Sogni d’oro – Nanni Moretti e la nevrosi dell’esistenza

Alessandra Cinà

Febbraio 8, 2021

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Michele Apicella, iconico alter ego di Nanni Moretti, è un giovane regista alle prese con il suo terzo film. A causa delle critiche rivolte alla sua seconda opera, cade in una spirale di nevrosi e frustrazione.

Leggendo questa breve trama, si potrebbe pensare che sia il solito film che vede protagonista un artista costretto ad affrontare una crisi. Quello che però realizza Moretti con Sogni d’oro (1981) è un lavoro molto più complesso. La nevrosi che fa ammalare il protagonista è causata principalmente da due fattori: la paura di svanire e la frustrazione.

«Io non lascio traccia
come pioggia sulla neve
quando cado mi confondo
con quello che già c’è
si scioglie la mia faccia
e nel fango dei ricordi
quando vivo mi confondi
con quello che già c’è
sono invisibile».

(Negramaro, “Io non lascio traccia”)

Le parole di questa canzone sono dure e angoscianti, ma descrivono perfettamente il protagonista di Moretti: il secondo film di Apicella non viene di fatto apprezzato né dalla critica né tantomeno dal pubblico, che pretende di assistere a film leggeri che non siano troppo cervellotici da seguire.

Bisogna considerare che questo film nasce all’inizio degli anni ’80, periodo in cui comincia un disinnamoramento nei confronti del cinema (o per lo meno nei confronti di quei film socio-politici e filosofici). L’italiano medio comincia a preferire programmi televisivi divertenti e accessibili a tutti (programmi che oggi definiremmo “trash”). Infatti, durante le varie promozioni del suo film, c’è sempre quello spettatore che sottolinea quanto il lungometraggio possa risultare poco indicato «a un bracciante lucano, a un pastore abruzzese e a una casalinga di Treviso».

A causa di queste critiche negative, la sua ansia aumenterà fino a diventare prima depressione e poi vera e propria nevrosi, che si manifesterà attraverso atti di violenza. Apicella teme che questo insuccesso possa in qualche modo farlo sparire. Ha paura che possa essere dimenticato, ed è terrorizzato all’idea che la sua persona e il suo genio creativo possano diventare un alone di polvere.

Nevrosi, frustrazione, repressione e Michele Apicella sono i protagonisti di questa commedia grottesca firmata Nanni Moretti.

Nanni Moretti

Queste sue ossessioni portano a un crescendo di rabbia e nervosismi ai quali si alternano momenti di indifferenza. Apicella è sempre scontroso con chiunque incontri (persino con l’anziana madre, della quale parleremo in seguito), urla, insulta e picchia la gente.

Ma per quale motivo Michele diventa sempre più aggressivo? Ha provato di tutto per far capire alla gente che lui esiste e, nella sua testa, quella dell’aggressività è l’ultima spiaggia.

A modo suo vorrebbe scuotere le persone, provocare in loro una qualsiasi reazione, ma tutti lo ignorano e continuano a parlargli di un cinema che dovrebbe essere alla portata di tutti. Si ha quasi la sensazione che l’incompreso regista stia parlando con un muro (fatta sempre eccezione per la madre).

Michele somiglia sempre di più al non-essere parmenideo che in quanto tale non può essere. Apicella (e dunque Moretti) non può essere perché il suo cinema e la sua visione del mondo non possono più esistere in un panorama socio-culturale profondamente mutato rispetto a quello di vent’anni prima.

A un certo punto Apicella si arrende. Non gli importa se non riuscirà a esprimere la sua creatività, non gli interessa se dovrà svilire la sua intelligenza e la sua morale. L’unica cosa che gli preme è quella di non essere dimenticato, quindi quella di essere. Per questo motivo, accetterà di confrontarsi con un altro regista (perfettamente integrato alla massa), all’interno di un programma in cui la volgarità ha il sopravvento sull’arte e sul buon gusto.

Il terzo film al quale Apicella lavora si intitola La madre di Freud: il regista racconta il rapporto morboso e malsano tra il padre della psicoanalisi e la madre, che in fondo è ciò che vive egli stesso tra le mura casalinghe. Di fatto Michele, nonostante sia un uomo adulto, vive ancora con la madre petulante, che lo soffoca con la sua presenza, causandogli disagio e frustrazione.

Apicella vorrebbe essere indipendente dall’anziana madre, ma lei è l’unica sua compagnia, è questo è il motivo per il quale non l’abbandona, perché sa che nonostante tutto sua madre sarà sempre accanto a lui.

Nevrosi, frustrazione, repressione e Michele Apicella sono i protagonisti di questa commedia grottesca firmata Nanni Moretti.

