Perchè Woody Allen è l’ultimo Esistenzialista?

Tommaso Paris

Maggio 18, 2018

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Perché Woody Allen?

Prima o poi, tutti noi dovremo permetterci un’apertura al mondo di questo immenso autore. Potremo abbracciarlo o respingerlo, poco importa. La questione fondamentale, però, è che dobbiamo scoprirlo e conoscerlo veramente, consentirgli di entrare a far parte anche minimamente delle nostre vite, perché Woody Allen serve a questo. Parla di esistenza, di relazioni, di scelte, di dubbi. Tutti oggetti di riflessione del nostro Io più intimo e personale. Woody Allen è un autore per tutti e per nessuno. Possiamo trovare in questo regista ciò che cerchiamo, ciò che vogliamo, ciò che rifiutiamo, perché Woody ci mostra molti Allen e tanti di loro si trasformano nel tempo.

Il personaggio Woody Allen è molto particolare ed eccentrico. (Leggi anche: un intellettuale tra umoristica e clarinetto). A me piace racchiuderlo in tre epiteti, che più che essere tali sono modalità d’essere.

Woody Allen è innanzitutto Novecentesco, uno degli ultimi. Non solo perché la sua carriera cinematografica iniziò nel 1965, e nemmeno perché oggi, all’epoca della rivoluzione informatica, decida di mettere nero su bianco le proprie sceneggiature con la sua storica macchina da scrivere; ma perché, oltre ad essere sopravvissuto a livello vitale e lavorativo al nuovo millennio, non si è mai staccato da quelle che sono le tematiche profondamente novecentesche. Dal suo primo film del 1966 Che fai, rubi? al più recente La ruota delle meraviglie del 2017, ci sono stati 48 film, 48 tentativi di risposta a domande insolubili, 48 Woody Allen che tentano di non soccombere alla disperazione, cercando una cura alla futilità dell’esistenza. Di fatti, in tutto questo tempo i veri argomenti non sono mai cambiati. Esistenzialismo, Dio, ebraismo, critica al capitalismo, filosofia, psicoanalisi, New York, Jazz, e molto altro ancora. Woody Allen è lo stesso da 50 anni, eppure noi non ci sogniamo di smettere di amarlo.

Secondo punto, Woody Allen è Europeo. Non a livello biologico ovviamente, lui nasce a Brooklyn e rimarrà sempre fedele alla sua cara e vecchia New York, per lui una fonte di ispirazione senza fine. Rimarrà per sempre la sua città, animata da influenze ammalianti in un perpetuo divenire. Allora perché Europeo? Sicuramente non perché negli ultimi anni ha girato parecchi film nelle più affascinanti città europee, ma perché è un regista caro alle tematiche culturali, letterarie, artistiche e filosofiche del nostro mondo. I suoi più grandi maestri sono tutti della vecchia e malconcia Europa. Freud, Nietzsche, Dostoevskij, Jung, Fellini, Bergman, tutti inevitabilmente europei.

Woody Allen è però anche l’ultimo Esistenzialista vivente, o quasi. Cosa significa? È un esistenzialista perché ripone nelle sue opere i propri dubbi ed incertezze, costringendo lo spettatore, insieme ai personaggi, a mettere in discussione le verità considerate più incontrovertibili, a porre domande fondamentali ed esistenziali. Dio esiste? Che senso ha l’esistenza umana? Esiste una giustizia divina? Cos’è il male? Esiste il caso?

È un autore che, da bravo esistenzialista quale è, incarna il proprio pensiero, cerca di vivere all’altezza delle proprie idee. Tratta il valore intrinseco dell’esistenza umana, individuale prima e collettiva poi. Parla di scelte, responsabilità, angoscia, assurdo, libertà. Un vero esistenzialista a tutti gli effetti. Un autore che palesemente cerca qualcosa, senza però sapere cosa veramente cercare.

Come tutti i grandi pensatori è perfettamente consapevole della non possibilità di raggiungimento della verità ultima, del sapere finale. Ciò gli consente di poter, e di dover, rimettersi in discussione costantemente, ed è esattamente ciò che fa. Come abbiamo detto, in Woody Allen ci sono tantissimi argomenti, noi prenderemo in esame il tema della Giustizia divina e metafisica.

Le tre opere di riferimento oscillano in 26 anni, e sono Crimini e Misfatti (1989), Match Point (2006) e Irrational Man (2015). In questi tre film si nota un mutamento della posizione del regista nei confronti della tematica della Giustizia, mostrando tre possibili alternative e visioni del mondo, comunque molto affini tra loro, che starà poi a noi scegliere a quale aderire.

