Allen e Dostoevskij sono due autori tanto diversi quanto simili. Autori che si trovano allo stesso punto di partenza, con i medesimi dubbi ed incertezze, pronti però ad intraprendere strade diverse, per provare a dare, ma soprattutto a darsi, una risposta. Uno, un esistenzialista ateo di Brooklyn, l’altro, un romanziere cristiano di San Pietroburgo. La sua risposta, Dostoevskij la esplica in numerosissimi testi, quello che ci accompagnerà sarà Delitto e Castigo. Anche Woody Allen manifesterà il suo pensiero in molte opere significative, come Crimini e Misfatti o il più recente Irrational Man, ma ciò su cui ci concentreremo sarà Match Point.
Entrambi gli artisti, in modo differenti, costringono lo spettatore e il lettore a porsi, insieme ai personaggi, domande fondamentali ed esistenziali. Dio esiste? Esiste una legge morale uguale per tutti? Che senso ha l’esistenza umana? Cos’è il male? Esiste il caso?
Voglio rimarcare il fatto che qui c’è una vera e propria costrizione, i due autori questionano sé stessi nelle proprie opere, scrivono nero su bianco le preoccupazioni e i dubbi esistenziali che li affliggono. La loro arte diventa una manifestazione concreta del proprio pensiero. Con Woody Allen e Dostoevskij, il pubblico, se partecipe ad una visione e una lettura attiva ed impegnata, è obbligato a mettere in discussione sé stesso, i propri valori e principi. Tutto ciò è inevitabile, perché si tratta di domande e dubbi che sono parte integrante di ciò che siamo, della nostra storia e cultura, anche se spesso cerchiamo di nasconderlo al mondo, e soprattutto a noi stessi.
Tra Match Point e Delitto e Castigo vivono esattamente 119 anni di storia. In questo tempo si sono succedute un numero spropositato di guerre, di movimenti filosofici e culturali, sono avvenute rivoluzioni, ed il progresso scientifico ha permesso cose che ai tempi dello scrittore russo sarebbero state semplicemente inimmaginabili.
Eppure, ciò di cui parlano i due autori è la medesima questione, nasce dalle stesse domande. Allen e Dostoevskij ci parlano di uomini, di idee, di possibilità dell’esistenza, di Dio, di morale.
Ed è esattamente per questo che 119 anni di storia non sono niente, perché gli uomini rimangono uomini, e le domande rimangono le medesime domande. Si proverà a dare una risposta, i due autori lo fanno e ci rendono partecipe, poi però sta a noi decidere quale tra le infinite strada intraprendere.
Leggere Dostoevskij è un incamminarsi, insieme al protagonista, sulla via del delitto che ci conduce lentamente e tortuosamente al castigo, e alla successiva redenzione. Delitto e Castigo, appunto.
In Woody Allen, invece, vi è sì delitto, ma non vi è castigo. La fortuna, il caso, fanno sì che il protagonista riesca a farla franca. Quindi Delitto, ma senza castigo.
Ed è proprio qui che le strade dei due autori, dapprima unite, si ramificano in direzioni apparentemente opposte, per poi tentare di ricongiungersi in alcuni tratti.
La via del Delitto e del Castigo di Dostoevskij
Dostoevskij, in Delitto e Castigo, ci mostra Raskolnikov, il protagonista, che lentamente si allontana dalla società e dai suoi simili, trovandosi in una condizione sociale che lo limita facendolo sentire prigioniero di una vita che non ha scelto, si lascia abbandonare alla seduzione di pensieri di forte concretezza. Raskolnikov assorbe e metabolizza dentro di sé un’idea, un’idea che lo conduce a ripensare alla morale, a porre per determinati uomini un’etica che si differenzi da quella del gregge. Un’idea che lo esenti da qualsiasi obbligo morale, tanto da poter violare le leggi, tanto da poter commettere un omicidio, pur con una finalità più grande. Dostoevskij traccia le prime linee guida della teoria del superuomo nietzschiano, anticipando addirittura il profetico filosofo tedesco. Così Raskolnikov, sentendosi parte della classe dei dominatori, si crede legittimato ad uccidere una vecchia usuraia odiata da tutti, rubandole dei soldi con la presunta finalità di emancipare sé stesso, la propria famiglia ed infine il mondo. Ecco, quindi, il Delitto.
Da qui inizia il tormento e la presa di coscienza dell’accaduto da parte di Raskolnikov, la progressiva convinzione dell’inutilità del proprio gesto e della certezza di non essere un “superuomo”. Ma, come abbiamo detto, in Dostoevskij c’è anche il Castigo. All’ideologia di Raskolnikov si contrappone il gesto cristiano dell’altra protagonista del romanzo, Sonja. Per lei, infatti, esiste una legge uguale per tutti, ed il peccato rimane peccato chiunque lo commetta. La felicità, quindi, non sarà terrena, ma soprannaturale, raggiungibile con la compassione, l’umiltà, con una fede attiva esplicata tra gli uomini e non tra le pareti di un tempio, prendendo come figura paradigmatica Cristo. Raskolnikov il superuomo rimane solo, indifeso, un piccolo omicida. Fortunatamente trova in Sonja una possibilità di redenzione, attraverso il proprio credo la ragazza riesce a convincere il nostro protagonista a pentirsi e successivamente a costituirsi, trovando, appunto, il Castigo.
Dostoevskij, quindi, ci mostra un mondo dove il male è sì presente, ma può e deve essere contrastato dal bene che è radicato in ognuno di noi. Dostoevskij, attraverso la voce di Sonja, ci mostra un mondo con una morale, con una reale giustizia, anche divina, che si esplica nella via del Castigo che Raskolnikov decide di percorrere.
