RNFF: The Fall – Trump, Goya e Brecht

Eugenio Grenna

Novembre 13, 2020

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Tutto ha inizio nell’ormai lontano 2011, in Zimbabwe, Stato continentale dell’Africa meridionale. Eric e Donald Trump Jr. si scattano una fotografia sorridenti e gioiosi, in compagnia di uno dei molti trofei di caccia della giornata. Si tratta del corpo privo di vita di un leopardo, animale sempre più in via d’estinzione. Questa fotografia, rappresenta una delle tre fonti di riferimento e spinte di realizzazione di The Fall.

Jonathan Glazer con The Fall, riflette sulla paura, la maschera, la violenza sempre più tollerata e condivisa e poi l'oblio.

Eric e Donald Trump Jr. – Zimbabwe 2011

Jonathan Glazer, interessante regista britannico di videoclip musicali, cortometraggi e lungometraggi di vario genere e ricerca linguistica, sembra sparire dalle scene in seguito a quello che si può considerare oggi il suo film più riuscito, importante e misterioso per un discorso di simbolismi, e ricerca sperimentale, ossia Under The Skin del 2013.

Torna seppur in misura ridotta nel settembre 2020, in piena emergenza sanitaria da Covid-19, con un cortometraggio poi distribuito sulla piattaforma MUBI, intitolato Strasbourg 1518. Anche questa volta c’è una grande volontà di fare ricerca e sperimentazione linguistica. Un cortometraggio che attraverso una danza scomposta e allucinata racconta un rituale, un loop che metaforicamente analizza il momento vissuto dalla società, sempre più vittima dell’ansia e dello stress, e quindi della perdizione, e dell’abbandono.

Nel corso del 2019 però, e più nello specifico al momento del rilascio nelle sale dell’ultimo e altrettanto interessante film di Robert Eggers, The Lighthouse, viene mostrato al pubblico l’ultimo lavoro di Jonathan Glazer. Si tratta del cortometraggio horror, colmo di simbolismi e metafore, The Fall.

È interessante come questo cortometraggio abbia raggiunto la sua distribuzione invece nel Regno Unito, di cui Glazer è figlio. Trasmesso da BBC Two (piazzato in palinsesto all’improvviso senza alcun annuncio tra un doc di viaggio di Simon Reeve e il programma di stand-up comedy Live at the Apollo), come se si trattasse di un intermezzo qualsiasi, in grado di sollevare per un attimo il pubblico e le famiglie a casa, in attesa di nuove notizie legate alla pandemia, piuttosto che altro.

Jonathan Glazer con The Fall, riflette sulla paura, la maschera, la violenza sempre più tollerata e condivisa e poi l'oblio.

The Fall

The Fall invece è tutt’altro che un intermezzo qualsiasi. Piuttosto cinque minuti di shock e angoscia, oscurità e straniamento. Per arrivare a questo risultato infatti, Glazer presenta altri due riferimenti (oltre alla fotografia dei due figli di Donald Trump).

Il secondo è: Il sonno della ragione genera mostri, la famosa opera di Francisco Goya, che torna in qualche modo a legarsi al tema del suo cortometraggio Strasbourg 1518, dunque riflessione sull’abbandono del proprio corpo, mente e coscienza.

Jonathan Glazer con The Fall, riflette sulla paura, la maschera, la violenza sempre più tollerata e condivisa e poi l'oblio.

Goya – Il sonno della ragione genera mostri

Terzo e ultimo riferimento, una poesia di Bertolt Brecht (tra le meno note) scritta nel bel mezzo di un esilio nel corso degli anni ’30. Poesia alla quale Glazer è giunto sotto consiglio di un amico.

Jonathan Glazer con The Fall, riflette sulla paura, la maschera, la violenza sempre più tollerata e condivisa e poi l'oblio.

