Il cinema di Sergio Leone è diventato un po’ per chiunque sinonimo di un genere: il western. Le storie, le situazioni, i personaggi, le tematiche, le musiche, ogni singolo elemento che fa da colonna portante al cinema di Leone è ben scolpito nell’immaginario di tutti, anche in quello di chi non ha mai visto un suo film. Facciamo un esempio. Se incontrassimo una persona che di cinema ne mastica poco, e gli chiedessimo di descrivere cosa sia, a parole sue, il western, è molto probabile che ci troveremmo di fronte ad un quadro descrittivo che con l’arte di Leone ha più di un punto di contatto.
Il suo cinema ha regalato alla narrativa archetipi forse immortali, che hanno ispirato alcuni dei più grandi cineasti contemporanei. Ovviamente il western esiste anche da prima di Sergio Leone e non era affatto un genere in crisi. Anzi, maestri indiscussi come John Ford, Howard Hawks e Henry Hathaway, solo per dirne alcuni, hanno plasmato e diffuso degli archetipi che sono entrati nella leggenda.
Sergio Leone era perfettamente consapevole del valore storico ed artistico dei western dei suoi colleghi americani. Non solo. Sapeva anche che, se avesse cominciato a girare dei western emulando lo stile classico di quei maestri, il risultato di un eventuale confronto sarebbe stato impietoso. Ecco perché Sergio Leone, fortemente ispirato dall’epica di Kurosawa, decise di cambiare il modo di approcciarsi al western. E così fece, superando archetipi e miti fortemente consolidati, e “sostituendoli” con quelli di sua creazione.
Chi è il “buono”?
Tutto il cinema di Leone segue un preciso paradigma: l’impossibilità di schierarsi da una parte o dall’altra. O meglio: quasi mai, nel cinema di Sergio Leone, troviamo un personaggio totalmente positivo, basti pensare al fatto che i “buoni” uccidono per denaro. Alla fine dei conti il “tifo” che noi spettatori facciamo per un personaggio piuttosto che per un altro è da attribuirsi alla semplice “simpatia emotiva”.
Questa caratteristica è una differenza fondamentale rispetto alla mitologia western di oltreoceano. Concetti come onore, lealtà e orgoglio, che sono colonne portanti del western americano, vengono completamente nullificati nel cinema di Leone. Tutti i personaggi sono alla ricerca di soldi e sono disposti a tutto pur di arricchirsi. Certo, ogni personaggio è dotato di un codice morale che può limitare le azioni, ma tolti alcuni frivoli sprazzi di nobiltà d’animo, si parla pur sempre di spietati assassini che uccidono come se nulla fosse.
È il caso de “il buono” (Clint Eastwood) ne Il buono, il brutto, il cattivo, che differisce dai suoi due avversari solamente per scaltrezza e per un senso di pietà un po’ più spiccato. Più che un “buono” si tratta di un “meno peggio”, anche perché, conti alla mano, nel corso del film uccide molte più persone del “cattivo”.
Come lo stesso Leone dichiarerà anni dopo, il titolo del film serviva proprio a smontare queste etichette ben consolidate, che nel corso degli anni avevano delineato un canone narrativo preciso. È una narrazione alla Kurosawa, privata però di quel senso dell’onore proprio del cinema orientale. Non esiste onore nel west di Sergio Leone. Nessun personaggio del suo cinema, così viscerale ed autentico, immagina anche solo di parlare di onore, che rappresenta un concetto troppo astratto in un mondo così duro e violento.
Il ruolo della donna
«Anche nei migliori western, la donna è imposta sull’azione, come una stella, e in genere è destinata a essere “avuta” dal protagonista maschile. Ma non esiste come una donna.»
(Sergio Leone)
Parlando della Trilogia del Dollaro, una delle rotture più evidenti che distinsero il cinema di Leone dal canone classico è l’assenza di figure femminili importanti. In particolare, nella prima fase della filmografia, le donne sono personaggi di contorno, al limite di una semplice comparsata, oppure un MacGuffin che serve a legare narrativamente due personaggi (come in Per qualche dollaro in più).
Invece, se pensiamo al western classico, i personaggi femminili sono di vitale importanza. Spesso rappresentano una forte volontà di emancipazione, una critica ad un sistema maschilista consolidato negli anni, e molte volte si rivelano fondamentali per risolvere la situazione. Quindi le donne nel western classico, soprattutto di quello dagli anni ’50 in poi, non sono solamente il “premio” vinto dal protagonista, come erroneamente affermato dallo stesso Leone.
