«Il posto più freddo è qui proprio dentro al mio letto»
(Il posto più freddo, I Cani)
È la fine dell’amore?
E se fosse andata diversamente?
E se cominciassimo da capo?
Se dopo aver vissuto l’errore, il problema, ci riprovassimo?

14 febbraio 2004
Joel si sveglia di cattivo umore su di un letto vuoto. È la mattina di San Valentino. È disorientato. Sentiamo la sua voce, sta scrivendo «pensieri sparsi per il giorno di San Valentino». Sale in macchina e va verso la stazione dei treni. Decide di prendere un treno per Montauk, ma non sa perché. Compie una scelta impulsiva, lui che non è un tipo impulsivo. Arriva in spiaggia, tira fuori il quaderno su cui scriverà i pensieri che stiamo ascoltando e trova delle pagine strappate. «Non mi ricordo di averlo fatto», dice.

In lontananza, mentre cammina sulla battigia, vede una donna. Felpa arancione con cappuccio e dei capelli azzurri. «Se riuscissi a incontrare qualcun’altra» dice ancora Joel che non sa perché è là, che ha notato quella ragazza ma non ha il coraggio di avere un contatto visivo con lei. Non sa chi è, non può sapere chi è. Eppure ha amato quella donna. L’ha amata fino al giorno prima. Penserà di averla cancellata, dimenticata, ma tornerà in quella spiaggia e la reincontrerà.


Anche Mia rincontrerà Sebastian nel finale di La La Land, sempre in quel jazz club. Lui starà suonando e lei lo starà ascoltando e penserà alla vita che avrebbero avuto se quel rapporto fosse continuato, se avessero amato la loro vita assieme oltre che il loro rapporto. L’uno e l’altra.
E se fosse andata diversamente? Loro due non si sono cancellati come Joel e Clementine, si ricordano.
Ma cosa si direbbero dopo che la vita è andata avanti?

Forse solo un intenso e mai banale «Come stai?», come Genevieve canta a Guy nel finale de Gli ombrelli di Cherbourg. Si sono ritrovati in un benzinaio. Si cantano poche parole mentre fuori la neve scende a fiocchi. Ognuno ha la propria famiglia. La vita è andata avanti per entrambi.
Ma l’amore? Quell’amore? Che fine ha fatto? «Sto bene» risponde Guy.
Cosa potrebbe rispondere?
Cosa direbbe Joel a Clementine dopo aver tentato di cancellarla?
Cosa direbbe Mia a Sebastian dopo aver immaginato «come sarebbe stato se»?

Forse si vorrebbero dire solo quello che Jane dice a Travis attraverso uno specchio nel finale di Paris, Texas: «Non andare, Travis. Non ancora, ti prego. Io… ho immaginato spesso di parlare con te in questi anni. Parlavo con te a fior di labbra ogni volta che ero sola. E adesso invece non so più che cosa dire. Non mi viene niente. Era più facile senza averti di fronte. […] Era come se tu fossi presente.»
E guardandosi negli occhi, riconoscendosi ancora, amandosi, forse, ancora, come potrebbero mai pensare di cancellarsi a vicenda?
Si sono già detti addio?
Ci si dirà mai addio?

«Ti prego, rimani con me ancora un momento
Ti prego, rimani con me fino a che mi addormento»
(Il posto più freddo, I cani)
«We’re just two lost souls swimming in a fishbowl.
Year after year»
(Wish you were here, Pink Floyd)
1975, Abbey Road Studios
I Pink Floyd stanno incidendo la loro storia. Stanno suonando per la prima e ultima volta un album che continueranno a suonare per la prima e ultima volta e che, da sempre, hanno suonato per la prima e ultima volta. Un album che è sempre stato là, che se ne andrà e tornerà, che eternamente col suo dolore e col suo amore, ritornerà. Stanno incidendo Wish you were here (1975).