Crimini e Misfatti, Il Silenzio di Dio

Crimini e Misfatti è uno dei primi film dell’era drammatica di Allen, tratta la storia di Judah, un uomo benestante che ha avuto tutto quello che una vita borghese gli avrebbe potuto offrire, con un buon lavoro, una grande famiglia, eppure tradisce la moglie con un’amante. Quando quest’ultima inizia a ricattare il protagonista, rendendolo consapevole che tutto quello che ha ottenuto durante la sua vita potrebbe crollare come un castello di carte, avviene l’inimmaginabile. Lo svuotamento della morale, la tortuosa accettazione della legittimità dell’omicidio, perché alla fine, Dio è un lusso che non ci si può permettere.

Il nostro protagonista passerà una profonda crisi esistenziale, l’abisso della responsabilità gli crollerà addosso come un macigno, percependo di aver violato qualcosa di superiore a lui, un piano, un disegno con un’etica precisa che lui ha oltraggiato. Oscillerà tra la scelta di costituirsi ed ottenere un sollievo morale, oppure andare avanti e far finta di nulla. Il personaggio farà una scelta, difficile, ma pur sempre una scelta. Sceglierà andare avanti, consapevole di essere insospettato, vivrà la sua vita come se nulla fosse accaduto, gioendo tra i suoi lussi. Perché, alla fine, la realtà è così, noi razionalizziamo, noi neghiamo altrimenti non potremmo continuare a vivere.

Cliff: “Questo farei io, io lo farei, costituirsi, perché così la sua storia assume proporzioni tragiche, e perché in assenza di un Dio, o che altro, lui è costretto ad assumersi quella responsabilità; allora si ha la tragedia.”

Judah: “Ma questa è fiction, questo è il cinema. Insomma, lei vede troppi film, ed io sto parlando della realtà. Se vuole il lieto fine, vada a vedere un film di Hollywood.”

Qui Woody Allen apre al mondo il suo lato più pessimistico. Quello che ci getta violentemente davanti agli occhi è una questione esistenziale ed universale, ci mostra un mondo totalmente indifferente ai destini degli uomini, in cui non c’è una Giustizia divina buona che regola l’universo, anzi sono solo ed esclusivamente le nostre scelte che decidono le sorti del mondo. Noi scegliamo se andare avanti oppure affrontare le nostre responsabilità, noi scegliamo chi e cosa essere, noi e noi soltanto. Emerge qui lo straziante silenzio di Dio, la straziante contingenza della nostra esistenza, la straziante infondatezza delle nostre scelte. Eppure, noi non possiamo che vivere, che attribuire, con la nostra capacità di amare, un senso a un indifferente universo.

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Match Point, La Morale nel Caso

Se l’Allen di Crimini e Misfatti è il tragico per eccellenza, in Match Point non è da meno. (Leggi anche: Match Point, Tra Woody Allen e Dostoevskij). Anche qui la storia è molto simile, con una fondamentale variante, che se prima veniva solo accennata qui è più che approfondita, l’imprevedibilità del caso.

Il nostro protagonista, Chris, è un ragazzo bello, intelligente, acculturato, ma soprattutto fortunato. La fortuna, appunto, gli consentirà di entrare nell’upper class londinese, sposare una ricca ragazza e lavorare nell’azienda del suocero. Le sorti di Chris iniziano ad incrinarsi quanto si innamora della seducente Nola. L’amore per questa attrice americana sarà vero ed autentico, un amore, che però, non ha la forza di resistere ai privilegi borghesi che il protagonista ha ottenuto con tanta fortuna. Quando Nola minaccia di rivelare tutto alla moglie, Chris, anche qui, è costretto a prendere una decisione, uccide l’amata per preservare quell’Io pubblico che aveva ottenuto. Il senso tragico del film sta nel fatto che Chris uccidendo la donna che amava ha sacrificato la possibilità di un amore reale e autentico, ha sacrificato la speranza di scappare dalla falsa e disonesta aristocrazia, e quindi di vivere in modo vero e sincero.

Ancora delitto, ma senza castigo. Il caso, la fortuna fanno sì che l’omicidio venga attribuito ad un altro, lasciando il nostro protagonista totalmente esentato da qualsiasi punizione giuridica.