Da questa rottura con il western classico deriva l’opinione secondo cui Sergio Leone fosse misogino. Tuttavia, tenendo sempre conto del fatto che il cinema di Leone è un cinema privo di qualsivoglia schieramento, l’assenza di donne nella Trilogia del Dollaro non deve essere vista come una sorta di “elevazione morale” del maschio. Semplicemente Leone non pensava che potessero essere importanti in alcune delle storie che ha raccontato.
Con C’era una volta il West le cose cambiano. Per la prima volta troviamo una donna, la bellissima Jill di Claudia Cardinale, al centro della storia. Leone era un po’ dubbioso su questa scelta narrativa, ma venne spronato a proseguire dall’amico Bernardo Bertolucci, peraltro soggettista del film. Com’è questo personaggio? Anche in questo caso, Leone non ci tiene affatto ad omologarsi ai suoi colleghi americani, che spesso donano alla donna una connotazione salvifica, quasi da consolazione morale per il protagonista. Jill McBain è una prostituta che ha sposato un uomo quasi esclusivamente per soldi. Insomma è una figura abbastanza discutibile ed ambigua e, dunque, perfettamente coerente con il cinema leoniano.
La redenzione secondo Sergio Leone
Un altro archetipo fondamentale del western americano è il concetto di redenzione. Spesso ci si trova di fronte a dei fuorilegge che cercano di redimersi da un passato burrascoso, attraverso delle buone azioni. A fare di questo espediente una vera e propria base narrativa sono sia grandi classici, come Ombre rosse di John Ford, sia perle un po’ più sconosciute, come Là dove scende il fiume di Anthony Mann. E innumerevoli altri ancora, dove un silenzioso individuo dall’indole tormentata cerca di trovare rimedio ai suoi trascorsi violenti.
Nel cinema di Sergio Leone esiste la redenzione? La risposta è a metà tra il sì e il no. Come è stato già spiegato, trattandosi di un cinema privo di schemi, è, in certo senso, anche “amorale”. I personaggi leoniani non devono insegnare qualcosa al pubblico, non sono degli eroi e, visti in quest’occhio, non hanno crescita. Quindi, se la domanda posta in precedenza era riferita alla redenzione intesa nel senso classico, la risposta è che non c’è tale redenzione nel western di Leone. Tuttavia esiste un altro tipo di redenzione. Una redenzione spesso violenta.
Pensiamo ad Armonica (Charles Bronson) e alla sua natura di individuo quasi svuotato di ogni umano spirito se non quello della vendetta. La sua esistenza è scandita dal roboante svuotarsi del suo caricatore che, morto dopo morto, lo porterà a Frank (Henry Fonda), con il quale ha un conto in sospeso. Una volta risolto questo conto, Armonica avrà certamente adempito al suo compito (vendicare il fratello), ma poi? La sua vita non cambierà, continuerà a vagare senza nessuno scopo, fino al giorno in cui incontrerà qualcuno più veloce di lui.
Eppure una redenzione c’è stata. Ma non la sua. Quella di Jill. Grazie all’agire di Armonica, Jill riuscirà a trovare una dimensione che prima appariva improbabile e sfuggente. Realizzerà il sogno del suo defunto marito e la sua stazione diventerà un tassello importante all’interno di un immenso puzzle che costituisce le fondamenta di una nazione. È una redenzione indiretta e forse anche inconsapevole. Di sicuro in netto contrasto con l’enfasi messa in campo da un Ford o un Hawks.
Innumerevoli grandi autori hanno attinto dalla poetica di Sergio Leone. Registi che sono entrati nella storia, come l’amico/rivale Sam Peckinpah, Quentin Tarantino, ma anche illustri esponenti del cinema orientale come Takashi Miike. E molti altri ancora. Non possiamo dire con assoluta certezza che i canoni, oggi universali, messi in campo da Sergio Leone rimarranno per sempre insormontabili. Può darsi che tra qualche anno ci sarà un nuovo revival del western e un nuovo autore scavalcherà questi archetipi, esattamente come Leone fece con il western americano. Ma fino ad allora il polveroso e violento west rimarrà ancora quello raccontatoci da Sergio Leone.