Se c’è una serie che prende sul serio le fondamenta delle sceneggiatura, quella è Boris. Poi però le prende anche a martellate. O a Martellone.
Tra i basilari principi di sceneggiatura se ne annovera uno conosciuto come “principio della pistola di Cechov” che sancisce questo: se in una storia compare una pistola, prima o poi dovrà sparare.
Estendendo l’enunciato del principio, ciò che si vuole comunicare è che nello scrivere le sceneggiature bisogna stare attenti a non includere nella scena alcuna informazione, parola, allusione, oggetto che non trovi in futuro un significato concreto per lo spettatore.
Insomma, nessuna pistola che poi non spari (per ferire, s’intende).
Planting
Questo principio risponde anche alla procedura del planting, ovvero il processo che dalla semina dell’informazione, passa da una fase di sfruttamento di questa, per poi arrivare al raccolto.
Se adesso siete un po’ confusi e siete tornati verso il titolo di questo articolo per assicurarvi di non essere finiti nella rubrica di “Botanica & Giardinaggio” vi voglio rassicurare, sto ancora parlando di cinema.
La semina infatti riguarda un’informazione che si offre parzialmente allo spettatore per poi rilasciarne la parte mancante sul finale, come raccolto di questo momento di attesa di disvelamento dell’informazione, detto sfruttamento, tutto a scapito del protagonista, nel senso che si sfrutta l’ignoranza di questo sul fatto che al pubblico è già stato preannunciato.
ESEMPIO: a favore di telecamera, ma a parte dagli altri protagonisti, si mette una pistola in mano ad un personaggio visibilmente squilibrato (semina), lo si fa entrare in un set televisivo armato senza che la troupe lo sappia (sfruttamento), poi all’ultimo gli si fa estrarre l’arma e minacciare un addetto ai lavori particolarmente loquace (raccolto, di materia cerebrale, si prospetta).
Boris 4 ovvero, come non scrivere una serie
Insomma, repetita iuvant: nessuna pistola che non spari.
Questo almeno sarebbe stabilito nei principi cardine della sceneggiatura.
Va però detto che oggi parleremo di Boris 4, dunque, noi, con i principi base della sceneggiatura, per dirla in maniera edulcorata, ci faremo della carta igienica, perché in fondo, per citare Il Maestro, certa serialità italiana fa il contrario di Re Mida: quello che vuole è trasformare l’oro in merda.
Ed è molto più divertente così.
La pistola di Guzzanti

Essendo un articolo carico di spoiler e destinato alla mera fruizione di chi già ha visto la serie (o di chi ha bisogno di fare finta di aver visto la serie con gli amici) non mi dilungherò sulla trama di Boris 4, né vi ripresenterò per l’ennesima volta cast e interpreti, se ancora vigesse una distinzione fra le due cose.
Io ad esempio non so se nella vostra mente di millennial esiste ancora una distinzione fra Corrado Guzzanti e il personaggio di Mariano.
Quello che so è che al netto di tutto, vecchie glorie e nuovi tormentoni, puntate briose e altre piatte come il mio encefalogramma durante le interrogazioni di matematica, Corrado Guzzanti più degli altri si fa da Caronte efficace fra le gloriose prime serie e questo apprezzabilissimo reboot, innovando il suo personaggio senza perderne l’essenza: ovvero quello di colui che sta facendo uno sforzo per non menarti, ed anche colui che alla fine ti menerà.
Seminare il terrore…
“I bambini a quell’età, così piccoli, sono delle spugne, assorbono tutto, imparano tutto […] l’innocenza del colpo, la gioia dell’esecuzione, io credo che tutti noi dovremo re imparare a guardare le armi con gli occhi dei bambini”
Questo è il romantico consiglio offerto dal nuovo Mariano nel settimo episodio, reduce da un gangster serial girato in America, alcova del suo novello amore per le armi che porta sempre con sé, rivolto ad una scettica Arianna che proprio quel giorno ha portato suo figlio sul set.
Quello che fanno gli sceneggiatori (quelli reali, se è mai esistita anche qui una vera distinzione) è seminare senza sosta e in tutte le direzioni un potenziale dramma perfetto: c’è uno squilibrato con la pistola, una troupe intera di persone che possono irritarlo, un bambino che si aggira indisturbato per il set.
E mentre Mariano decanta le gioie della vita a mano armata e il figlio-spugna di Arianna si nasconde nei container della troupe, Renè, angosciato dal dubbio amletico del continuare a produrre merda o entrare finalmente nell’olimpo del Grande Cinema, esprime il suo tormento come ci esprimiamo tutti, con la leggerezza di chi vive in un paese in cui non vige la libera detenzione di armi: “vorrei spararmi”
Cosa raccoglieremo dunque? Il figlio di Arianna apprenderà la gioia delle armi? Mariano gli sparerà? La pistola di Cechov esaudirà il figurato desiderio di Renè?
…e farlo raccogliere a Stanis
Nulla di quanto pronosticato: la pistola di Guzzanti sparerà, dalla mano di Stanis, verso il monitor di una camera. Niente di più, nessun morto, neanche un ferito, la pistola finisce in mano di Arianna in conclusione di puntata e non ne viene specificata la destinazione finale.
Se ora voi pensate che sia semplicemente il giusto finale per l’episodio di una serie comica, o ci avete letto un riferimento ai Quaderni di Pirandello, avete ragione certamente, vi invito però a fare un passo avanti:
Boris è, per sua definizione, uno sforzo comunitario nella direzione di tutto ciò che non si deve fare per fare una serie di successo.
Non sono solo gli sceneggiatori fittizi a contravvenire ai canoni della drammaturgia delle serie di successo, ma anche quelli reali, e paradossalmente, o forse provocatoriamente proprio per questo realizzano una serie di successo.
Mindblowing.
Boris: La strada dell’inferno è lastricata di quarte stagioni
Non è l’unico canone a venire infranto: ad esempio, anche il mistico “o’dimo” rappresenta tutto ciò che non si dovrebbe fare in una sceneggiatura, per scrivere la quale bisogna ricordare che in cinema l’immagine ha sempre precedenza sulla parola e dunque mai far dire ai personaggi quello che può essere mostrato*
(*purchè rientri negli 80 euro di budget)
Questo gli sceneggiatori reali lo sanno, e lo sanno anche gli sceneggiatori fittizi, ma scelgono di ignorarlo. Un’altra cosa che gli sceneggiatori reali hanno purtroppo ben presente è la morte di Mattia Torre e anche in questo caso gli sceneggiatori fittizi sanno e scelgono di ignorarlo.
La presenza fantasmatica del personaggio di Torre fra gli scrittori, non vivo eppure presente nella stesura del copione de Gli occhi del cuore sacro di Gesù è quanto più rivelativo dell’essenza dell’arte comica io mi potessi mai aspettare.
E se adesso voi vi aspettate che vi riveli questa essenza, mi dispiace dirlo che come nei migliori buchi di trama, io proprio cosa sia non lo so, e se lo so ignoro come si metta in parole.
Facciamo allora che, al contrario, o’ famo, così:
