Carlito’s Way – La redenzione di un gangster
Questa pellicola autografata da Brian De Palma è decisamente un caposaldo massimo del genere gangster movie. Carlito’s Way è un altro di quei film passati nello stivale italico con la rapidità di un fulmine e il poco clamore di una classica e prevedibile pioggia autunnale. Strano a dirsi, ancora di più a credersi.
Questo film ripropone lo splendido matrimonio artistico tra De Palma e Al Pacino. Dopo il primogenito Scarface (1983), in questo articolo si parlerà del secondogenito (1993), una pellicola magistrale che reclama le più giuste e meritevoli attenzioni. Un film che, dal punto di vista empatico-psicologico, probabilmente riesce anche a superare il livello del cult eterno con l’antieroe Tony Montana protagonista.
Se il protagonista Carlito Brigante nel corso della storia deve intraprendere un tortuoso cammino di redenzione, lo spettatore che ha ignorato questa pellicola annovera nella lista dei suoi peccati una delle nefandezze più abiette e meschine.
Carlito Brigante è un portoricano appena uscito di prigione, un’anima vagante in cerca di redenzione e rinnovamento di spirito, un’anima tuttavia ancora vincolata a un ambiente criminale che non vuole renderlo libero.
Il protagonista di Carlito’s Way ha compreso la dura lezione di vita del carcere, esperienza che segna profondamente chiunque. La decisione di Carlito è ormai presa: allontanarsi dal contesto criminale e fuggire per sempre da quella realtà.
Ma i sogni e le buone intenzioni si infrangono rapidamente in quell’ambiente di compromesso, malsano e avido. Pertanto Carlo, implorato da un suo giovanissimo nipote, accetta di accompagnarlo a un acquisto di una partita di cocaina. Inizia l’ingresso nel nuovo inferno: località simbolica, metafisica, e talvolta letteralmente terrena, che il buon Brigante conosce già alla perfezione.
La scena cult del biliardo è descritta sontuosamente da una resa scenica formidabile, un piano sequenza spettacolare. Quello che doveva essere un fugace scambio di una trattativa illecita diventa un inganno: il nipote di Carlito viene sgozzato. Carlito dopo aver osservato la sagoma del killer riflessa negli occhiali dello scagnozzo riesce a estrargli la pistola e a uccidere tutti quei balordi, riportando una semplice ferita. Brian De Palma è anche un maestro di tecnica.
L’incipit rappresenta l’epilogo stesso della storia, i primi minuti di Carlito’s Way sono accompagnati da un sonoro sordo, malinconico, svuotato e drammatico.
Una carcassa di un uomo ferito che impatta sordamente sul terreno, il rumore di una pistolettata rallentata e la figura di Carlito Brigante che viene sballottolata su una barella del pronto soccorso. Una sviolinata triste e il focus che ripropone lo stravolto punto di osservazione di uno dei gangster più amati di sempre.
Brigante è rilasciato, è finalmente un uomo libero dopo cinque interminabili anni di prigione, il suo inseparabile amico è l’avvocato David Kleinfeld (Sean Penn), avvocato penalista che è stato decisivo per le fortune giudiziarie di Carlito e che deve a sua volta molti dei suoi successi al suo assistito, che è riuscito a garantirgli altri malavitosi clienti. Un’amicizia, una partnership, un rapporto cementificato da fiducia e rispetto.
Se Carlito vuole intraprendere un cammino di redenzione, David sta repentinamente imboccando il cammino dell’autodistruzione. L’avidità di guadagno, un imbroglio pericoloso a un boss di origini sicule e la passione smodata per la cocaina stanno minando la sua carriera e la sua vita.
Carlito è risucchiato nella spirale della tensione e del pericolo, anche per colpa del suo amico David. Il gangster comprende che la maledetta trappola di questa sporca vita prosegue anche, se non soprattutto, proprio dopo la pena detentiva. Brigante è ancora in trappola.
Carlito, ormai stanco e consumato, incontra la ballerina Gail, donna di cui è perdutamente innamorato. Ora l’uomo non cerca solo redenzione, espiazione e cambiamento, può azzardare un’altra richiesta alla vita: «vivere l’ultimo sogno». La somma di settantacinquemila dollari è ciò che serve per concretizzarlo, il frutto dei proventi del night El Paraíso, nome evidentemente programmatico e rivelatorio.
La dicitura che appare a inizio film è eloquente: «Escape to Paradise». Assaggiare uno spicchio di puro paradiso in compagnia della donna amata, dopo il sangue, la violenza e la miseria dell’inferno vissuto. Fuggire in Paradiso, il cammino, la via di Carlo Brigante (Carlito’s way) ha nel mirino la meta più irraggiungibile, un luogo la cui esistenza stessa non è cosa appurata.
L’orgoglio e il desiderio di sognare devono necessariamente rimarcare l’ultima espressione di uno dei gangster più romantici e amati del cinema. Questa è la strada di Carlito.
Il vecchio gangster non può assaporare la tranquillità e la gioia del paradiso, tutto si è fermato a un utopico miraggio. Prima di prendere quell’agognato e ambito treno per Miami, primo passaggio per il viaggio verso il paradiso, Carlito dopo aver seminato i mafiosi siciliani, viene fatto fuori da Benny Blanco, gangster pazzoide e megalomane della nuova leva che ha avuto una soffiata dal presunto amico di Carlito, Pachanga.
Il cammino di redenzione intrapreso resta sospeso, fermo a metà strada.
Ora non resta che la speranza per «un nuovo e migliore Carlito», la speranza che moglie e figlio vivano lontani e sereni, per sempre. Un epilogo amaro e commovente. L’illusione e la speranza s’incontrano nell’ultimo sguardo perso, orgoglioso e sognante di Carlito, la visione dell’amata donna che balla felice nel tramonto di un lido lontano. L’utopia muta in un’amara e dolce apparizione.
Il paradiso per un criminale così non può esistere, ma forse per quel “nuovo e migliore Carlito”, c’è ancora una speranza.