Spesso si è abituati a concepire la fantascienza come una visione al futuro – da qui nascono molte visioni spesso grottesche sulle capacità predittive di 2001 o di altri mostri sacri del genere. In verità, così come per l’horror o il fantastico, la fantascienza non può prescindere da una certa sospensione dell’incredulità. Ciò non è in alcun modo una svalutazione del genere, solo una premessa doverosa visto che il titolo si promette di indagare la fisica di Tenet.
È dunque necessaria una forte coerenza scientifica per creare un grande film di fantascienza?
La risposta dunque è no: esistono capolavori della fantascienza con pochissime coerenze scientifiche, così come esistono film modesti, quando non mediocri, aventi un immenso apparato scientifico. Tuttavia, poiché l’ultimo film di Nolan ha destato un giustificato interesse, talvolta misto a variegate perplessità circa le basi scientifiche che lo sottendono, in questo articolo si cercherà di fare un po’ più di luce, lasciando passare in secondo piano i giudizi critici su Tenet.
Nessuna formula strana o calcolo matematico proibitivo, li bandiamo subito al principio. Il lettore lo prenda solo come un semplice discorso da bar davanti a uno strabordante boccale di birra ghiacciato.
La premessa principale della fisica che sottende Tenet è: perché il Tempo si sviluppa in una sola direzione?
Per rispondere a questa domanda si tenga ben presente che le equazioni della fisica non hanno direzioni preferenziali nel tempo: le leggi che descrivono un certo fenomeno nel tempo possono essere utilizzate per descrivere quello stesso processo a ritroso senza l’insorgere di alcun errore concettuale. Ciò è vero sia per la meccanica classica, sia – con i dovuti accorgimenti – per la meccanica relativistica, e anche per le equazioni quantistiche.
Con questo non si vuole dire che i concetti di passato e futuro non possano entrare in gioco, anzi, ma necessitano di una condizione: descrivere le condizioni iniziali del sistema fisico, dell’oggetto che si vuole studiare. Se si prende un uovo e lo si rompe, l’intuizione stessa suggerisce che questi non può più ricostruirsi da solo, non può più tornare alla sua condizione iniziale.
Processi di questo tipo in fisica vengono classificati come irreversibili.
I processi irreversibili si sviluppano lungo una sola direzione della linea del tempo, ma la proprietà che più li caratterizza è un aumento di una quantità fisica di importanza capitale: l’entropia.
Definita spesso, in modo grossolano e che lascia ampio spazio ad ambiguità, come il grado di disordine di un sistema fisico, una definizione più accurata ci viene data dal secondo principio della termodinamica: «il calore non può passare spontaneamente da un corpo più freddo a uno più caldo». Infatti, fisici e ingegneri agli albori della rivoluzione industriale introdussero il concetto di entropia proprio per cercare di misurare questa “propensione” notata nel calore, e in questo modo realizzare macchinari più efficienti.
L’entropia venne dunque introdotta per identificare quanto l’energia di un sistema fosse concentrata, quanto fosse lontano dal suo stato di equilibrio.
Quando ad esempio due corpi a contatto hanno una differenza di temperatura, l’entropia del sistema è minima, e si ha un passaggio di calore tra loro. Quando avranno raggiunto la stessa temperatura, non si avrà più passaggio di calore tra loro e l’entropia del sistema sarà massima. L’aumento di entropia che ne è derivato indicava quanta energia era possibile estrarre da quel processo.
In particolare fu notato che durante un processo irreversibile, l’entropia del sistema tende a crescere; e visto che la quasi totalità dei fenomeni dell’universo – volendo mantenerci bassi – è irreversibile, se come sistema consideriamo l’intero universo, l’entropia è destinata a crescere continuamente.
Quest’ultima, altri non è che una conseguenza del teorema di Clausius – il padre del concetto di entropia -, che darà origine alla definizione del secondo principio più in uso nella fisica moderna: durante una processo fisico, l’entropia dell’universo aumenta se il processo è irreversibile, e rimane costante se il processo è reversibile. La sua diminuzione non è in alcun modo contemplata.
Il concetto di tempo e la sua percezione ha origine da questo fatto.
