La routine devasta l’essere umano, e lo fa da sempre. Ogni giornata comincia e termina sempre allo stesso modo. I cicli si ripetono. I tentativi di sfuggirne sfociano in un’evasione temporanea, che inevitabilmente vede la fine col ritorno alla vita di tutti i giorni. Questa condizione di ripetitività è quella che meglio descrive i personaggi di Edward mani di forbice, favola cinematografica moderna diretta con maestria da Tim Burton.
In una cittadina con case monocromatiche e strade geometricamente impeccabili, la giornata inizia. I mariti escono per recarsi sul solito luogo di lavoro, le mogli annoiate rimangono a casa cercando di occupare il tempo con stupidi pettegolezzi, e i figli vanno a scuola. L’apice dell’ipocrisia etica è raggiunto alla fine della giornata, quando le famiglie si riuniscono a tavola.
A scuotere questo equilibrio fatto di frivolezze e superficialità è l’arrivo di una novità, una diversità: Edward, uomo bionico lasciato incompleto dal suo inventore, con delle forbici al posto delle mani, magistralmente interpretato da Johnny Depp, con una empatia verso la condizione del personaggio straordinaria.
Ecco il momento in cui la noia, che deriva dalla ripetitività, lascia spazio allo stupore causato da un inatteso cambiamento, che a sua volta diventa attrazione per quella che sembra essere l’unica possibile via di fuga dalla monotonia. Come un bambino, che tra un giocattolo utilizzato centinaia di volte e un altro nuovo e luccicante, si getta sul secondo, gli abitanti della schematica cittadina concentrano tutta la loro attenzione su Edward, mettendo da parte le abitudini.
È lecito chiedersi: l’interesse nei confronti di Edward nasce da una genuina voglia di conoscere chi è realmente, o è dovuto esclusivamente alla sua peculiare caratteristica e al fatto che egli sia una novità?
In questa ottica il film suggerisce una chiave di lettura che porta tristemente a pensare alla seconda ipotesi. È rappresentata una società malata, che ad eccezione di pochi individui, non riesce a valutare cosa ha attorno con occhio critico in base a un’analisi, razionale o emotiva che sia, che riesca a oltrepassare la barriera dell’esteriorità. Una società che preferisce una scatola chiusa, purchè addobbata in maniera atipica e stravagante, a quello che vi è contenuto.

Fortunatamente a questo affresco, tanto disfattista e demoralizzante quanto rappresentativo, si affiancano due principali eccezioni. Troviamo Peggy (colei che incontra Edward per la prima volta e lo porta in città come suo ospite), e Kim (figlia maggiore di Peggy): due cuori puri.
Quello che le accomuna è la capacità di affezionarsi autenticamente a qualcuno, e non alla figura archetipale di fuga dalla realtà che quel qualcuno può rappresentare. In uno scenario collettivo, che gioca con le persone come fossero burattini per poi buttarle via quando diventano conosciute e noiose, esistono comunque anime oneste in grado di remare controcorrente, capaci di amare in ciascuna possibile accezione del termine. Remare contro un torrente di falsità e sfruttamento del prossimo come mezzo di autocelebrazione in due risulta però impossibile.
I remi si spezzano. La corrente trascina via. L’unica possibilità rimane lasciarsi andare, senza comunque mai distogliere lo sguardo dalla sorgente a cui si puntava.

Il ritorno di Edward al suo luogo di origine è inevitabile. Peggy, che nonostante le buone intenzioni è troppo influenzata da una lasciva apatia causata dall’esperienza, ne prende atto a malincuore. Kim, che per mancanza di disponibilità temporale non è stata contaminata dal germe del cinismo, né tantomeno ne ha preso coscienza, sente un fuoco ardere dentro e non vuole accettare la dura realtà delle cose. Ma purtroppo è così.
Cercare la purezza e la bellezza, sebbene l’aridità circostante dia un senso di soffocamento, è una strada ardua. Nonostante questo, arrendersi non fa altro che peggiorare le cose. Chi è salito sull’agevole pendolo che oscilla tra noia e stupore, non può più scendere una volta che il tempo è trascorso ed è stato raggiunto un andamento a pieno ritmo. La dipendenza consumista verso qualunque mezzo che possa fare raggiungere livelli di stupore soddisfacenti diventa irrefrenabile.
Come ci mostra però Edward mani di forbice una soluzione c’è, anche se il messaggio non è identificabile in modo esplicito, ma si può riscontrare solo grazie a una attenta analisi degli unici rapporti reali che vengono costruiti durante tutta la pellicola.
Si può scendere dal pendolo quando non è ancora troppo tardi. Circondarsi di verità, di persone con le quali poter scambiare con vicendevole naturalezza, è la chiave per scendere dal pendolo e riuscire a trascendere da tutto ciò che appare come una gabbia di ripetitività.