Bertolt Brecht – Poesia

Preso atto dei tre riferimenti di decisiva importanza, si guarda a The Fall con una consapevolezza maggiore, trovando nel cortometraggio prodotto da A24 e BBC, una volontà di mostrare il punto della situazione su di una società sempre più in lotta con sé stessi e quindi con e tra gli individui che ne fanno parte.

The Fall infatti, non è altro che una chiara metafora della violenza (fisica e psicologica) cui tutti noi siamo soggetti, che si parli di vittime o di carnefici. Una violenza subita e perpetrata, talvolta casualmente, per puro divertimento o fame di essa, talvolta per futili motivi e dunque altrettanto folle e ingiustificata.

La violenza che oggi più che mai sembra vivere e sopravvivere sotterraneamente tra il mondo virtuale dei social e la realtà quotidiana che tutti noi viviamo. Una violenza tollerata e concessa, come se fosse uno sfogo necessario e motivato, atto a creare una migliore versione di noi stessi.

Pensiamo a fenomeni ancora oggi molto attuali come la discriminazione razziale che genera omicidi, stupri, abusi psicologici e fisici, oppure al bullismo nella sua concezione più estesa e generale, e poi ancora all’odio e alla discriminazione di genere e di classe. Fenomeni anch’essi generatori di violenza e intolleranza.

Jonathan Glazer con The Fall, riflette sulla paura, la maschera, la violenza sempre più tollerata e condivisa e poi l'oblio.

The Fall

Tutto questo si presenta nel cortometraggio di Glazer, che vive di una inquietudine e angoscia persistente, quasi metafisica, anche e soprattutto grazie alla potentissima e sinistra colonna sonora di Mica Levi, con cui peraltro Glazer aveva collaborato per Under The Skin.

Tema centrale di The Fall è la maschera, che chiaramente crea straniamento e una depersonalizzazione che in qualche modo allontana e protegge lo spettatore dall’identificazione con essa.

Una maschera dalle forti valenze orrorifiche nella sua banalità e normalità, come si trattasse di un simulacro, oggetto di numerosi esperimenti cinematografici e non solo.

Non c’è una vera e propria struttura narrativa, se non una linea base, apparentemente spoglia e di scarso interesse, che nasconde però una lettura metaforica di indubbia potenza sociale e politica.

Si segue infatti una folla di individui mascherati (di sesso maschile e femminile) dare la caccia a un altro della loro stessa specie, per poi fotografarsi col suo corpo ormai afflosciato e privo di speranze, prima di un’esecuzione pubblica, come se fosse un’impiccagione da selvaggio West.

Maschere molto simili a quelle che abbiamo già visto in un titolo abbastanza recente, anch’esso fortemente metaforico sul piano sociale e politico, ossia La notte del giudizio di James DeMonaco del 2013. C’è una grande distinzione però tra il film appena citato e il cortometraggio di Glazer, e cioè che nel film di DeMonaco le maschere vengono sollevate a favore dei volti umani, mentre nel cortometraggio di Glazer, la maschera resta, contribuendo al tono sempre angosciante e straniante, che non trova una pacificazione nemmeno nella conclusione.

The Fall

Molto interessante questa ennesima sperimentazione linguistica e registica di Glazer, che pone dietro alle maschere la paura, e non degli individui. Una paura universalmente accettata che agisce poiché supportata e condivisa in un bosco notturno, che avrebbe potuto senza dubbio essere il centro di una metropoli, o anche il salotto di un’abitazione qualsiasi.

Glazer riflette sulla paura come grande pericolo sempre più presente e concreto nelle nostre vite, tale da spingere ognuno di noi a comportamenti irrazionali, spesso legati all’inconscio e ai desideri celati poiché scomodi e scorretti.

The Fall, riflessione sugli effetti della grande paura e di un abisso apparentemente senza fine e in continua evoluzione, cui tutti noi siamo tristemente legati, poiché sempre più vittime di una società violenta, che vive di consenso e di immoralità condivisa e tollerata.

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