In un prodotto filmico solitamente siamo abituati ad assistere a uno o più conflitti che vedono coinvolti i personaggi. Il regista, lo sceneggiatore, piuttosto che il montatore, impacchettano il prodotto affinché possa far immergere e immedesimare lo spettatore attraverso i fili della trama. Talvolta, però, queste figure ci hanno abituati a scenari che possono andare ben oltre. Talvolta, il bersaglio dell’intera trama non sono solo i personaggi con i loro obiettivi e conflitti, ma lo spettatore stesso. Inception, a tal proposito, è un esempio ancora “caldo”.
Christopher Nolan ci aveva già introdotti a un esperimento meta-filmico di questo genere con The Prestige, ma con Inception il suo scopo assume ben altre proporzioni. In The Prestige siamo noi stessi vittime di un gioco di prestigio, ma il dubbio si limita a chiedersi quando questo sia avvenuto. In Inception invece si arriva a dubitare dell’esistenza stessa. Si nuota nell’inconscio, nel subconscio, nella realtà dei sogni condivisi, senza però appesantire la trama, grazie alla classica salsa di intrattenimento nolaniana, per poi scoprire che noi stessi potremmo aver vissuto lo stesso sogno dei protagonisti.
Nolan, in questo film, ci porta in un mondo distopico, caratterizzato da persone che possono saltare da sogno a realtà come nulla fosse. Talvolta, questo diviene pure un lavoro. Come nel caso di Cobb (Leonardo di Caprio), un estrattore di sogni. Il protagonista non lavora da solo, ha un team composto da persone che svolgono svariati ruoli, con il fine di creare un sogno conosciuto, organizzato, interpretabile, che permetta di estrarre informazioni da colui che offre il suo subconscio, i contenuti del sogno. In altre parole, la vittima.
Inception inizia già in medias res. Cobb si trova in un palazzo in classico stile giapponese di proprietà di Mr. Saito (Ken Watanabe), ossia la vittima dell’estrazione. Il protagonista deve fingere di essere in visita di cortesia, per rubargli delle informazioni preziose dalla cassaforte. Il furto non ha buon esito, ma è quello che interferisce con esso che desta maggior interesse. La ex-moglie di Cobb, Mal (Marion Gotillard), appare nel sogno e rovina i piani dello stesso. Una perpetua ferita che non si rigenera, a cui Cobb non ha ancora trovato la cura giusta per placare le proprie colpe.
I due amanti hanno vissuto anni in un limbo onirico eterno, fatto di castelli di carta e spiagge dorate, dove il loro più grande peccato è stato quella di voler dare una dimensione eterna al loro amore e rifiutare, così, la realtà mortale. Cobb, al contrario di Mal, che ormai è riuscita a ritrovare se stessa nel mondo onirico, si rende conto che un sogno, per quanto bello sia, rimane tale. Decide così di inserire un dubbio nella mente della compagna. Un innesto generato da una trottola che, nel mondo del sogno, mai può cadere.
Questo per dare la risposta al dubbio universale che aveva la coppia. Un dubbio che poi assume, però, le connotazioni inquietanti del dubbio iperbolico di Cartesio. In sostanza, un dubbio auto-rigenerante, senza fine.
Lo scopo era far capire a Mal, smarrita nel labile confine tra favola e mondo vero, che non stavano vivendo la realtà e che avrebbero dovuto tornarci il prima possibile. Purtroppo, quel dubbio Mal se lo porta dietro anche una volta usciti dal mondo onirico, convinta di vivere in un sogno e di trovare, nella morte, l’unica via di fuga. Così, dalle prospettive di un roseo paradiso, nell’agonia perpetua di un dubbio irrisolto, Mal si trova incatenata all’inferno.
Il Genio Maligno, teorizzato da Cartesio come un genio sovrannaturale dai fini ingannatori, si traveste da Cobb, e inserisce, a sua volta, un dubbio di proporzioni devastanti nella mente della donna. «Un’idea può crescere fino a definirti, o a distruggerti», spiega Cobb. Quell’idea non porterà mai a definire Mal.
Quindi, la donna, in qualsiasi sogno Cobb si trovi, assume poi le forme umane della colpa. La colpa di aver portato al suicidio la donna che ha amato. Mal, infatti, mentre sono stati insieme, appare come una donna dolce e tranquilla, nei sogni di Cobb invece ingloba tutta la rabbia e la frustrazione che il sentimento della colpa può offrire. Nolan non lascia proprio nulla al caso, ma questa è un’altra storia.
Cartesio nelle Meditazioni metafisiche (1641) considera il fatto che, anche se i sensi talvolta ci ingannano, ci son cose che noi diamo per scontate e tendiamo a considerare come vere: per esempio il nostro corpo o gli oggetti che ci circondano. È normale che ciò accada, perché esiste una continuità nell’esperienza di questi oggetti. Noi li percepiamo tutti i giorni e tutta la realtà che vediamo appartiene a un mondo a cui siamo abituati. Mal, infatti, quelle sculture di carta, quelle spiagge dorate, la cui fine si perde nell’orizzonte, ha creduto davvero siano esistite alla fine.
Cartesio, dopo aver scartato il “caso del folle”, per cui aveva abbozzato una parvenza di convinzione d’aver ceduto alla follia, si serve del “caso del sogno”, per teorizzare seriamente il dubbio che lo attanaglia. Nel libro Meditazioni metafisiche, infatti spiega:
«[…] ciò che accade nel sonno non sembra certo chiaro e distinto come tutto questo. Ma, pensandoci accuratamente, mi ricordo d’essere stato spesso ingannato, mentre dormivo, da simili illusioni. E arrestandomi su questo pensiero, vedo così manifestamente che non vi sono indizi concludenti, né segni abbastanza certi per cui sia possibile distinguere nettamente la veglia dal sonno, che ne sono tutto stupito; ed il mio stupore è tale da esser quasi capace di persuadermi che io dormo».
(Cartesio, “Meditazioni metafisiche”)
Ma allora, cosa spinge Cobb a credere ciecamente che la sua realtà sia effettivamente quella reale? Si serve ancora della trottola. L’unica realtà, o paradigma certo, che Cartesio valuterebbe più veritiero della matematica stessa. Talvolta, quando il dubbio lo assale, la utilizza, e verifica dunque di essere nel mondo reale. E noi lo verifichiamo con lui.
Cobb alla fine torna finalmente a casa, dopo tanto tempo. Va subito a cercare i suoi figli. Li trova come li aveva lasciati, nei ricordi a cui ci aveva abituato. Appoggia la trottola sul tavolo della cucina. La trottola sta roteando, ha un cedimento, ma poi continua a roteare.
Ecco che pure noi spettatori, infine, siamo stati vittime di un “innesto”. Una piccolissima idea, come Mal, ci ha figurativamente distrutto: dall’inizio del film siamo sempre stati convinti di saper distinguere la realtà dalla fantasia, insieme a Cobb. Quell’idea vacilla, tutto d’un tratto, alla fine. Quando non puoi più aver risposte. Un dubbio iperbolico che ci portiamo ancora dentro, mentre il Genio maligno di Nolan sghignazza, ancora una volta, per averci ingannato.