, oltre la spazialità e la temporalità, creandone una metafisica di una potenzialità oltreumana.

Interstellar
Interstellar

«L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascenda dalle dimensioni di tempo e spazio. Forse di questo dovremmo fidarci, anche se non riusciamo a capirlo ancora».

(Amelia Brand, Interstellar)

L’amore permetterà al protagonista Matthew McConaughey di creare un legame con l’amata figlia tale da poter essere sfruttato dai cosiddetti “pentadimensionali” per proiettare nella loro biblioteca ogni attimo di un’intera vita, vivendo il tempo in un unico spazio.

Proprio l’amore, proprio l’orologio regalato alla bambina all’inizio del film, che ne è un meraviglioso simbolo, permetterà ai due di comunicare senza realmente esserne capaci, solo confidando e comprendendo quale infinita potenza li legasse, salvando così un mondo che neanche i migliori uomini della scienza (il professore, alias Michael Caine e il Dott. Mann, alias Matt Damon) pensavano minimamente fosse possibile non vedere soccombere.

Come sempre il cinema nolaniano ci stupisce su più livelli:

Il primo livello nell’addentrarsi in concetti complessi, accedendo a narrazioni ben oltre la possibilità del reale, senza però mai perdersi, piuttosto architettando trame che, in una vera e propria struttura crescente e connessa in se stessa, contemplino l’ignoto umano nelle sue forme più intriganti, che sia l’illusione, il sogno o la pentadimensionalità.

Il tutto affondando anche il suo coltello nella limitatezza stessa dell’uomo che prova a salvarsi da se stesso, così come vediamo nella trilogia del Cavaliere Oscuro. In Nolan vive dunque l’utilizzo dello strumento filmico al fine di affermare concetti oltre il reale, ma parlando del reale umano non ancora svelato.

Interstellar
Matthew McConaughey in “Interstellar”

Nel secondo livello, invece, traspare la concezione di un analitico che non perde mai la voglia di cercare particelle di un’umanità tutt’altro che razionalizzabili. Qui fuoriesce quel trait d’union della ricerca del regista, che non si limita alla risposta scientifica, ma connota il tutto di un sottofondo emotivo dove l’emozione, o meglio il sentimento, riesumato nella sua grandezza potenziale, è pura trascendenza.

Interstellar: Perché l’Amore?

Perché non è processato da leggi fisiche, o se lo è, in quanto analizzabile in processi chimico-biologici, se ne svincola nel momento in cui il soggetto ha coscienza meta-critica. Il soggetto non ama semplicemente, sa di amare, e supera la sua temporalità accidentale nella possibilità d’amare. L’amore non si presentifica in un tempo materializzato, bensì sa muoversi tra il passato e il futuro, tra il ricordo e il sogno: in un non luogo dove un buco nero destabilizza la linearità temporale, l’amore continua ad avere un suo senso, una sua scansione oltre il tempo.

Accedendo a tale consapevolezza, ma non potendo controllarla del tutto, l’essere umano conduce uno sguardo consapevole di se stesso in quanto essere sentimentale, non della sua totalità, ma nella trascendenza che coglie e accoglie nell’essere sentimento e osservazione del sentimento. Osserva coscientemente e non in modo scientifico qualcosa che non controlla del tutto, ma da cui può ottenere elementi del sé prima di poterli razionalmente comprendere.

A questo si accosta il legame empatico dovuto al potere di amare ed essere amato, una consapevolezza. Tale reciprocità mantiene una connessione a prescindere dalla fisicità e dalla razionalità dell’essere in un luogo o del pensare in un modo.

Sfora il sistema di riferimento con il quale calcoliamo, gli strumenti cognitivi con i quali argomentiamo. E quindi, perché l’amore?

Perché va oltre l’emozione di un breve istante, parabolica e passeggera. È il sentimento più primordiale, eppure trascendente, più incerto, eppure capace di stabilirsi nell’assolutezza del nostro tempo vitale.

Interstellar
“Interstellar”

Il fallimento dell’uomo scientifico si traduce in questo, nell’aver esaurito la sua possibilità di controllo dell’ente attraverso la tecnica teorica tridimensionale: il Dottor Man si ritrova a fare i conti con il suo essenziale egoismo, una volta spogliato di una condizione sociale e intellettuale di rilievo. Si ritrova a fare i conti con la paura, che non può controllare razionalmente, che deturpa la sua morale razionale, non sentimentalizzata.

Davanti all’emozione primordiale, la ragione non può non accoglierne la valenza, non può solo controllarla. Il professore non può risolvere l’equazione, perché la teoria tridimensionale derivata dalla ragione unicamente scientifica non può andare oltre. Egli è il più geniale tra gli uomini di scienza, ma tutto ciò che rimane nella sua logica è il postulato machiavellico: sacrificare molti per salvare la razza umana.

La teoria è esaurita. Il sentimento deve ancora dire la sua.

Questo è Interstellar, una perla dove Nolan alle domande che ancora non hanno reale contingenza pone l’amore, niente di più indefinibile, come unico strumento per avvicinarsi alla risposta, per portare l’uomo a salvare se stesso in un’epoca dove sempre più perdiamo coscienza di noi stessi, evolvendoci meccanicamente verso un fine sempre più oscuro.

L’eterno, che ritorna e si presenta in un istante dove ogni tempo è in un unico luogo, è affrontabile nella trascendenza sentimentale: solo con l’amore, che gravita al di fuori e oltre la ragione.

Cooper: «Ero io, Murph… ero io il tuo fantasma».
Murph, da anziana: «Sì, lo so. Ma non mi volevano credere, pensavano che avessi fatto tutto da sola. Ma… io sapevo chi era. Nessuno voleva credermi, ma sapevo che saresti tornato».
Cooper: «Come?».
Murph, da anziana: «Perché il mio papà me l’aveva promesso».
Cooper: «Ora sono qui Murph… sono qui».

Leggi anche: Christopher Nolan- Il regista che trascende i generi

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