Novecento di Bertolucci – L’Italia tra storia e poesia

Gianluca Colella

Novembre 25, 2020

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Forse non è un caso che proprio oggi, in questo periodo, si parli molto di Novecento. Un Novecento inteso in senso esteso e in senso particolare e funzionale alla presente analisi: il primo, perché spontaneo viene il confronto tra il modello culturale, sociale ed economico del terzo millennio e quello precedente, appartenuto ai nostri padri e ai nostri nonni. In senso più stretto, perché nel film Bertolucci si trovano spunti di riflessione che in un tempo di pandemia sanitaria sono tanto importanti quanto necessari.

Mentre oggi si parla tanto di dramma sanitario, politico e culturale, quello prodotto da Bertolucci nel 1976 è un dramma storico, un dipinto che testimonia le divisioni sociali dello Stivale al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Chi l’avrebbe mai detto che i colori per rappresentare l’Italia un giorno sarebbero stati il giallo, l’arancione e il rosso? Il Tricolore della bandiera nazionale è sì frutto di una divisione cromatica, ma questa aveva a che fare col rosso e col nero, che si scontravano anche all’interno dello stesso anonimo paesino di campagna.

Espressione di questa dialettica individuale e collettiva, Olmo Dalcò e Alfredo Berlinghieri sembrano essere due predestinati, facce di una medaglia bella e sporca di sangue; attraverso mezzo secolo di avvenimenti storici, i due protagonisti cresceranno al tempo stesso vicini e distanti, amici obbligati ad essere nemici.

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Novecento – Alfredo e Olmo

L’incipit dell’Atto I del capolavoro di Bertolucci coincide con la data della morte di Giuseppe Verdi, il 27 gennaio 1901. In questa giornata, Olmo e Alfredo vengono al mondo come se avessero concordato un simbolico appuntamento con la storia italiana; la loro futura amicizia sembra un’eredità transgenerazionale predestinata, dato che anche i loro nonni Leo e Alfredo sono legati da una conoscenza reciproca forte e importante.

Nel corso degli anni successivi, i due crescono insieme, apprendendo a imitarsi, amarsi e odiarsi: il povero invidia il ricco, il ricco ammira il povero; è la dialettica più antica della storia, quella del Novecento italiano dipinto da Bertolucci.

I loro giochi, tipici dei bambini nella loro fase di sviluppo, testimoniano il necessario bisogno di un confronto aperto e competitivo tra pari, ma a loro insaputa diventa un mezzo per esprimere un conflitto più grande di loro: quello tra i proprietari terrieri e i contadini.

Parallelamente alla Grande Guerra, infatti, le prime macchine tecnologiche arrivano nel loro paesino, e i contadini guidati da Leo Dalcò sono sempre più poveri ed emarginati, mentre le ricchezze guadagnate da Berlinghieri aumentano esponenzialmente grazie alla maggiore produttività.

Olmo: «I fascisti non sono mica come i funghi, che nascono così, in una notte. No. I fascisti sono stati i padroni a seminarli, li hanno voluti, li hanno pagati. E coi fascisti i padroni hanno guadagnato sempre di più, al punto che non sapevano più dove metterli i soldi. Così hanno inventato la guerra. Ci hanno mandato in Africa, in Russia, in Grecia, in Albania, in Spagna! Ma chi paga siamo sempre noi! Chi paga: il proletariato, gli operai, i contadini, i poveri!»

Con questa profezia di sventura, e altre prese di consapevolezza sempre più nette e necessarie, il rapporto tra Alfredo e Olmo sembra spezzarsi in maniera irreparabile, allontanandoli sempre di più a causa dello scarto determinato dalla loro diversa condizione sociale.

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Novecento – Olmo e Alfredo

Il secondo atto riporta i protagonisti di Novecento dal loro futuro al loro passato, dando al tirannico personaggio di Attila Melanchini il truce spazio che merita.

Il possidente, infatti, è il crudele braccio destro della famiglia Berlinghieri, governa con disprezzo i contadini, rimasti senza la guida di Olmo, creduto morto. La sua importanza è addirittura simbolica in questa fase dell’opera, proprio in virtù della sua assenza, proprio perché i sentimenti di malessere nei confronti di Alfredo maturano collettivamente perché nessuno è in grado di farsene carico.

Le scene relative al sommario processo di Alfredo, che preludono alla conclusione del film, sono poeticamente rappresentative perché condensano vissuti ereditati da diverse generazioni di poveri italiani, che nel giorno della Liberazione festeggiano la rivendicazione dei propri diritti, malamente calpestati nel corso dei decenni precedenti.

Quello che emerge dall’intreccio tra i due atti, e ancor più nello specifico nell’evoluzione del rapporto tra Olmo e Alfredo, è la dialettica insita nel trascorrere del tempo, di quella Storia caratterizzata dal conflitto perpetuo e inevitabile tra vincitori e vinti, padrone e servo, forti e deboli.

Scomodare Nietzsche, Hegel e Marx per analizzare questo genere di ambivalenza è un’operazione prevedibile e al tempo stesso indicativa, perché se è vero che il film di Bertolucci rappresenta ciò che avvenne in Italia nel XX secolo, è anche vero che queste dinamiche si verificarono anche in altri Stati europei.

Si arriva dunque a una sorta di riflessione speculare sul ruolo del singolo e della pluralità all’interno di questo processo storico che lo trascende, nella misura in cui oggi “guardare poeticamente” a quel Novecento sembra essere un’operazione faticosa, sebbene non sia un periodo tanto lontano nel tempo.

Riallacciando il discorso all’attualità culturale, politica e sociale del 2020, infatti, quei conflitti sembrano quasi superflui, perché la Liberazione in cui si spera oggi è quella della possibilità di tornare a respirare.

Eppure, manifestazione dopo manifestazione, una vibrazione remota e minacciosa risuona nel sottosuolo italiano di questo tragico anno: mercanti, artigiani, artisti e piccoli imprenditori, tutti uniti sotto un comune appello.

Un appello che sembra pericolosamente simile a quello di Olmo, dei partigiani emiliani, dei calpestati italiani che hanno esultato quando il Berlinghieri di turno è stato sconfitto.

Quindi questo, forse, è l’insegnamento che Novecento di Bertolucci oggi ci propone. Un lavoro di civiltà che intreccia quel passato al nostro presente, del quale è opportuno prendersi continuamente cura.

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