I processi irreversibili vanno nella stessa direzione: quella che porta l’entropia dell’universo ad aumentare. Un momento in cui l’entropia dell’universo è più bassa rispetto all’entropia attuale lo definiamo convenzionalmente come “passato”; un momento in cui tale valore è più alto è definito “futuro”. Gli stessi processi biologici che avvengono nel cervello quando si ha la formazione di una memoria sono irreversibili, ed è per questo che si ricorda il passato e non il futuro: la percezione del tempo nel cervello umano è la stessa dell’universo, perché entrambe orientate nella direzione dell’aumento dell’entropia.
Ciò premesso, tornando infine a Tenet, il film ruota intorno proprio a una destrutturazione di questo concetto.
Viene immaginata una porzione di universo (un suo sottosistema) che subisce un inversione temporale, andando incontro a una diminuzione della sua entropia. Per tale sottosistema passato e futuro sono logicamente scambiati, così come lo saranno cause ed effetti, memorie e previsioni. Le inversioni temporali non le ha certo introdotte Tenet nell’universo narrativo, si pensi ad esempio al bel racconto Il curioso caso di Benjamin Button di Fitzgerald – da cui è stato tratto anche il modesto film di Fincher.
C’è da riconoscere però che se in genere il perché accada questa inversione viene solitamente lasciato vago, in Tenet si azzarda la parvenza di una motivazione, per quanto stiracchiata e fantasiosa, ma, come si è detto in premessa, questo aspetto non è di per sé un pregio né un difetto per un film di fantascienza.
Ci si concentri invece su un altro aspetto, per far luce sulle basi di Tenet: se lo scorrere del tempo è legato a un aumento di entropia, si può affermare che una diminuzione di entropia possa invertire lo scorrere del tempo?
Il film sembra suggerire proprio questo, ma ovviamente questa è una considerazione molto più che fantasiosa: infatti in natura non è per nulla raro trovare un sistema la cui entropia è in diminuzione. Tornando all’uovo, se invece di romperlo lo si fa bollire per poi lasciarlo raffreddare, durante il raffreddamento la sua entropia sta diminuendo. Nessuno direbbe mai “sto portando le uova indietro nel tempo” invece di “sto lasciando raffreddare le uova” (o meglio, potrebbe anche dirlo, ma avrebbe torto), e se ne potrebbero trovare moltissimi altri esempi.
In ogni caso non c’è nulla di contraddittorio, perché bisogna sempre tenere a mente che le uova non sono un sistema isolato dal resto dell’universo, ossia: se anche l’entropia delle uova stesse diminuendo, il calore che stanno cedendo per raffreddarsi si disperderà nella cucina e quindi nell’universo, aumentandone l’entropia complessiva.
In definitiva, ciò che bisogna tenere a mente è sempre che, anche qualora si abbia una diminuzione di entropia in un sistema, l’aumento dell’entropia dell’universo non ne verrebbe comunque influenzato, così come lo scorrere del tempo.
Altra domanda interessante che si potrebbe asserire guardando Tenet è: se il problema è il “non isolamento” del sistema dall’universo, si potrebbe creare un sistema isolato la cui entropia diminuisca e in cui si abbia quindi un’inversione temporale?
Formalmente ciò è possibile: come si è già detto, le equazioni fondamentali della fisica non hanno una direzione preferenziale nel tempo. Si potrebbe perciò immaginare un sistema in cui il verso delle equazioni sia invertito; in questo sistema il moto di un proiettile che si infrange su una parete avverrebbe “a ritroso”, la sua causa scatenante non sarebbe lo sparo della pistola, ma il ricomporsi delle particelle del muro danneggiato, e la sua corsa terminerebbe con l’arrestarsi per effetto dell’esplosione nella canna.
Tutto sta nel definire le condizioni iniziali delle equazioni (per il lettore più curioso, e che, qualora fosse avvezzo a maneggiare tali strumenti, avrà già intuito, non si sta parlando d’altro che della risoluzione di un semplice problema di Cauchy).
