A partire dai titoli di testa Partner, uscito nel 1968, si presenta come un film estremamente sperimentale e per certi versi avanguardista. È probabilmente l’unica opera a potersi così definire all’interno della filmografia di Bernardo Bertolucci. Stratificata a tal punto da raggiungere molteplici letture. Non soltanto del film, ma anche delle cause che si possono scovare dietro la realizzazione dello stesso.
Una delle interpretazioni è legata al solo aspetto politico, criticato dallo stesso Bertolucci anni dopo. Un’altra, decisamente più interessante, è legata invece all’elaborazione della paura. Quindi del ruolo predominante dell’inconscio in alcune specifiche fasi della vita. All’interno delle quali tutto viene messo in discussione, e le scelte prima affidate al caos ed al caso, vengono ora prese in mano da un individuo/non-individuo.
Si fa strada dunque il tema predominante di Partner, ossia il doppio.
Bertolucci crea attorno alla figura di un modestissimo ma ambiguo insegnante di recitazione, Giacobbe (un Pierre Clèmenti sopra le righe, che fa suoi i registri dell’assurdo) una nuova e disturbata convivenza con una versione di se stesso, talvolta evidente nella sua cupezza e crudeltà, talvolta confusa.
Come spesso capita per le narrazioni che ragionano attorno al doppio, questo nuovo individuo rappresenta un lato nascosto, oscuro e forte, e Bertolucci gioca con questo stilema classico del tema, stravolgendolo non soltanto attraverso il lavoro sugli attori e i loro corpi, ma anche mediante un certo uso delle scenografie e più in generale della messa in scena.
Fondamentale in questo discorso si rivela la stanzetta per certi versi angusta e confusa di Giacobbe.
Spesso gettata nelle ombre della notte (basti pensare alla scena chiave del temporale notturno), oppure resa altro. Spazio teatrale riempito di libri e luci ed effetti visivi volutamente assurdi, quasi fumettistici. Non a caso il film è realizzato in collaborazione con il noto fumettista e autore satirico, Francesco Tullio Altan. Tutti elementi che creano il legame indissolubile per il Bertolucci dell’epoca, tra teatro e cinema.
Il rapporto tra teatro e cinema è infatti una condizione e un elemento senz’altro evidente all’interno di Partner, così come si potrebbe dire per l’intera filmografia di Bertolucci. Quella condizione esistenziale di chi ama scambiare la vita con il cinema, il teatro, e la letteratura. E il temporale notturno, con i personaggi seduti e i quattro bicchieri, ne è in qualche modo metafora, e allo stesso tempo chiave d’interpretazione.
Torna il tema della cinefilia.
Condizione essenziale per riconoscere l’alterità e gli individui, e subito dopo per riconoscersi negli stessi, identificandosi. Individui che amano farsi altro, allontanandosi anche soltanto per un attimo dalla loro versione quotidiana. Per poterla vivere attraverso un filtro differente. Provando sensazioni ed emozioni lontane, varie, estreme e folli.
Interessante analizzare il processo di identificazione dello spettatore durante la visione di Partner. Un film che compie qualsiasi scelta pur di deviare da questa prassi narrativa e cinematografica. Creando per esempio un personaggio principale volutamente in lotta costante con se stesso e con il mondo, dunque molto difficile da avvicinare.
Giacobbe è fin da subito un personaggio complesso, stratificato e frammentato.
Proprio a causa di questa frammentazione, nasce la figura del doppio. Apparentemente integra, senza paure, colma di certezze, e priva di filtri e compassione di se stessa. Una riflessione dunque attorno al tema dell’inconscio, ancor prima che del doppio. Così come attorno a tutte quelle volontà forti ed esistenti ma celate e messe a tacere per il timore di affrontarle, per il timore del giudizio, e il terrore di non poterle soddisfare.
Pierre Clémenti costruisce attraverso la teatralità del movimento e dell’interpretazione un’anima solitaria e cupa, sognatrice ma anche limitata da se stessa. Bertolucci si interessa a queste figure sognanti, che si muovono febbrilmente negli spazi. Conservando nel profondo la nostalgia di qualcosa che avrebbe dovuto essere, ma che per il momento non è stato, e che dovrà però cominciare a presentarsi, per una tanto desiderata evoluzione.
In tutto questo Partner si dimostra un film volutamente contrario alle logiche del mercato cinematografico, ma anche contrario al sistema della narrazione e dell’impostazione filmica.
Per questo è un film fortemente anarchico e battagliero, nella sua evidente volontà di opporsi anche al suo pubblico, presente e futuro.
All’apparenza può quasi sembrare una pellicola antologica, in quanto ogni sequenza sembra autosufficiente e pienamente realizzata, nel fallimento o nel successo. Partner si muove infatti tra il teatro e il cinema, nel suo proporre segmenti, conclusioni e ripartenze. Senza però scegliere mai una dimensione unica, e per questo fallendo, in quella che è una volontà registica affidata quasi totalmente alla teoria e molto poco alla pratica.
È un film che fa della sua fortissima componente teorica e teatrale una vera e propria sperimentazione di linguaggio e di forma, che apparterrà (più avanti negli anni) a un modello cinematografico moderno e post-moderno. Quindi, pur nella sua parziale realizzazione, è un’opera in largo anticipo sui tempi, come d’altronde è sempre stato il cinema di Bernardo Bertolucci.
Concludendo, a distanza di molti anni dalla sua uscita nelle sale, è sicuramente interessante analizzare Partner e osservarlo (ben più di una volta), per cogliere non soltanto la potenza metaforica e narrativa del riferimento letterario esplicitato fin dal principio, ossia Il Sosia di Dostoevskij. Ma anche e soprattutto i numerosi riferimenti prima teatrali e poi cinematografici, a partire da Godard, Cocteau e Minnelli.
Così come d’altronde si conferma tutt’oggi interessante quest’ennesima variazione sul tema del doppio (giocata qui sulla contrapposizione teatro/cinema), centrale nel cinema di Bertolucci, da Strategia del ragno a Il Conformista e ancora Novecento. Nonché la folle ricerca di un registro a tratti drammatico, a tratti comico e ancora black comedy, di cui sembra essere parte integrante una forte e totale improvvisazione.
Partner segna la fine di una fase registica decisiva e l’inizio di una nuova, altrettanto importante. Bertolucci definirà questo passaggio: «Dal cinema del monologo al cinema del dialogo».