Romanzo Criminale – La debolezza umana
Italia, anni settanta. In uno scenario nazionale sempre più devastato da scontri tra corpi dello stato e manifestanti, a Roma prende forma la banda della Magliana, organizzazione malavitosa che mira a unificare la frammentata realtà criminale della capitale. Romanzo Criminale, diretta egregiamente da Stefano Sollima e ispirata al libro di Giancarlo De Cataldo, si ripropone di attraversare questo percorso di tentata unificazione mediante una narrazione che si intreccia con le vicende sociopolitiche del tempo e le storie personali dei componenti della banda, indicati attraverso dei nomi fittizi. L’attenzione è rivolta particolarmente verso tre di loro: il Libanese (ideatore del progetto criminale e primo leader della banda), il Freddo e il Dandi.
Un’altra figura di spicco all’interno di Romanzo Criminale è il commissario Scialoja, uomo dall’ineccepibile morale e mosso da onesti valori, che nel suo percorso alla ricerca di qualcosa che possa riuscire a incastrare i membri della banda, si trova suo malgrado ad avere a che fare con un mondo colmo di pregiudizi politici e collusione tra stato e criminalità organizzata.
Tutti questi personaggi accompagnano lo spettatore in un viaggio tra i più torbidi sotterfugi della storia contemporanea italiana, ma non solo; infatti, ognuno a modo suo, i diversi soggetti di Romanzo Criminale manifestano debolezze e desideri di cui l’animo umano può cadere preda, dando spazio a un’analisi antropologica.
Nel commissario è possibile notare una continua indecisione nell’agire, la cui causa risiede nella sottile linea che separa ciò che è giusto per principio e ciò che può fondamentalmente essere considerato ingiusto, anche se porta alla potenziale prospettiva di un risvolto positivo nelle indagini.
Se ad essere inghiottito dalla brama incontrollabile di raggiungere l’obiettivo attraverso qualsiasi mezzo è addirittura Scialoja, figura moralmente positiva principale di Romanzo Criminale, è facile immaginare quanto i membri della banda ne siano ancora più offuscati.
Pigliamose Roma
Il loro obiettivo può sembrare vivere nel lusso più sfrenato, o andando oltre, diventare i sovrani della capitale, come spesso ripete il Libanese. Dietro queste motivazioni materialiste e megalomani si nasconde un bisogno più profondo: soddisfare la voglia di una rivincita sociale e personale. Ognuno di loro ha sempre vissuto ai margini della società, magari in quartieri popolari e tra mille difficoltà familiari per riuscire a sbarcare il lunario.
La società che li circonda è vista come una realtà di cui non riescono ad essere parte integrante, se non attraverso i metodi di controllo violenti e prepotenti che li caratterizzano. Questo è un meccanismo di difesa che scatta spesso in individui che si sentono deboli perché non riescono a far sentire la propria voce, perché sono ignorati, o per la loro appartenenza sociale, o perché ciò che dicono ha effettivamente poco senso.
Questo senso di impotenza può tramutarsi, come avviene in Romanzo Criminale, in una debolezza se vogliamo ancora più grande: l’utilizzo della violenza come mezzo per far sentire la propria voce.
Un altro aspetto sul quale vale la pena soffermarsi è la degradazione crescente dei rapporti tra tutti i componenti della banda col susseguirsi degli eventi. La voglia di rivalsa su un mondo che li ha sempre esclusi è il fattore principale che li spinge a unirsi e a sviluppare amicizie reali e sincere, per quanto questi legami siano pur sempre instaurati tra criminali senza scrupoli. Il sentimento dell’amicizia va però progressivamente affievolendosi con la crescita degli affari malavitosi.
Quelli che erano rapporti di totale comunione si trasformano in mere conoscenze di interesse, che il più delle volte le si usa solo come strumenti di realizzazione personale o le si sfrutta come intermediarie per raggiri tra i vari componenti.
La banda si dirige, quindi, verso una condizione assimilabile, mantenendo comunque le dovute distanze, a quella dello Stato di Natura (concetto introdotto dai filosofi giusnaturalisti inglesi Thomas Hobbes e John Locke), ovvero verso un modo di pensare collettivo che mira alla sopraffazione degli altri come mezzo necessario per valorizzare e fare affermare la propria persona. Anche in questo caso ciò che traspare è un sintomo di debolezza. La volontà di sopraffare gli altri, infatti, deriva dalla consapevole sensazione, che può anche essere una semplice proiezione mentale non reale, di essere inferiori, di non essere all’altezza.