Shining – Il terrore dietro la graduale corsa verso la follia

Alessandro Fazio

Luglio 26, 2017

Resta Aggiornato

Nel 1977 la mente geniale di Stephen King produce quello che è considerato, nella letteratura horror, uno dei romanzi capolavoro del XX secolo: The Shining.

Tre anni dopo, nel 1980, un altro genio, Stanley Kubrick, esplora il genere horror cinematografico, adattando piuttosto liberamente il romanzo, e realizza un film di cui è autore della sceneggiatura (con Diane Johnson) e regista.

Kubrick sceglie un attore già affermato come Jack Nicholson per il ruolo di protagonista, mentre affida a Wendy Carlos, Rachel Elkind, Bela Bartok e altri importanti compositori dell’epoca la creazione della colonna sonora.

Alcune tecniche di direzione e l’analisi della colonna sonora ci aiuteranno a capire perché Shining sia così terrificante e come lo spargimento di questa paura sia inesorabilmente graduale.

Il modo in cui viene raccontato Shining non è affatto casuale. Infatti, se consideriamo il valore che il tempo e la sua segmentazione assumono, possiamo individuare una forte e costante accelerazione cronologica, la quale porta la descrizione degli eventi gradualmente da mesi a settimane, da giorni a ore.

Questa tecnica narrativa non fa altro che aumentare (anche inconsciamente) la suspense per lo spettatore. In questo modo quest’ultimo sente che più passa velocemente il tempo più si avvicina il momento in cui succederà qualcosa di terribile.

A proposito della suspense e dell’attesa di eventi catastrofici, concentriamo la nostra attenzione sul primo tassello fondamentale: quello della musica. La colonna sonora, come spiega W. Carlos, è ottenuta dall’unione di classici sintetizzatori che intonano il segnale con un accordatore, chiamato Circon, che permette di avvicinarsi a delle ottave pure.

Tuttavia, indipendentemente dalla tecnica di creazione, il messaggio comunicato da questo insieme di suoni è chiaramente quello di inquietare, tenere sulle spine e rendere ambigue le impressioni dello spettatore sulla scena che sta osservando.

Pensiamo, infatti, a come la musica inquietante sia utilizzata in momenti in cui, di fatto, non succede assolutamente niente: lo spettatore si aspetta che da un momento all’altro ci sia un colpo di scena, ma la sequenza prosegue senza particolari scossoni.

Due aspetti danno questa ambiguità: da un lato, l’istintiva sensazione di disagio e di prudenza che l’uomo prova quando viene catapultato in una situazione che non riesce ad interpretare; dall’altro, il fatto che, in altri momenti del film, la musica è effettivamente accompagnata da colpi di scena o di paura particolarmente incisivi.

shining
Jack Torrance al bar

Un discorso simile, ma slegato dalla musica, può essere applicato al ruolo dell’Overlook Hotel. Nello Shining di King, l’albergo sembra quasi avere vita propria, accentuando quella parentesi paranormale che nel film di Kubrick vediamo solo sfiorata.

La malvagità nel libro è infatti legata al luogo, all’Hotel, non alla follia del protagonista Jack Torrance. Nel film assistiamo invece a una via di mezzo: Jack è un uomo problematico, ma è la permanenza nell’albergo che lo rende un folle.

Kubrick ci mostra un Overlook Hotel incredibilmente piacevole alla vista, accogliente, spazioso e ben illuminato; proprio queste caratteristiche positive, con la consapevolezza che in quel posto accadono cose terribili da sempre, formano quell’ambiguità che sfocia in paura e orrore.

Questo orrore, come è chiaro, non è solo dei protagonisti della storia, ma soprattutto per chi guarda il film; Kubrick pensa bene di creare inquietudine anche quando, come abbiamo visto con la musica, non ci sarebbe, in teoria, un vero motivo per avere paura.

L’altro modo per ottenere questo risultato è sfruttare alcuni tipi di movimenti di macchina e inquadrature cinematografiche; in particolare, mi riferisco all’utilizzo rispettivamente della steadycam e dello zoom.

La steadycam è un movimento di macchina che consiste in un’imbracatura composta da ammortizzatori e contrappesi. Permette al cameraman di camminare, eliminando ogni genere di sobbalzo e quindi rendere la ripresa fluida e continua.

Kubrick lo utilizza al posto del “carrello” per filmare delle soggettive. Pensiamo ai casi in cui la telecamera segue Danny sul triciclo che esplora i corridoi dell’hotel. L’obiettivo, ovviamente raggiunto, è quello di creare una crescente suspense legata a due fattori: fino a quando il bambino non svolta col triciclo, non sappiamo cosa ci può essere nel corridoio successivo; questo movimento permette poi allo spettatore di sentirsi costantemente inseguito e, inconsciamente, mai solo.

L’inquadratura invece usata da Kubrick per rendere particolarmente incisivi alcuni (e non tutti) momenti del film in cui viene adoperata è quella dello zoom. Osservando questo modo di zumare non si può non pensare ai western targati Sergio Leone, in cui la figura intera si trasforma immediatamente in un primissimo piano.

In Shining possiamo pensare a una delle scene più famose, quella in cui Wendy, grazie allo specchio, riesce a leggere correttamente la parola scritta col sangue sulla porta da Danny: redrum, cioè murder (omicidio). In quel momento, la sequenza stringe velocemente sulla scritta, con un impressionante e spaventoso picco di musica.

Altro caso interessante in cui questa inquadratura si utilizza è il momento delle visioni di Danny, nello specifico quella relativa alle due gemelle massacrate sul pavimento. Le due bambine sono prima vive e poi, in un brevissimo frame, a terra morte e copiosamente insanguinate.

Il montaggio si catapulta sulla faccia sconvolta e terrorizzata di Danny, in primissimo piano. Anche se non si tratta propriamente di uno zoom (perché c’è stato un taglio nel montaggio, non è un vero e proprio ingrandimento), l’obiettivo perseguito è lo stesso.

shining
Jack Nicholson interpreta Jack Torrance

Shining dunque non è un capolavoro solo per la qualità della storia raccontata, ma anche e soprattutto per il come essa viene raccontata.

Kubrick, maestro dei dettagli, sfrutta ogni campo (musicale, di regia, di interpretazione degli attori) per creare un prodotto che trasmetta agli spettatori la gradualità della follia che stanno osservando, esattamente come graduale è la crescita della stessa nel protagonista Jack Torrance.

Il risultato è quello sperato: terrificante e, a suo modo, perfetto.

Leggi anche: It – L’horror di Muschietti si esalta nell’interpretazione del messaggio di King

Autore

Share This