Un uomo entra negli studi. È un uomo grasso, calvo e silenzioso. Vaga, poi si siede e sta ad ascoltare. Nessuno dei Pink Floyd lo riconosce, ma nessuno lo caccia. Ad un certo punto l’uomo grasso, calvo e silenzioso, chiede «Dove entro con la chitarra?». Roger Waters lo osserva mentre pizzica le corde del suo basso. Forse ha capito chi è e forse, proprio per questo, non sa cosa rispondere alla sincera domanda di quell’uomo. Non sa cosa rispondere al suo vecchio amico Syd. Forse perché non si sono mai detti addio. Forse perché come Joel e Clementine non riescono a dirsi addio.
I Pink Floyd, proprio come Joel, potrebbero mai cancellare Syd, quel diamante pazzo?
Ci si dirà mai addio?
«Almeno torna indietro ed inventati un addio.. Facciamo finta che ci sia stato»
(Clementine a Joel)
«Running over the same old ground, what have we found? The same old fears»
(Wish you were here, Pink Floyd)

26 gennaio 1968, Southampton
I Pink Floyd sono in ascesa. Sono piombati nella musica rock come un fulmine a ciel sereno con The Piper at the Gates of Dawn (1967). Ma non sono ancora i Pink Floyd che conosciamo. Sono qualcos’altro. Sé stessi ma non ancora consapevoli di sé stessi.
Uno di loro, quella mattina di gennaio prima di partire per andare a suonare a Southampton, chiama l’autista del bus e chiede di saltare una tappa del viaggio. Chiede di non andare a prendere il loro diamante pazzo: Syd Barrett. Sul bus qualcuno domanda timidamente «Andiamo a prendere Syd?», e qualcun altro, forse proprio Roger, risponde: «Non disturbiamoci».

Non c’è stato un addio. Non lo hanno salutato.
Tutti sapevano che quel giorno sarebbe arrivato. Syd, tra le droghe e i suoi dolori, era solo un ragazzo «incasinato che cerca solo la sua pace mentale», che non è perfetto, come dice Clementine a Joel. Roger e i Pink Floyd sanno che sono anche, in parte, Syd. Che lo amano quel diamante pazzo. Eppure devono abbandonarlo.
Quando con Wish you were here scriveranno, suoneranno, ricorderanno «you painter, you piper, you prisoner, and shine!», allora capiranno chi sono, si riconosceranno e con la malinconia più sincera, l’accettazione più dolorosa, ma il più felice ricordo, gli diranno:
«How I wish, how I wish you were here»
(Wish you were here, Pink Floyd)
«È già finita tra noi, lo so
Me lo ricordo bene»
(Il posto più freddo, I Cani)
27 gennaio 1968
Come Joel, anche Roger e Rick e Nick, la mattina dopo quel concerto monco e incompleto, si svegliarono nel «posto più freddo» che «è qui proprio dentro al mio letto», da soli, con la speranza di aver dimenticato e la paura di averlo fatto realmente. Non sanno che Syd non se ne andrà mai, che con Wish you were here lo faranno risuonare idealmente con loro, che il ricordo e l’amore non potranno mai essere cancellati.
Loro lo impareranno, lo accetteranno.
Capiranno che non è cancellando Syd che potranno superare la sua musica e la sua presenza. Lo capiranno Mia e Sebastian con quell’ultimo sguardo; Genevieve e Guy con quell’ultimo «come stai?»; Jane che riabbraccia suo figlio e Travis che ritorna a vagare.
Allora non ritentare Joel. Non pensare di ricominciare da capo Clementine. Non ci sarà un altro finale e la storia sarà sempre la stessa. Dovete accettarlo. Cancellando non vi lascerete mai, non vi capirete mai e non vi amerete mai.
Non immaginatevi felici, ma ricordatevi felici.

In fondo non vuoi realmente cancellare Joel, né tu Roger, né tu Rick, né tu Nick. Vorreste tutti che Clementine o Syd fossero ancora lì, con voi.
Ma va bene così.
Se vi cancellate, se ci riprovate da capo, non saprete mai distinguere «a green field from a cold steel rail». Vi penserete lontani, distanti, ma sarete sempre così vicini. Ciò che è stato sarà stato bello per ciò che è stato, quell’okay non sarà un loop ma un’accettazione e alla malinconia saprete rispondere «con un solco lungo il viso, come una specie di sorriso.».





