Perché in un momento storico come questo è importante riscoprire un capolavoro come Carrie di Brian De Palma? I motivi che hanno consegnato alla storia questo film sono molteplici: è il primo adattamento cinematografico di un romanzo di Stephen King, l’opera grazie alla quale la carriera di De Palma conobbe una svolta decisiva e, tra le altre cose, rappresenta uno di quei film horror che hanno contribuito a far svincolare il genere stesso da fastidiosi pregiudizi, per poi permettergli di approdare ai moli del cinema d’autore.
Ma, più di tutto questo, c’è forse un altro motivo per cui Carrie è un film da riconsiderare nell’ottica del presente: è un film che, nonostante il preciso contesto storico nel quale è ambientato e ideato, riesce a plasmare interessanti discorsi perfettamente in linea con i tempi moderni.
Carrie si potrebbe definire come la strana variazione del classico revenge movie. Un genere particolare e interessante, a tratti perfino controverso nel suo trattare in maniera così esplicita il rapporto tra la persona che subisce una violenza, solitamente una donna, e il contesto in cui ciò avviene.
Proprio da questo punto di vista, il film di De Palma, offre numerose suggestioni e spunti di riflessioni: la colpa dell’abuso che la giovane protagonista riceve non viene, infatti, relegata solamente a dei singoli individui, ma all’intera realtà in cui lei si trova a vivere. Una realtà che, non solo rispecchia profondamente le inquietudini degli anni ’70 vissuti da King e De Palma, ma che è in grado di comunicare anche con il presente.
L’inferno di Carrie
In ogni contesto della sua vita, Carrie è infelice e costantemente vessata da tutti. All’interno delle mura domestiche, la madre, patologicamente influenzata dal sacro timore di un Dio crudele, le ha sempre precluso ogni mezzo di felicità. Estirpa da lei tutti i deboli accenni di ribellione, condanna ogni timido tentativo di espressione di dolce femminilità.
Questo perché la madre si è sempre autorelegata nel ruolo di peccatrice innata, come se il suo essere donna, il sesso del peccato per antonomasia, secondo alcune interpretazioni radicali della Bibbia, l’avesse condannata in partenza. E decide, con la stessa arrogante autorità di quel Dio che teme, di affibbiare lo stesso ruolo alla figlia. Senza alcuna possibilità di ripensamento.
A scuola le cose non vanno meglio. Carrie è bullizzata dai compagni di classe per il suo essere così impacciata. Nella celebre prima, terribile, scena, Carrie ha il suo primo ciclo mestruale, evento di cui ignora l’esistenza, davanti alle altre ragazze della sua scuola che, percependo il suo spavento, non esitano a umiliarla brutalmente.
Perfino i professori, facendo valere il ruolo di autorità incontestabile, completamente insensibili a qualsiasi forma di emotività sprigionata dagli studenti, non si trattengono dallo sminuire la sua già fragile personalità. Uno di loro la prende in giro per un tema svolto, il preside sbaglia ripetutamente il suo nome, perfino la professoressa di ginnastica, l’unica che in effetti prende le difese di Carrie, viene in qualche modo vista dalla ragazzina come pervasa da una fastidiosa ipocrisia. Non è quindi un caso che, al termine della terribile notte del ballo di fine anno, tra i corpi martoriati dalla furia di Carrie, vi sia anche il suo [approfondimento: Carrie – Chi è davvero il vero mostro?].
Il nichilismo nel revenge movie
Perché è possibile considerare questo film un revenge movie? E, soprattutto, perché Brian De Palma ha posto particolare enfasi su questo aspetto? Quali sono i discorsi intavolati dall’opera che sono ancora attuali?
Poiché il vero colpevole dell’intera vicenda è l’intero contesto, non ci si può esimere dall’effettuare alcune considerazioni su di esso. La storia ideata da King è estremamente ambigua nel suo porre una critica. Vi è una sorta di demonizzazione vera e propria nei confronti di più generazioni; da un lato gli adulti, i professori e i genitori, così barricati dietro le loro idee bigotte e, nel caso specifico della madre di Carrie, anche patologiche e pericolose. Dall’altra invece troviamo i giovani, che sono inevitabilmente figli della generazione precedente e da cui hanno ereditato tutti i difetti.
Nel quadro sociopolitico del romanzo del re dell’horror, riportato anche nel film, non avviene tanto uno scontro tra una mentalità arretrata e una radicalmente progressista. Non c’è quasi nessuna distinzione tra il vecchio e il nuovo, tra passato e futuro. O, perlomeno, non c’è agli occhi di Carrie, proprio quegli occhi oramai offuscati dal sangue caduto dall’alto e dalla rabbia scaturita dalle umiliazioni perpetue.
È quindi presente un nichilismo invalicabile in questa storia, una condanna che non ammette redenzione. E Carrie, una volta capito ciò, si adegua alla crudeltà del mondo. Lei, pura come nessun altro, inaccessibile al concetto stesso di malvagità, prende infine parte al flusso maligno a cui è stata da sempre sottoposta. In una maniera che ha quasi del religioso, estirpa il male una volta per tutte, uccide chiunque si sia fatto portatore di sofferenze altrui senza risparmiare nessuno, neanche se stessa.
Queste caratteristiche, se traslate in un altro contesto, sono le stesse che muovono la narrazione di un classico revenge movie. La ragazza che subisce violenza viene rappresentata come innocente in ogni contesto, ma una volta subito il torto qualcosa cambia, come se l’atto terribile sprigionasse parte della cattiveria di chi l’ha commesso nel corpo e nella mente della fragile vittima.
Nessuno può salvarsi
Brian De Palma parla del suo presente. Tuttavia, incredibilmente, i discorsi riguardanti quel periodo sono ancora attuali. Lo dimostrano gli eventi, molti dei quali tristi, che vedono la luce sempre più frequentemente. Lo dimostra il cinema contemporaneo, sempre più attento nel delineare i rapporti malsani che ancora oggi spezzano vite.
Carrie è quindi un film che non ha perso un briciolo della sua potenza né dal punto di vista semantico né da quello stilistico: la crudeltà rappresentata è, anzi, ancora più ineluttabile di quella percepita oggi. L’intero sistema è coinvolto nella sofferenza dei singoli e l’unico, definitivo, modo per sbarazzarsi di questa pena è la distruzione totale. Nessuno può salvarsi. Nessuno, in Carrie, si salva. Neanche chi rimane in vita.
Perché anche chi è sopravvissuto, o per fortuna o per alcune sue buone azioni, vivrà comunque per sempre preda degli incubi, di sogni segnati da urla spezzate di volti che non rivedrà più e da mani insanguinate che sbucano dal suolo.