«Finché il re è sano e salvo, tutte [le api] la pensano in egual maniera, | ma, perduto il re, il patto è infranto.»
(IV, 212-213)
(Rege incolumi mens omnibus una est; | amisso rupere fidem.)
La mia Venezia 82 si apre con l’ultima fatica di Yorgos Lanthimos, un horror country che mescola miti antichi e paranoie contemporanee, e non potevo essere più felice di così.

Innanzitutto perché Bugonia, nella sua spietata ironia e amore per il grottesco, si trova un po’ a metà strada tra Ari Aster e i fratelli Coen. Del primo ho ritrovato una profonda critica sociale, mascherata da una narrazione ‘di genere’ e quasi bulimica nella sua volontà di raccontare l’odierno cercando di mantenerlo universale. Dei secondi invece ho visto lo sguardo sui margini e l’ironia di chi conosce il proprio pubblico e può permettersi di giocare con le aspettative.
La Georgia è il teatro di questa tragedia, ma solo perché è lì che vive Teddy, il nostro protagonista complottista e apicoltore proprio come Aristeo, protagonista del mito della bugonia, che oltre ad essere l’ultimo film di Lanthimos, è il titolo di un noto episodio delle Georgiche di Virgilio.

L’incipit è sostanzialmente lo stesso: le api di Aristeo stanno morendo e nessuno sa perché. Tranne un dio, Proteo, che, interrogato, rivela che si tratta di una punizione divina per aver causato, seppur inavvertitamente, la morte di Euridice, promessa sposa di Orfeo.
Teddy, a differenza di Aristeo, non può discuterne direttamente con gli dei, ma deve accontentarsi dell’amministratore delegato di qualche multinazionale, Emma Stone in questo caso, per avere spiegazioni su un destino che sembra inelttuabile: il suo.
«Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità.»
(Pier Paolo Pasolini)

La Georgia di Bugonia non è l’Atlanta dell’omonima serie di Donald Glover.
Quelle ritratte da Lanthimos sono le strade di campagna delle aree più remote degli States. Il macchinone del C.E.O. e la bicicletta di Teddy percorrono le stesse strade. Si fermano negli stessi parcheggi vuoti e desolati che puoi trovare nei primi film di Korine e di Linklater.

In effetti Bugonia pare avvicinarsi più a Gummo di Korine che a Poor Things dello stesso Lanthimos. Dall’ambientazione degli Stati Uniti sud-orientali, alla condivisione di uno sguardo sul disagio e sui paradossi di un paese sempre più diviso internamente. Eppure Lanthimos è diverso. Il suo sguardo da europeo rende la narrazione più matura e distante rispetto alla brutale vicinanza con cui Korine raccontava il disagio e partecipava a quel disagio. Lanthimos è più commerciale, e non c’è niente di male in questo.

La trama di Save the green planet!, dark comedy coreana del 2003 di Jang Joon-Hwan è stato indubbiamente il punto di partenza di Lanthimos per costruire Bugonia, tanto che sembra a tratti un remake. La frattura sociale da cui scaturisce il disagio è la stessa, ma cambiano i toni e cambia l’estetica, che si mescola con la Georgia e con le Georgiche.
Sembra una banalità, ma l’America rurale, lontana dalle metropoli, dalla folla e dal delirio, dove l’essere umano è più solo e quindi anche più vero e più ancestrale, è il posto perfetto dove scovare delle verità profonde sulla natura, umana e non.

Alla fine del mito della bugonia, dalle carcasse dei tori, offerti da Aristeo in sacrificio, nascono spontaneamente delle api.
Fino al 1864, più o meno tutti gli occidentali, credevenao nel principio della generazione spontanea della vita.
Tranne Luis Pasteur che, con la mentalità del complottista, ma la metodologia scientifica dell’Accademia delle scienze di Parigi, confuta definitivamente questa teoria con un esperimento pubblico, e afferma: «mai la teoria della generazione spontanea potrà risollevarsi dal colpo mortale inflittole da questo semplice esperimento.»
La scienza viene piegata dal disegno distorto dell’uomo, che non è in grado di coglierne davvero la complessità e può limitarsi solo ad afferrare dei fenomeni. Teddy crede negli Andromediani e ha una spiegazione razionale per tutto, o quasi. La narrazione ufficiale è menzognera, la verità è sui blog, nei podcast (lol) e nei video su Youtube, sicuramente non sui giornali.
Il suo fine è condivisibile e, da ecologista quasi miyazakiano, mi sento di dire che Teddy è un po’ Nausicaä, la principessa della Valle del vento, ma con il vento a sfavore e con i mezzi sbagliati.
Ah e non è nemmeno una principessa.
Semplicemente ha capito qualcosa che nessun altro ha capito e nessuno, tranne suo cugino Don, lo ascolta davvero finché non decide di ricorrere all’unica arma che gli resta per essere ascoltato: la violenza.

«Non date troppo ascolto a quello che sentite in tv e soprattutto ai telegiornali. Ascoltate i vostri amici, i vostri eroi, i vostri amori, quelle sono le cose che contano.»
(Vasco Rossi)