Tuttavia in un sistema del genere, dove il tempo scorre nel verso della diminuzione di entropia, anche le memorie subirebbero lo stesso processo a cui andranno incontro gli altri fenomeni fisici come il proiettile che torna nella pistola o l’uovo che si ricompone. Gli atomi che compongono i centri della memoria si ricomporrebbero in una condizione a entropia più bassa e quindi con minore memoria, e ogni abitante di quel sistema ricorderebbe comunque sempre e solo gli eventi a minore entropia – quelli che noi chiameremmo passato, e che per lui sarebbero il futuro – e non noterebbe alcuna anomalia, essendo ogni processo di quel sistema orientato temporalmente allo stesso modo.
Ciò che invece è impossibile, come ci dice il secondo principio della termodinamica, è che due sistemi non isolati – che possono quindi comunicare tra loro – non abbiano la stessa freccia del tempo.
Per capire il perché, si torni a pensare al concetto di calore: cosa rende un corpo più caldo rispetto a un altro? A livello microscopico, nel corpo più caldo le particelle si agitano con una velocità maggiore rispetto a quelle del corpo più freddo; quando i due sistemi entrano a contatto, le particelle del sistema freddo guadagnano energia dall’interazione con le particelle del sistema più caldo – le quali a loro volta perderanno la stessa quantità di energia – sino a quando le particelle avranno la stessa velocità e non vi sarà più passaggio di calore tra i corpi.
Entrambi avranno raggiunto la stessa temperatura, e spontaneamente, nell’unico modo individuato dal secondo principio della termodinamica; e, proprio come diceva tale principio, durante il processo sarà aumentata l’entropia complessiva.
Anche se il sistema più freddo sembrava andare nella direzione di una diminuzione dell’entropia, quando entra a contatto col corpo a entropia più alta ne verrà necessariamente perturbato, riallineando quindi la direzione della sua freccia del tempo.
È possibile scavalcare questo principio ingombrante? Esiste a tal proposito un esperimento concettuale molto bello, chiamato diavoletto di Maxwell.
Maxwell immagina due sistemi costituiti da un recipiente contenente un gas, a contatto tra loro solo per mezzo di una piccola porta la cui apertura o chiusura è totalmente controllata da un diavoletto in possesso di una vista molto acuta e riflessi sovrumani (non a caso è un diavoletto). I due sistemi sono alla stessa temperatura, e quindi la velocità media delle particelle risulta la stessa tra i due sistemi.
Come è stato ripetuto più volte, tra due sistemi alla stessa temperatura non possono avvenire passaggi di calore spontanei: si trovano già nella loro condizione di equilibrio, quella dove l’entropia è massima.
Ma il diavoletto è talmente rapido e dotato di colpo d’occhio da poter capire immediatamente quali siano le particelle più lente e più veloci e così, quando queste si avvicinano alla porta, fa passare quelle più veloci da un lato e quelle più lente dall’altro. Così facendo, a lavoro ultimato il diavoletto avrà spostato tutte le particelle più lente da un lato e quelle più calde dall’altro; sembra quindi che sia stato compiuto un processo che vìola il secondo principio della termodinamica, perché l’entropia complessiva è diminuita e il senso del tempo si è invertito.
In realtà però, e il lettore più arguto lo avrà già capito, questa è solo un’illusione concettuale, perché interagendo coi gas anche il diavoletto stesso sarà diventato parte del sistema.
Avrà interagito con le particelle per poter capire quali separare e quali no, avrà effettuato dei lavori mentali che producono formazione di memorie, e quindi aumento di entropia. Non a caso Sir Arthur Eddington diceva che «il secondo principio della termodinamica occupa la posizione dominante tra le leggi di natura»: qualunque modello che vada contro tale principio è destinato inevitabilmente a incorrere in un errore.
E non ha importanza se al posto del fantastico diavoletto si sostituisca un congegno elettronico, come, ad esempio, un respiratore; durante un processo l’entropia complessiva aumenterà, e se un sistema si trova in una condizione a bassa entropia, quindi altamente instabile e “improbabile”, entrando a contatto con altri sistemi si sposterà verso la direzione più vicina all’equilibrio.
Non si è usato i termini “improbabile” e “memorie” a caso in precedenza. Lo stesso Diavoletto di Maxwell nasce per sottolineare la natura essenzialmente probabilistica dell’aumento dell’entropia (evento che in Tenet è reso in modo fantasioso, ma indubbiamente di grande impatto, con la scena di un’automobile che congela a causa di un’esplosione), ed è possibile illustrare come entropia e informazione siano due concetti molto più collegati di quanto possano apparire a primo impatto. Tuttavia, per una trattazione anche minima di questi argomenti molto interessanti, ci si dovrebbe addentrare nei territori un po’ rognosi della meccanica statistica e della teoria dell’informazione, per cui non ci si dilungherà oltre.
In conclusione, Tenet è sicuramente un blockbuster che pone di fronte a tematiche indubbiamente sopra la media di certi suoi fratelli, e Nolan ha ben abituato il pubblico a questo, e ogni sorta di incoerenza o grossolanità – come annunciato in premessa – quando si parla di fantascienza passa sempre in secondo piano.
Della meccanica attuata nei viaggi nel tempo non se ne parlerà – non solo perché chi scrive non ritiene di avere le competenze sufficienti al riguardo per poter esprimere un parere minimamente degno di avere voce -, ma anche il problema del libero arbitrio stesso è una tematica molto interessante che risalta come logica conseguenza all’interno della narrazione.
Tuttavia, a proposito della narrazione, sono tutte tematiche profonde e interessanti che entrano in gioco con artifici spesso ingenui e frettolosi, a tratti quasi imbarazzanti.
Non si mettono sotto accusa in alcun modo le doti da regista di Nolan, è indubbio che sappia come utilizzare una macchina da presa, e le scene d’azione di cui è capace ne sono una prova. Ciononostante, sin dai tempi dei bardi alla Omero, per raccontare una storia è necessario avere un narratore, ogni altro orpello è funzionale a rendere quella narrazione più artistica o coinvolgente (o entrambe, come solo le grandi opere sanno fare); e Nolan sembra mostrare sempre più, film dopo film, le sue evidenti carenze da narratore, toccando sempre più spesso delle punte di amatorialità in situazioni e linguaggio che competono più al mondo delle fiction che del cinema.
Nessuno mette in dubbio che sia un regista coraggioso nel voler osare la trattazione di tematiche non comuni nei suoi film.
Ma a questo – per le carenze da narratore cui si accennava (o, forse, perché ingabbiato da budget troppo alti che ne frenano le libertà) – non riesce ad abbinare una narrazione minimamente coinvolgente, o perlomeno strutturata, che abbia un ritmo. È questa la cosa che salta più all’occhio osservando Tenet, qualcosa che nessun film di Nolan aveva mai raggiunto prima: la totale assenza di ritmo, assumendo le sembianze di un costante galoppo forsennato, sin quando non si dice “basta, pietà: un po’ di respiro”.
Se a ciò si aggiungono personaggi ridotti a semplici macchiette, il quadro che ne risulta è quasi impietoso (dote risultata perfetta in Dunkirk, film quasi totalmente privo di banalità e retorica, riuscitissimo forse in modo quasi involontario, potremmo dire malignamente). Ancor più che in Inception e Interstellar, dove seppur spesso banali quando non patetici, i personaggi avevano una parvenza di struttura, qui si è di fronte a un nulla cosmico della scrittura. E un discorso analogo potrebbe benissimo essere compiuto riguardo le situazioni in cui si trovano invischiati, prevedibili sin dalla prima mezz’ora e mascherate di illusoria complessità.
È un bene che Nolan salvi certo cinema di massa dalle derive di personaggi discutibili come Bay o Snyder, ciò è chiaro.
La condizione da porre è però ormai evidente: non lo si definisca cinema impegnato, o addirittura colto. A parte due o tre ottimi film, quando non addirittura memorabili, si è ormai intuita la strada che Nolan ha deciso di intraprendere, e chi scrive lo afferma con tutto il dispiacere possibile di chi lo considerava – e, in cuor suo (come forse solo gli amori più intensi e poi traditi sanno fare), un po’ lo considera ancora – un vero talento; con tutto il dispiacere di chi considera The Prestige uno dei migliori film del ventunesimo secolo, e uno dei migliori film di fantascienza di sempre. Sembrava fosse Kubrick… invece era uno Spielberg.