Woody Allen ci mostra quindi un mondo freddo, ingiusto, in cui riecheggia la totale assenza di una Giustizia metafisica con un principio ordinatore. Eppure, ci sono delle differenze con la visione di Crimini e Misfatti. Se Judah riesce ad andare avanti, a proseguire nella sua vita, Chris fa più fatica. È vero, non sarà soggetto ad alcun tipo di punizione giuridica o divina, ma il suo sguardo finale ci rivela come non può sfuggire al tormento che dovrà sopportare nel corso della sua esistenza.

Woody Allen ci mostra quindi che non vi è alcuna punizione e alcun castigo che risieda nelle leggi umane, e che la Giustizia divina è soggetta all’imprevedibilità della fortuna. C’è una totale assenza di ragione e ordine divino, tutto è frutto del caso. Eppure, lo sceneggiatore narrerà di una Morale, una Morale che è personale ed inaggirabile.

Chris: Sarebbe appropriato se io venissi preso e punito. Almeno ci sarebbe qualche piccolo segno di giustizia. Una qualche piccola… quantità di speranza di un possibile significato.

 

 

Irrational Man, l’emergere dell’Ordine

Ed ecco che qui Woody Allen cambia radicalmente. La storia, come sempre, è simile. Si ripetono delitto, caso, castigo, amore, eppure la risposta finale prende un’altra via.

La trama è incentrata sulla storia di Abe Lucas, un docente universitario di filosofia che non riesce più a riempire quell’abissale vuoto che è il senso dell’esistenza umana. Consapevole dell’insensatezza del mondo, dell’infondatezza delle proprie azioni, vede ciò che lo circonda come essenzialmente irrilevante ed ingiusto. La sua vita riacquista di significato quando prende una decisione moralmente discutibile nei mezzi, ma eticamente ammirevole nei fini. Ed ecco, ancora, un delitto. La motivazione di tale atto è la presa di coscienza di Abe della non esistenza di una Giustizia divina, e che quindi l’unico principio è il fare umano, se si vuole la Giustizia bisogna agire.

Il film, però, si conclude con una risposta di Allen abbastanza insolita, che comunque, come si diceva sopra, non rappresenta la conclusione ultima. L’autore nel finale fa emergere una sorta di Giustizia divina, dove i colpevoli vengono puniti. Abe, per un fortuito ed incontrovertibile caso, muore. Lui, mentre prova a compiere un ulteriore delitto nei confronti di una ragazza, per la quale si era molto affezionato, scivola su una torcia che le aveva regalato poco tempo prima, scivola e cade dalla tromba dell’ascensore. Per un imprevedibile caso, forse non così tanto fortuito, ottiene ciò che moralmente si merita. Compare l’idea di una Giustizia metafisica che dall’alto risolve tutte le questioni, Giustizia che ha legami ed effetti con il mondo umano incarnato, e che conferisce castigo a chi commette delitto.

Una Conclusione Inconclusiva

Ecco, questo è Woody Allen. È contraddittorio? Sì, forse. Non importa. L’intellettuale non deve regalare la Verità, l’intellettuale, socraticamente parlando, è colui che sa di non sapere, che aiuta l’Altro a mettere in discussione sé stesso, a domandarsi, ad emanciparsi. Questo fa l’intellettuale. Questo fa Woody Allen.

Qui ci dona tre possibili risposte, tre possibili chiavi interpretative di quella che è la Giustizia. Sono possibilità, ma ce ne potrebbero essere tante altre, il nostro caro vecchio amico Woody ci invita a cercarle.

Penso che il miglior modo per concludere, che ovviamente non può essere totalmente conclusivo, avvenga attraverso le parole finali dell’autore del primo film analizzato. Sono infatti parole che personalmente, nel mio relazionarmi con il mondo, sono le più vere ed autentiche, parole che Woody Allen (richiamandosi implicitamente al sempre presente Jean-Paul Sartre) mi costringe a portare con me per sempre.

“Per tutta la vita siamo messi di fronte a decisioni angosciose, a scelte morali. Alcune di esse importantissime, la maggior parte meno importanti. E noi siamo determinati dalle scelte che abbiamo fatto. Siamo in effetti la somma totale delle nostre scelte. Gli avvenimenti si snodano così imprevedibilmente, così ingiustamente. La felicità umana non sembra fosse inclusa nel disegno della creazione. Siamo solo noi, con la nostra capacità di amare, che diamo significato all’universo indifferente. Eppure, la maggior parte degli esseri umani sembra avere la forza di insistere e perfino di trovare gioia nelle cose semplici: nel loro lavoro, nella loro famiglia e nella speranza che le generazioni future possano capire di più.”

 

Leggi anche: Woody Allen e la poetica dell’imprevedibilità

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