Il Delitto senza il Castigo di Allen
Match Point richiama esplicitamente Dostoevskij (tanto da mostrare il protagonista che legge Delitto e Castigo), ma come abbiamo detto Woody Allen prenderà un’altra strada, perché in questo film emerge un tema fondamentale che andrà ad interferire nel corso della giustizia divina dostoevskijana: il Caso.
Monologo iniziale di Match Point: “Chi disse “Preferisco avere fortuna che talento” percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no, e allora si perde.”
Così inizia Match Point, così inizia la storia del protagonista, Chris, che sarà essenzialmente determinata dal caso, dalla caduta della pallina da una parte o dall’altra del campo, dal successo o dal fallimento. È difatti la fortuna a guidare il protagonista in tutta la prima parte del film. Chris è un insegnante di tennis che proviene da una famiglia povera, ma è bello ed intelligente. Diventa grande amico di Tom che lo introdurrà nel suo ambiente dell’aristocrazia londinese. Qui il nostro protagonista entra completamente in questo mondo, sfruttando ogni occasione che gli si presenterà, sposerà la sorella dell’amico e lavorerà nell’azienda del suocero.
Chris ricorda Raskolnikov per alcuni tratti della sua personalità: sono entrambi poveri, introversi, acculturati e in cerca di un futuro agiato da ottenere a tutti i costi. La caratteristica che però li differenzia maggiormente è che, diversamente da Raskolnikov, Chris è fortunato. Eppure, anche la sorte del nostro protagonista inizia ad incrinarsi quando incontra Nola, una bellissima attrice americana, di cui Chris si innamora follemente, tanto da riuscire a conquistarla e iniziare una relazione. In questa fase i personaggi acquisiscono sempre maggiore spessore narrativo tanto da rivelarsi allo spettatore e a sé stessi.
L’amore per Nola, seppur vero ed autentico, incomincia a farsi impegnativo per Chris, che se per un attimo ha immaginato di uscire dalla sua prigione dorata, si rende però conto di non poter più fare a meno dei privilegi ottenuti con così tanta fortuna. L’insistenza e il bisogno di Nola della presenza di Chris portano la ragazza a minacciare il compagno di svelare tutto alla moglie. L’amore di Chris nei confronti di Nola, che rappresentava un sollievo dalla sua vita ormai già tutta programmata, seppur molto forte non riesce a convincerlo a rinunciare ai propri privilegi. Tanto che per non perdere ciò che aveva ottenuto, il protagonista uccide l’amata. Ed ecco, ancora, il Delitto.
In Match Point però, a differenza di Dostoevskij, non vi è Castigo. Seppur ci sia un detective che nutra grandi sospetti su Chris, il caso, la fortuna fanno sì che l’omicidio venga attribuito ad un altro, lasciando il nostro protagonista totalmente esentato da qualsiasi punizione giuridica. Se quindi Raskolnikov, pentito e perseguitato dalla consapevolezza del proprio gesto, decide di costituirsi, Woody Allen ci mostra il suo lato più pessimista, mostrando un mondo come un luogo freddo, privo di giustizia e totalmente indifferente alle sorti degli uomini.
In un dialogo finale con il fantasma di Nola, Woody Allen ci manifesta in modo molto chiaro il proprio pensiero attraverso le parole di Chris:” Sarebbe appropriato se io venissi preso e punito. Almeno ci sarebbe qualche piccolo segno di giustizia. Una qualche piccola… quantità di speranza di un possibile significato”.
Raskolnikov e Chris hanno due personalità simili, ma con destini diversi, resi manifesti dal loro modo di comportarsi di fronte al delitto. Eppure, hanno entrambi hanno ucciso sé stessi. Raskolnikov ha ucciso per un sogno, per poter essere un “superuomo”. Chris, invece, ha ucciso il proprio sogno, perché uccidendo la donna che amava ha sacrificato la possibilità di un amore reale e autentico, ha sacrificato la speranza, che risiedeva in lei, di scappare dalla falsa e disonesta aristocrazia, e quindi di vivere in modo vero e sincero.
Woody Allen ci dice difatti come “Il senso tragico del film sta nel fatto che Chris uccide il proprio sogno”.
Il regista lo rende esplicito nella scena finale della pellicola, dove Chris insieme alla famiglia e ai privilegi che tanto sono costati a lui e a Nola, si estranea dalla situazione e fissa fuori dalla finestra, mostrando allo spettatore una silenziosa e profonda alienazione di sé che lo accompagnerà per tutta la sua vita.
Abbiamo detto che le strade tra Dostoevskij e Woody Allen si separano perché nel secondo vi è Delitto e non Castigo, ma ecco che le due vie in parte sembrano poter ricongiungersi. Infatti è vero che Chris non sarà soggetto ad alcun tipo di punizione giuridica o divina, ma il suo sguardo finale ci rivela come non possa sfuggire al tormento che dovrà sopportare nel corso della sua esistenza.
Woody Allen ci mostra quindi come non vi sia alcuna punizione e alcun castigo che risieda nelle leggi umane, e come la giustizia sia soggetta all’imprevedibilità del caso. C’è una totale assenza di ragione e ordine divino, tutto è frutto dell’assurdo. Eppure, lo sceneggiatore narrerà di un Castigo, un Castigo che è personale, morale e inaggirabile.
Queste sono le risposte che danno Woody Allen e Fëdor Dostoevskij, sono alcune tra le tante e ci possono soddisfare oppure no, ma la cosa fondamentale che queste risposte siano decisamente atipiche perché più che fornire una conclusione, costringono a porsi nuove e più profonde domande. Noi, comunque, sappiamo che le domande consentono di emanciparsi molto di più rispetto alle risposte.
Quindi, alla fine… va bene così.