Woody Allen: «Dio è morto, Marx è morto, e io mi sento poco bene».
Non c’è nulla di meglio di un bel pezzo jazz per scrivere di Woody Allen. Pochi maestri sono stati capaci come lui di intrecciare melodie e tempi, ritmi di un film a tal punto da costituirne una traccia indelebile del proprio stile artistico.
Oggi parliamo di Woody Allen, oggi parliamo di un cinema che si è protratto dagli anni ’60 ad oggi, un cinema che una volta visto è impossibile non riconoscere.
Ma come parlare di Woody senza perdersi, troppo da dire, con il rischio di incartarsi nella propria testa inciampando su se stessi, cosa che a lui di certo non dispiacerebbe.
Ho pensato che il modo migliore potesse essere dividere il regista in due grandi momenti della sua opera, semplicemente Il Vecchio Woody e Il Nuovo Woody, ponendo il punto di cambiamento tra Harry a pezzi e Match Point, dove i film nel mezzo rappresentano a mio avviso un perfetto ponte.
Il Vecchio Woody
Il Vecchio Woody è la quinta essenza dell’umoristica, un Pirandello del cinema, un regista che struttura film con egli stesso protagonista, capace così di mostrarci tutte le nevrosi dell’Io e della società.
I grandi temi di questa fase sono profondamente politici, sociali, psicoanalitici, il tutto in una sempre ironica e brillante marmellata di situazioni al limite del reale, dove il sorriso dello spettatore oscilla tra lo stupore e il ridicolo.
Qui primeggiano titoli come Il dittatore dello stato libero di Bananas, geniale opera sul Comunismo, sull’America e sul concetto di rivoluzione nel suoi ideali e fallimenti, tra grandi uomini e fantocci, con un Allen rivoluzionario indimenticabile.
Titoli come Il dormiglione e il suo mondo futuristico distopico, ma profondamente ironico dove per il sesso c’è una macchina apposita. Zelig è il suo essere un documentario che si rivela parodia del concetto stesso di documentario dove: «Se Zelig fosse psicotico o solo estremamente nevrotico, era un problema che noi medici discutevamo in continuazione. Personalmente mi sembrava che i suoi stati d’animo non fossero poi così diversi dalla norma, forse quelli di una persona normale, ben equilibrata e inserita, solo portata all’eccesso estremo. Mi pareva che in fondo si potesse considerare il conformista per antonomasia».
No, non mi sono dimenticato di Io e Annie e la meravigliosa scena dei pensieri non detti, ma trascritti come sottotitoli, o Manhattan e la sua enorme poesia sempre accostata a scenari quasi buffi, ma più sottili, meno esplicitati così da far spazio ai colori della Nuova York, ma questi si meritavano un paragrafo per loro, questi insieme ad Hannah e le sue sorelle sono i veri capolavori del Vecchio Woody.
Eppure il mio prediletto del suddetto Vecchio Woody, quello che io reputo l’apice della sua genialità folle, quello dove ognuno dei grandi campi del maestro, quali la questione religiosa, la nevrosi dell’intellettuale e del suo rapporto con se, con le donne e con il mondo, quali le soluzioni a un mondo profondamente ironico a sua insaputa, è Harry a pezzi.
L’uomo sfocato, il discorso su Dio, il viaggio verso la vecchia università, l’inferno e tutto il resto delineano un capolavoro di inestimabile intelligenza artistica, dove risata e riflessione raggiungono un limbo di surreale coesione.
Qui inizia quel ponte verso il Nuovo Woody, un Woody più sofisticato, dove il suo tono intellettuale è più evidente, ponendosi come narratore, e non più attore di storie sulla natura umana.
Il Nuovo Woody
Ecco l’arrivo di film come Match Point, dove il regista inizia quella riflessione, poi protrattasi in questa nuova era, sulla Fortuna e sulla Morte, mostrandoci figure umane incomplete, ma destinate al fallimento e non a una riscoperta ironica che possa salvarli come forse fu in passato, d’altronde «È incredibile come cambia la vita se la palla va oltre la rete o torna indietro, no?».
Sono narrazioni diverse quelle del Nuovo Woody, forse perché lui si è risolto e raccontato nella giovinezza e, di conseguenza, oggi ci racconta il mondo e il suo tendere alla propria disgregazione, come i due fratelli di Sogni e Delitti, morti nel momento stesso in cui divengono succubi del denaro e dell’ambizione, morti nel momento stesso in cui vengono a contatto con la morte.
La Morte si accosta a potenti riflessioni morali, talvolta più simpatiche come in Scoop, a volte di un maggiore spessore riflessivo come in Irrational man, ove la fortuna di Match Point per il “cattivo” è capovolta nel simbolo della torcia.
Per non parlare nella meravigliosa malinconia perpetua di Midnight in Paris, e della profonda capacità del maestro di disegnare quel clima soffuso, con tempi alternanti, il tutto avvolto in una nuvola di musica e poesia.
Woody, che sia il Vecchio o il Nuovo, mantiene sempre un eclettismo tematico assoluto, quello che ho cercato di mostrarvi sono le modalità di esecuzione, da personaggio rivelatore nel passato a osservatore consapevole oggigiorno, da nevrotico intellettuale in perpetua crisi esistenziale alla ricerca di un ironica soluzione. a saggio narratore del mondo e dei suoi animali sociali.
Perché Woody Allen è il maestro dell’ironia, quella vera, quella che nasconde sempre qualcosa in più, ma nonostante ciò può semplicemente sembrare buffa, quella che parla di sesso, ma fa politica, fa politica, ma deprimendosi per il sesso, ama le donne, ma non Dio, o meglio, il suo fan club, però poi pensa le donne come Dio. Il tutto in poche sottili parole, il tutto nella tragica consapevolezza della tragicità umana alla quale l’unica risposta è il riso poiché, come dice il maestro: «Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più e in quella settimana pioverà a dirotto».
Alla fine é sempre meglio andare nel tuo localetto di fiducia a suonare il clarinetto, tanto il mondo é giá tragicomico di per sé.