Sogni d’oro: Michele e la madre

Ma come ben si sa, è necessario che i figli acquisiscano un’autonomia anche relazionale. Apicella non riesce ad avere buoni rapporti con nessuno, è troppo oppresso dalla siccità della sua vuota esistenza per riuscire a coltivare un buon rapporto umano che non sfoci nella violenza, sia contro gli altri che contro sé stesso.

A dir la verità una donna nella vita di Michele c’è, è una ragazza che vive nei suoi sogni e nelle sue fantasie più profonde. Non si sa se sia un’ex-compagna di classe o una studentessa. Lo spettatore sa solo che si chiama Silvia ed è la donna per la quale il regista sviluppa un’ossessione quasi infantile.

Apicella non è innamorato tanto della ragazza quanto dell’idea dell’amore, ma non si tratta di un amore carnale, bensì di un amore spirituale, quasi platonico. Quello a cui Michele ambisce è, infatti, l’amore di una donna che capisca la sua espressività artistica e che lo faccia esistere in quanto regista e intellettuale.

Durante il corso del film è chiara, infatti, la concezione che il regista ha dell’amore e della sessualità. Durante il già citato programma al quale partecipa, gli verrà posta una domanda riguardo i rapporti intimi tra uomo e donna; a questa domanda Michele quasi candidamente risponde alludendo a un rapporto che non concili tanto i corpi quanto le anime e le menti.

Michele segue questa ragazza, le fa assurde scenate di gelosia (che poi non sono altro che insulti contro sé stesso) e le urla, ma senza alcun esito, di rimanere accanto a lui. Il grido di Michele però non è rivolto soltanto a Silvia. Apicella urla per farsi sentire, come se volesse dire al mondo e al cinema che lui esiste, che lui può ancora essere.

Per questo motivo, Silvia rappresenta molto di più per Michele: non è solo la donna che vuole contrapporre alla figura della madre, ma simboleggia anche il cinema stesso.

Le prime parole che Silvia rivolge a Michele in tono acido sottolineano quanto lui sia un miserabile, convinto di sapere tutto della vita, ma che in realtà non ne sa un bel niente, essendo la sua vita arida e meschina. Queste critiche che Silvia muove nei confronti di Michele, sono le stesse che in maniera differente gli vengono fatte dai critici. Così come Silvia lo definisce un uomo arido, il cinema definisce i suoi film insipidi, senza sapore.

Proprio per questo motivo il cinema preferisce farsi dirigere da registi che producono film con una consistenza intellettuale minore (e di conseguenza accessibile a un pubblico più ampio) rispetto a quelli di Michele. Anche Silvia, proprio come il cinema, alla compagnia di Michele preferisce quella di un altro uomo che non si faccia gli stessi complessi di Apicella.

Nevrosi, frustrazione, repressione e Michele Apicella sono i protagonisti di questa commedia grottesca firmata Nanni Moretti.

Sogni d’oro: Michele e Silvia

Alla fine del film Michele riesce finalmente a parlare con Silvia (sempre in sogno naturalmente), e mentre la supplica di amarlo (così come fa per tutta la durata del film con il cinema), si trasforma in un mostro, un lupo mannaro (metamorfosi che seppur lievemente rimanda a Ovidio e a Kafka). Il vuoto che stava prendendo possesso della sua vita alla fine lo trasforma.

Michele diventa uno di quei mostri che, pur di conservarsi un posto nella memoria culturale del paese, si adattano alla massa sacrificando la loro intellettualità artistica alla volgarità e alla frivolezza.

Prima di concludere, vorremmo fare una precisazione riguardante un accostamento del film di Moretti all’8 e mezzo di Fellini. Spesso si pensa che Moretti abbia voluto “imitare” Fellini e per questo motivo il film è stato sottovalutato.

In realtà, mentre il Guido felliniano cerca di combattere la confusione che incatena la sua mente, il Michele morettiano lotta per affermare la propria esistenza.

Infine, vogliamo concludere l’articolo con una frase presa dal film di Moretti e pronunciata dal direttore di un cinema. Questa frase calza a pennello con il difficile periodo che il cinema sta vivendo, con la speranza che si possa ritornare presto nelle sale cinematografiche.

Direttore del cinema: «Queste sale ormai, quando sono vuote, che tristezza. Invece così (riferendosi a una sala in quel momento affollata) il pubblico non si sente solo. La gente ricomincia a uscire di casa e i cinema diventano dei luoghi dove ci si può incontrare».

Leggi anche: I nuovi autori – Il cinema di Susanna Nicchiarelli tra innovazione e femminismo

Autore

  • Alessandra Cinà

    Ciao a tutti, mi chiamo Alessandra e sono un'inguaribile cinefila. Da qualche tempo a questa parte sono riuscita ad unire la mia passione per la scrittura allo strano mondo del cinema, cercando di analizzare la Settima Arte in maniera innovativa e profonda.
    Detto questo, buona lettura e buon divertimento 😉

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