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8 e mezzo – La Sincerità di un Sogno

Matteo Melis

Marzo 4, 2019

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Nessuno, in 8 e mezzo, sembra avere importanza se non Guido Anselmi, e per Guido Anselmi nulla ha realmente importanza.

L’indimenticabile Marcello Mastroianni, infatti, impersona un regista che non riesce a trovare sbocchi nel suo ultimo progetto: un film fortemente autobiografico, anche se l’autore non lo confesserà mai. Il vicolo cieco del Guido artista è figlio dello stallo del Guido uomo, intrappolato nel suo mestiere, nella sua relazione coniugale e addirittura in quella extraconiugale, perché per lui ogni impegno assume i connotati della condanna.

Queste responsabilità costringono Guido e noi, che siamo sempre con lui, a rintanarsi nei suoi ricordi e nei suoi sogni, che ci mostrano, ad esempio, come lui veda se stesso ancorato a terra con una corda che gli impedisce di prendere il volo. Il viaggio continua nella stasi, nei dialoghi del protagonista con il mondo circostante, che lo porteranno a chiudersi progressivamente nei suoi ricordi.


Così scopriamo che Guido vede due caratteristiche nella sua difficile infanzia: il mistero e la vergogna. Nella colonia dove il regista è cresciuto regnava il caos, non era facile badare ai bambini, che erano arrivati a inventare un alfabeto personale per comunicare; i piccoli ripetevano tra loro, quasi come un mantra, la misteriosa frase “asa nisi masa”.

Qui emerge una delle meraviglie di 8 e mezzo, ovvero la sua genuina capacità di farci sfilare il velo per andare oltre, nei meandri più profondi della nostra autocoscienza. Mentre noi passiamo il tempo a capire cosa significhi “asa nisi masa”, Fellini ci sta chiedendo, con un sussurro di artistica illuminazione, il motivo per cui non riusciamo a capirlo, quanti inspiegabili “asa nisi masa” ricordiamo della nostra infanzia, quante e quali immagini riempiano il nostro immaginario di un inspiegabile poetico.

Scorrendo ancora negli albori della vita di Guido, vediamo come la scuola cattolica abbia rappresentato per lui un trauma: solo per il fatto di aver giocato con una prostituta ma con l’innocenza del bambino, il protagonista è stato umiliato dalla madre, poi è stato costretto a indossare il cappello da asino di fronte agli altri alunni, e addirittura è stato obbligato a inginocchiarsi sopra dei ceci come atto di penitenza. Il motivo che porta Guido a essere un inconcludente con le donne è, quindi, il senso di vergogna che non riesce a sradicare da questa figura, una pesante eredità del senso di umiliazione provato verso la madre e della repressione impartitagli dal dettame cattolico.

La claustrofobia si estende a macchia d’olio nella vita del regista, le scelte portano pressioni, le pressioni portano ansie, le ansie occludono le scelte; tutto è ridotto a una catena che non si spezza. Il film di Anselmi rimarrà, quindi, un’eterna incompiuta, mentre Fellini costruisce uno dei suoi capolavori proprio sul fallimento del suo protagonista.

8 e mezzo arriva, quindi, a confermare la potenza espressiva del suo cinema grazie all’assenza di cinema nell’anima stanca di Guido Anselmi, le mancanze dell’antieroe riempiranno gli spazi della narrazione nella quale è immerso, anche se i due film, quello di Fellini e quello di Anselmi, in fin dei conti si sovrappongono. Anselmi non è che un alter ego di Fellini, ma anche di tutti gli altri artisti, in un modo o nell’altro, perché in 8 e mezzo la condizione quotidiana del genio è descritta con cura minuziosa, senza edulcoranti.

Mi sembrava di avere le idee così chiare. Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi pareva di avere qualcosa di così semplice, così semplice da dire, un film che potesse essere utile un po’ a tutti, che aiutasse a seppellire per sempre tutto quello che di morto ci portiamo dentro. E invece io sono il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio niente. Adesso ho la testa piena di confusione, questa torre tra i piedi, chissà perché le cose sono andate così. A che punto avrò sbagliato strada? Non ho proprio niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso.

I voli, i viaggi, i sogni e i ricordi di Guido, però, non sono solo la chiave per farci comprendere quali disagi lo avvolgano, ma premettono al protagonista stesso di comprendersi. 8 e mezzo è un capolavoro assoluto e rimarrà per sempre uno dei migliori film della storia perché ragiona parallelamente sulla vita di un uomo quasi comune e su quella dell’artista in modo impareggiabile. Non solo è una pellicola di un Maestro che parla di Arte e Umanità insieme, è un’opera che ha aperto un filone infinito sul tema, rimanendo comunque la migliore di tutte nel genere. Stiamo parlando di meriti che vengono attribuiti a film come 2001:Odissea Nello Spazio, Il Padrino e pochi altri, per intenderci.

In 8 e mezzo siamo eternamente partecipi dell’illuminazione di Guido, del suo accettarsi come codardo e inconcludente, del suo essere così artisticamente umano e così umanamente artista.

Ci perdiamo, durante il finale, nella sua danza che unisce sogno e realtà, un atto di sincera accettazione del proprio Io, un fanciullesco e liberatorio girotondo che non scaccia via ansie e paure, ma le rende semplicemente quello che sono: un delicato tassello nel gioco della vita.

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